Rosanna Virgili "Il bacio santo"
Costruttori della Pòlis
a cura di Rosanna Virgili
- La vera Giudea
- La forza dell’inerme
- Un culto d’amore
- Autorità e libertà
- Chi sono io per giudicare
- Il bacio santo
Sesta Meditazione
Il bacio santo
(Romani 16)
Introduzione
Il capitolo 16 chiude la Lettera ai Romani in maniera atipica con un lunghissimo elenco di persone note a chi scrive. Un caso unico nell’epistolario paolino, dove il numero di coloro che Paolo saluta è sempre più contenuto. Ma c’è anche un altro elemento speciale: i riconoscimenti che Paolo dà alle persone in questione. Tra loro spiccano le figure femminili, una delle quali apre la lista, classificata come diacono, Febe (cf v.1); un’altra è chiamata addirittura “apostolo”, Giunia (cf v.7). Uomini e donne godono del titolo di essere collaboratori e colleghi di Paolo nella missione evangelica e nella costruzione della Chiesa.
Per leggere e comprendere
Sotto ogni nome c’è una persona amata e profondamente legata a Paolo e il tono dei suoi saluti lo mostra con evidenza: il collante tra loro è l’amore grande per il Vangelo. La comunità è composta di uomini e donne, giudei e gentili, schiavi e liberi, con ruoli e storie e diversi: sono i “santi” di Roma. Diciassette uomini e nove donne chiamati per nome - più due anonime; cinque gruppi di persone che si identificano per la casa dove si riuniscono (da Prisca e Aquila, da Aristobulo, da Narciso, da Asincrito e da Filologo) come comunità ecclesiali. E se le donne sono meno rispetto agli uomini, esse sono, però, le più ammirate dal mittente e quelle che si vedono recapitati i più squisiti complimenti per il loro impegno evangelico: almeno sei di quelle nominate, più la mamma di Rufo, la quale, peraltro, Paolo chiama anche “madre mia” (v.13). Le Comunità romane sono tante e disposte non come una piramide, ma, verosimilmente, come un poliedro: più piccole e più grandi, più giudee o più etniche, più femminili o più maschili. La “chiesa” di Roma non viene mai citata come tale, eccetto quella che si riunisce a casa di Priscilla e Aquila (cf v.5); essa è una casa/comunità, cioè una realtà ricca e composita unita dalla fede e dallo Spirito dove ognuno ha il suo nome particolare, ma tutti si chiamano “santi”. Si può pensare che Febe fosse la postina della Lettera, perché Paolo invita i destinatari ad accoglierla “come si fa con i santi”. Ben quattro sono i titoli con cui Paolo la chiama: “sorella” (adelphè), “diaconessa” (diàkonos), “santa” (àghia), “protettrice” (prostàtis) uno in più di quanti non ne abbia dati a sé stesso nel prescritto (cf Rm 1,1: “servo, apostolo e riservato per il Vangelo). Il secondo titolo attribuito a Febe è quello di diacona: diàkonos. Il sostantivo è di genere maschile, ma nessuno ha mai discusso sul fatto che Febe fosse una donna. Paolo usa più volte, nella Lettera, questo termine per indicare il servizio di governo svolto nelle comunità civili (cf Rm 13,4) e per il suo servizio ai santi di Gerusalemme (cf 15,25). In Filippesi 1,1 i diaconi sono citati insieme ai Vescovi; inoltre Paolo attribuisce anche sé e ai suoi collaboratori il termine diàkonos (cf 1Cor 3,5; 2Cor 3,6; 6,4; 11,15.23 + Col 1,23.25; Ef 3,7), quanto non può non coinvolgere – tra le attività in esso contemplate - il ministero del Vangelo. Tra le coppie, oltre a quella di Prisca ed Aquila viene citata anche quella di Andronico e Giunia (v. 7) e quanto colpisce di loro è che Paolo li definisca: “esperti (epistemoi) tra gli apostoli”, oltre che suoi parenti (quindi Giudei), compagni di carcere e divenuti credenti prima di lui! Tra tutte queste nobilissime qualifiche quella che ha creato maggior stupore è il loro essere apostoli che include anche una donna, Giunia. Il problema nasce in merito al tipo di autorità che venisse attribuito con questo titolo: se potesse o meno trattarsi di un’autorità uguale a quella di apostoli come Pietro, Giacomo, Giovanni e, da ultimo, anche di Paolo. Giovanni Crisostomo conferma questo significato e legge in senso inclusivo – cioè come partecipi della comunità degli Apostoli e “insigni” tra loro – quanto dice Paolo. “Essere tra gli apostoli è già una gran cosa, ma essere insigni tra di loro considera quale grande elogio sia; ed erano insigni per le opere e per le azioni virtuose. Accidenti, quale doveva essere la filosofia di questa donna se è stimata degna dell’appellativo degli apostoli! (PG 60,669-670).
Domande per attualizzare
L’ultimo capitolo della Lettera ai Romani smentisce un luogo comune: la misoginia di Paolo. Esso rivela, altresì, la tendenziosità di coloro che, nel corso della storia, hanno voluto spegnere i fari di luce che Paolo ha acceso sui ministeri femminili. Oggi diventa inaccettabile che tali ministeri non vengano ancora pienamente nominati e riconosciuti nella Chiesa cattolica, segno di una miopia spirituale, di un ritardo storico e di una mancanza di discernimento. Cosa pensi che si potrebbe fare perché questo dannoso vuoto possa essere colmato? Abbiamo visto come a Roma e nelle altre comunità paoline ci fossero donne diacone, apostole, collaboratrici di Paolo nell’opera del Vangelo: quali munera ritieni che debbano essere riconosciuti e consegnati alle donne oggi? Come possono i laici e le donne cattoliche stesse far sì che ciò avvenga in tempi ragionevoli e opportuni?
Per leggere e comprendere
Sotto ogni nome c’è una persona amata e profondamente legata a Paolo e il tono dei suoi saluti lo mostra con evidenza: il collante tra loro è l’amore grande per il Vangelo. La comunità è composta di uomini e donne, giudei e gentili, schiavi e liberi, con ruoli e storie e diversi: sono i “santi” di Roma. Diciassette uomini e nove donne chiamati per nome - più due anonime; cinque gruppi di persone che si identificano per la casa dove si riuniscono (da Prisca e Aquila, da Aristobulo, da Narciso, da Asincrito e da Filologo) come comunità ecclesiali. E se le donne sono meno rispetto agli uomini, esse sono, però, le più ammirate dal mittente e quelle che si vedono recapitati i più squisiti complimenti per il loro impegno evangelico: almeno sei di quelle nominate, più la mamma di Rufo, la quale, peraltro, Paolo chiama anche “madre mia” (v.13). Le Comunità romane sono tante e disposte non come una piramide, ma, verosimilmente, come un poliedro: più piccole e più grandi, più giudee o più etniche, più femminili o più maschili. La “chiesa” di Roma non viene mai citata come tale, eccetto quella che si riunisce a casa di Priscilla e Aquila (cf v.5); essa è una casa/comunità, cioè una realtà ricca e composita unita dalla fede e dallo Spirito dove ognuno ha il suo nome particolare, ma tutti si chiamano “santi”. Si può pensare che Febe fosse la postina della Lettera, perché Paolo invita i destinatari ad accoglierla “come si fa con i santi”. Ben quattro sono i titoli con cui Paolo la chiama: “sorella” (adelphè), “diaconessa” (diàkonos), “santa” (àghia), “protettrice” (prostàtis) uno in più di quanti non ne abbia dati a sé stesso nel prescritto (cf Rm 1,1: “servo, apostolo e riservato per il Vangelo). Il secondo titolo attribuito a Febe è quello di diacona: diàkonos. Il sostantivo è di genere maschile, ma nessuno ha mai discusso sul fatto che Febe fosse una donna. Paolo usa più volte, nella Lettera, questo termine per indicare il servizio di governo svolto nelle comunità civili (cf Rm 13,4) e per il suo servizio ai santi di Gerusalemme (cf 15,25). In Filippesi 1,1 i diaconi sono citati insieme ai Vescovi; inoltre Paolo attribuisce anche sé e ai suoi collaboratori il termine diàkonos (cf 1Cor 3,5; 2Cor 3,6; 6,4; 11,15.23 + Col 1,23.25; Ef 3,7), quanto non può non coinvolgere – tra le attività in esso contemplate - il ministero del Vangelo. Tra le coppie, oltre a quella di Prisca ed Aquila viene citata anche quella di Andronico e Giunia (v. 7) e quanto colpisce di loro è che Paolo li definisca: “esperti (epistemoi) tra gli apostoli”, oltre che suoi parenti (quindi Giudei), compagni di carcere e divenuti credenti prima di lui! Tra tutte queste nobilissime qualifiche quella che ha creato maggior stupore è il loro essere apostoli che include anche una donna, Giunia. Il problema nasce in merito al tipo di autorità che venisse attribuito con questo titolo: se potesse o meno trattarsi di un’autorità uguale a quella di apostoli come Pietro, Giacomo, Giovanni e, da ultimo, anche di Paolo. Giovanni Crisostomo conferma questo significato e legge in senso inclusivo – cioè come partecipi della comunità degli Apostoli e “insigni” tra loro – quanto dice Paolo. “Essere tra gli apostoli è già una gran cosa, ma essere insigni tra di loro considera quale grande elogio sia; ed erano insigni per le opere e per le azioni virtuose. Accidenti, quale doveva essere la filosofia di questa donna se è stimata degna dell’appellativo degli apostoli! (PG 60,669-670).
Domande per attualizzare
L’ultimo capitolo della Lettera ai Romani smentisce un luogo comune: la misoginia di Paolo. Esso rivela, altresì, la tendenziosità di coloro che, nel corso della storia, hanno voluto spegnere i fari di luce che Paolo ha acceso sui ministeri femminili. Oggi diventa inaccettabile che tali ministeri non vengano ancora pienamente nominati e riconosciuti nella Chiesa cattolica, segno di una miopia spirituale, di un ritardo storico e di una mancanza di discernimento. Cosa pensi che si potrebbe fare perché questo dannoso vuoto possa essere colmato? Abbiamo visto come a Roma e nelle altre comunità paoline ci fossero donne diacone, apostole, collaboratrici di Paolo nell’opera del Vangelo: quali munera ritieni che debbano essere riconosciuti e consegnati alle donne oggi? Come possono i laici e le donne cattoliche stesse far sì che ciò avvenga in tempi ragionevoli e opportuni?
Preghiera
Mi sono aperta come un libro
davanti a Te,
un libro pieno di misure terrestri,
un libro pieno dei fiori della giovinezza,
Signore,
un libro pieno dei miei sospiri d’amore.
E ad un tratto Tu sei comparso,
per me, che ero velata d’azzurro,
per me, che godevo la tenerezza della mia
adolescenza,
per me, che mi sentivo giovane
e pronta a tutte le battaglie della vita,
per me che avevo lo scudo della parola.
(Alda Merini)
Mi sono aperta come un libro
davanti a Te,
un libro pieno di misure terrestri,
un libro pieno dei fiori della giovinezza,
Signore,
un libro pieno dei miei sospiri d’amore.
E ad un tratto Tu sei comparso,
per me, che ero velata d’azzurro,
per me, che godevo la tenerezza della mia
adolescenza,
per me, che mi sentivo giovane
e pronta a tutte le battaglie della vita,
per me che avevo lo scudo della parola.
(Alda Merini)