Paola Radif commenta "Camminare nelle vie dello Spirito". Lettera Pastorale 2009-2010 Card. Bagnasco (3)
Capitolo III
La vita spirituale
In questo capitolo il Cardinale chiarisce il concetto stesso di Cristianesimo, che troppo spesso viene inteso in modo non corretto. Chi aderisce alla fede cristiana non lo fa perché accetta un codice di comportamento morale, né lo fa su una base puramente teorica, ma perché nell’incontro con Gesù è scattata una conoscenza che affascina: “Solo una persona suscita incanto!” esclama l’arcivescovo. La fede cristiana, allora, non è qualcosa da fare, ma è vivere riferiti e congiunti a Dio.
Essere cristiani è apertura al Mistero, è sentire l’attrattiva di Gesù che rivela il volto di Dio; addirittura, come scrivevano i Padri della Chiesa, l’uomo è chiamato a “diventare dio secondo la grazia.” In che cosa consiste questa nostra vocazione tanto alta e ardita?
Il Cardinale spiega che il cristiano, ricevendo il dono del Battesimo, porta in sé la responsabilità di camminare avanzando nella vita spirituale. C’è, dunque, una chiamata che esige una risposta: il lavoro dell’anima, sostenuto dalla fiducia nell’aiuto dello Spirito Santo, “primo protagonista del nostro itinerario spirituale.”
Quale lo scopo di questo camminare dell’uomo sulle vie indicate da Dio? Quello che S.Paolo indica nella Lettera ai Filippesi: avere “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”, il che spiega che la fede cristiana non si fonda su sentimenti evanescenti ma su quei criteri solidi che chiaramente definiscono lo stile di Cristo. Una volta impresso nell’anima col Battesimo lo stesso volto di Cristo, nel corso della vita se ne deve far risplendere l’originaria bellezza attraverso un continuo modellarsi su Cristo, assumendone pensieri e sentimenti, fino ad amare con il Suo cuore.
Ecco allora che la vita spirituale, così definita nei suoi contorni, si può identificare con un “cammino di conformazione spirituale e ascetica a Gesù, anzi, di appartenenza radicale a Lui.”
“Ripartire da Cristo”: la consegna data da Giovanni Paolo II all’inizio del Terzo Millennio, contemplandone il volto ad un tempo profondamente umano e divino, si conferma presupposto essenziale per quel cammino di santità che ha avuto inizio col Battesimo e che quotidianamente si realizza nella progressiva configurazione a Cristo.
Il catechista in ascolto
Che cosa dice al catechista questo capitolo III?
Consideriamo il termine “modello”, ricorrente in questo capitolo. Una prima osservazione, che deriva dall’esperienza di tutti i giorni, ci porta a notare che in tanti campi è possibile eseguire un oggetto a partire da un prototipo, che ne garantisca la buona riuscita grazie alla corrispondenza a certi parametri essenziali. Addirittura nei pesi e nelle misure è obbligatorio conformarsi a un’unità di riferimento fissa, non variabile né modificabile. Il risultato è, potremmo dire, uguale per tutti: un litro, un chilo, un metro, sono quelli e basta. I mercati dell’oriente hanno copiato tutto il possibile, dalle auto agli orologi, dai telefoni alle borse, dagli articoli di abbigliamento ai giocattoli, proprio prendendo a modello il frutto dell’inventiva europea.
Passando a un livello certo diverso e più alto, anche noi possiamo riconoscerci come tentativi di una conformazione a un modello, Cristo, che, pur essendo perfetto, offre la possibilità di tendere alla sua stessa perfezione.
Non è un’imitazione da realizzare in breve tempo, come quella di un artigiano o anche di un artista che riproduce sulla tela un soggetto che ha davanti, ma è un’elaborazione viva, sempre in cambiamento. Essa è frutto di due azioni: quella del battezzato intrecciata con quella dello Spirito Santo che interviene nella sua vita col costante apporto della grazia, per garantirne una graduale crescita nella santità.
Si tratta di una progressiva conformazione a Cristo, che non è mai un’omologazione, un appiattimento uguale per tutti, perché ciascuno la realizza in modo diverso in base ai doni naturali ricevuti. In questo senso ognuno, secondo le parole di Giovanni Paolo II ai giovani genovesi, può fare della propria vita “un autentico e personale capolavoro”, che è tanto più prezioso in quanto è destinato a rimanere un unico esemplare.
La vita spirituale
In questo capitolo il Cardinale chiarisce il concetto stesso di Cristianesimo, che troppo spesso viene inteso in modo non corretto. Chi aderisce alla fede cristiana non lo fa perché accetta un codice di comportamento morale, né lo fa su una base puramente teorica, ma perché nell’incontro con Gesù è scattata una conoscenza che affascina: “Solo una persona suscita incanto!” esclama l’arcivescovo. La fede cristiana, allora, non è qualcosa da fare, ma è vivere riferiti e congiunti a Dio.
Essere cristiani è apertura al Mistero, è sentire l’attrattiva di Gesù che rivela il volto di Dio; addirittura, come scrivevano i Padri della Chiesa, l’uomo è chiamato a “diventare dio secondo la grazia.” In che cosa consiste questa nostra vocazione tanto alta e ardita?
Il Cardinale spiega che il cristiano, ricevendo il dono del Battesimo, porta in sé la responsabilità di camminare avanzando nella vita spirituale. C’è, dunque, una chiamata che esige una risposta: il lavoro dell’anima, sostenuto dalla fiducia nell’aiuto dello Spirito Santo, “primo protagonista del nostro itinerario spirituale.”
Quale lo scopo di questo camminare dell’uomo sulle vie indicate da Dio? Quello che S.Paolo indica nella Lettera ai Filippesi: avere “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”, il che spiega che la fede cristiana non si fonda su sentimenti evanescenti ma su quei criteri solidi che chiaramente definiscono lo stile di Cristo. Una volta impresso nell’anima col Battesimo lo stesso volto di Cristo, nel corso della vita se ne deve far risplendere l’originaria bellezza attraverso un continuo modellarsi su Cristo, assumendone pensieri e sentimenti, fino ad amare con il Suo cuore.
Ecco allora che la vita spirituale, così definita nei suoi contorni, si può identificare con un “cammino di conformazione spirituale e ascetica a Gesù, anzi, di appartenenza radicale a Lui.”
“Ripartire da Cristo”: la consegna data da Giovanni Paolo II all’inizio del Terzo Millennio, contemplandone il volto ad un tempo profondamente umano e divino, si conferma presupposto essenziale per quel cammino di santità che ha avuto inizio col Battesimo e che quotidianamente si realizza nella progressiva configurazione a Cristo.
Il catechista in ascolto
Che cosa dice al catechista questo capitolo III?
Consideriamo il termine “modello”, ricorrente in questo capitolo. Una prima osservazione, che deriva dall’esperienza di tutti i giorni, ci porta a notare che in tanti campi è possibile eseguire un oggetto a partire da un prototipo, che ne garantisca la buona riuscita grazie alla corrispondenza a certi parametri essenziali. Addirittura nei pesi e nelle misure è obbligatorio conformarsi a un’unità di riferimento fissa, non variabile né modificabile. Il risultato è, potremmo dire, uguale per tutti: un litro, un chilo, un metro, sono quelli e basta. I mercati dell’oriente hanno copiato tutto il possibile, dalle auto agli orologi, dai telefoni alle borse, dagli articoli di abbigliamento ai giocattoli, proprio prendendo a modello il frutto dell’inventiva europea.
Passando a un livello certo diverso e più alto, anche noi possiamo riconoscerci come tentativi di una conformazione a un modello, Cristo, che, pur essendo perfetto, offre la possibilità di tendere alla sua stessa perfezione.
Non è un’imitazione da realizzare in breve tempo, come quella di un artigiano o anche di un artista che riproduce sulla tela un soggetto che ha davanti, ma è un’elaborazione viva, sempre in cambiamento. Essa è frutto di due azioni: quella del battezzato intrecciata con quella dello Spirito Santo che interviene nella sua vita col costante apporto della grazia, per garantirne una graduale crescita nella santità.
Si tratta di una progressiva conformazione a Cristo, che non è mai un’omologazione, un appiattimento uguale per tutti, perché ciascuno la realizza in modo diverso in base ai doni naturali ricevuti. In questo senso ognuno, secondo le parole di Giovanni Paolo II ai giovani genovesi, può fare della propria vita “un autentico e personale capolavoro”, che è tanto più prezioso in quanto è destinato a rimanere un unico esemplare.
Paola Radif