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Gianfranco Ravasi "Girolamo, asceta della Scrittura"

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mercoledì 30 settembre 2020 

Era il 30 settembre dell’anno 420 quando si spegneva nella sua cella vicina alla grotta di Betlemme. Girolamo, il vecchio leone, “capace di potenti ruggiti”, ma anche di lacrime ( Vita Pauli 16,2), monaco, asceta, predicatore, guida di anime, traduttore, polemista, arcigno e severo tanto quanto capace di tenerezza e delicatezza, concludeva così il suo pellegrinaggio terreno. Ora, sulla scia dei suoi predecessori, papa Francesco ha voluto ricordarne il XVI centenario della morte dedicando al santo dalmata una Lettera apostolica, piena di spunti di riflessione, Scripturae Sacrae affectus. Il titolo, desunto dalla memoria liturgica del santo, coglie l’aspetto più caratteristico della vita di Girolamo, appunto «un affetto vivo e soave» per la Sacra Scrittura, che raggiunge la sua espressione più compiuta nella titanica impresa portata a termine proprio a Betlemme: la prima traduzione integrale di tutta la Bibbia a partire dal greco e dall’ebraico, nota come la Vulgata. Questa opera monumentale, durata anni, rappresenta uno dei momenti fondanti della cultura occidentale. Come ricorda papa Francesco, citando la Lettera agli artisti di san Giovanni Paolo II, con la sua traduzione Girolamo ha offerto per secoli agli artisti dell’Europa la tavolozza ideale dove hanno intinto i loro pennelli, e la sorgente di simboli, immagini, e idee alla quale hanno attinto filosofi e pensatori. 

La Lettera pontificia ripercorre le tappe essenziali della vita di Girolamo: nascita al confine tra la Dalmazia e la Pannonia verso il 347, forse nell’odierna Slovenia o Croazia; educazione e studi di retorica a Roma, la città alla quale rimarrà sempre affettivamente legato, anche perché luogo del suo battesimo; viaggio di studi a Treviri e primi contatti con la vita monastica, che proseguirà ad Aquileia e poi ad Antiochia e nel deserto della Calcide. È qui che si compie uno degli episodi più noti della vita del santo, avvenuto nel corso di una sua grave malattia. Condotto, in una sorta di visione, davanti al tribunale di Cristo, che gli rimprovera di essere più ciceroniano che cristiano, prende la decisione di consacrarsi totalmente allo studio della Scrittura abbandonando le lettere profane. Impara, così, l’ebraico e perfeziona le sue conoscenze di greco. Sosta, poi, brevemente a Costantinopoli, dove incontra il famoso Padre della Chiesa Gregorio di Nazianzo, e si trasferisce a Roma. Nell’Urbe lavorerà a fianco di papa Damaso, di cui diventerà segretario e consigliere. Qui intraprende la revisione di tutto il Nuovo Testamento. Allo stesso tempo, crea all’Aventino un’autentica “scuola” di spiritualità basata sulla lettura e lo studio della Bibbia, anche nelle lingue originali, grazie alla collaborazione di un gruppo di straordinarie matrone romane. Alla morte di papa Damaso, incompreso e inviso al clero, Girolamo si ritira in Terra Santa, a Betlemme, dove trascorrerà gli ultimi trentacinque anni della sua vita, intento alla traduzione e allo studio della Scrittura, in costante scambio epistolare con i suoi amici romani e con le grandi figure del suo tempo. Nella sua Lettera, papa Francesco propone una «chiave sapienziale» per ricomporre le molteplici sfaccettature della ricca personalità di Girolamo, ricorrendo anche all’iconografia tradizionale del santo. Essa, sostanzialmente, ha seguito due modelli interpretativi: da un lato, ci presenta Girolamo penitente nella grotta, lontano dal mondo, eccessivo nei gesti e nei toni, mentre si percuote il petto con un sasso; d’altro lato, entra in scena lo studioso riflessivo, calamo alla mano, intento alla lettura e alla traduzione della Scrittura. 

Commenta il Papa: «Quelle che nella sua figura appaiono due fisionomie giustapposte sono, in realtà, elementi con i quali lo Spirito Santo gli ha permesso di maturare la sua unità interiore». A partire da questa duplice dimensione della sua personalità, Francesco trae già qualche spunto per il nostro tempo: «Per i monaci, innanzitutto, perché chi vive di ascesi e di preghiera venga sollecitato a dedicarsi all’assiduo travaglio della ricerca e del pensiero; per gli studiosi, poi, che devono ricordare che il sapere è valido religiosamente solo se fondato sull’amore esclusivo per Dio, sulla spoliazione di ogni umana ambizione e di ogni mondana aspirazione». Al centro dell’ideale ascetico di Girolamo brilla la Scrittura: egli esorta, raccomanda, insegna a leggere costantemente la Scrittura, meglio ancora se nelle lingue originali. Il “circolo di studio”, da lui iniziato all’Aventino durante il suo soggiorno romano, è dominato dalla Scrittura, il cui studio approfondito e attento incoraggia co- stantemente, al punto che alcune delle più illustri nobildonne della città imparano a leggere e a recitare i Salmi in ebraico. 

Papa Francesco propone, allora, sulla scia di Girolamo, l’amore per la Sacra Scrittura e lo studio della Bibbia come elementi fondamentali della comunità cristiana. L’amore per la Scrittura si deve estendere alla totalità della Rivelazione, superando le ricorrenti tentazioni di recidere l’Antico Testamento come un’appendice caduca, o di ridurlo a una semplice raccolta di citazioni a scopo apologetico. In Girolamo l’affectus per la Scrittura si manifesta in forma appassionata e veemente, talora con un linguaggio aspro e con toni accesi. Questa dimensione polemica, che ricorre spesso nei suoi scritti – ricorda Papa Francesco – «si comprende meglio se letta come una sorta di calco e di attualizzazione della più autentica tradizione profetica». L’amore per la Bibbia, poi, è sostenuto e alimentato dallo studio rigoroso e attento, a cominciare dalle lingue originali, ed è arricchito in Girolamo dagli strumenti della filologia del suo tempo, soprattutto, dalle Esaple, una sorta di edizione critica del testo biblico, realizzata da Origene. Anzi, l’approfondimento esegetico acquista un profilo “diaconale”: chi legge e studia la Bibbia dev’essere in grado di guidare altri alla conoscenza di Cristo, come il diacono Filippo fece con l’eunuco etiope (Atti 8,31). 

Per questo motivo, il Papa auspica che, accanto a una maggior competenza nelle Sacre Scritture negli studi ecclesiastici, anche tutti i fedeli possano avere una formazione biblica sufficiente «perché ciascuno diventi capace di aprire il libro sacro e di trarne i frutti inestimabili di sapienza, di speranza e di vita». In questo senso, se da una parte è triste il fatto che in molte famiglie non vi è chi sia in grado di far conoscere ai figli la Parola di Dio, come prescrivevano il Deuteronomio (6,6) e lo stesso Gesù (Matteo 5,19), è d’altra parte incoraggiante vedere che il nostro tempo è felicemente contrassegnato da una riscoperta della Bibbia in molte comunità e gruppi cristiani all’interno della Chiesa cattolica e persino nella cultura “laica” contemporanea. 

Per rendere sempre più accessibile la Parola di Dio, il Papa ricorda l’importanza delle traduzioni della Bibbia, di cui la Vulgata geronimiana è un emblema alto. Col filosofo Paul Ricoeur, citato nella Lettera, si può affermare che ogni traduzione è un’opera di accoglienza linguistica, paradigma di altre forme di accoglienza e ospitalità. Ogni versione biblica ha la sua sorgente ultima nel mistero di Dio che ha “tradotto” se stesso in linguaggio umano, che si è fatto parola incarnata, e ha piantato la sua tenda fra di noi, abbracciando la nostra storia, segnata da splendore e miseria, da gioia e dolore. A margine il Papa ricorda nella sua Lettera anche la “romanità” di Girolamo: nato ai confini della Dalmazia, si sentì sempre fortemente legato all’Urbe e alla Chiesa di Roma, dove ricevette il battesimo. L’iconografia cristiana lo raffigura anacronisticamente con le vesti cardinalizie, a sottolineare questo speciale legame con la Chiesa di Roma e con il suo vescovo. 

La comunione con la sede di Pietro è il riferimento sicuro per Girolamo in mezzo alle accese dispute teologiche del suo tempo ed è garanzia di comunione. Forse anche in questo nostro tempo di polarizzazioni e di estremismi teologici, è suggestivo ricordare il monito di papa Francesco più volte ripetuto: «No alla guerra tra di noi». Il nostro mondo, ricorda, «ha bisogno più che mai della medicina della misericordia e della comunione […] diamo una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa». La Lettera si conclude con un appello ai giovani. Girolamo è stato una «biblioteca di Cristo», lettore e scrittore instancabile. Quale può essere il messaggio della sua figura austera e spoglia ai giovani, sempre più lontani dai libri e dalla lettura, non solo della Bibbia, ma della grande letteratura? A questi giovani, che rischiano di perdere la memoria della propria identità, Francesco lancia una sfida: «Partite alla ricerca della vostra eredità. Il cristianesimo vi rende eredi di un insuperabile patrimonio culturale di cui dovete prendere possesso. Appassionatevi di questa storia, che è vostra. Osate fissare lo sguardo su quell’inquieto giovane Girolamo che, come il personaggio della parabola di Gesù, vendette tutto quanto possedeva per acquistare “la perla di grande valore” (Matteo 13,46).
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