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Leggere gli Atti per scoprirsi Chiesa missionaria

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Alessandro Gennari
Gennaio-Febbraio 2019

In un tempo di grande crisi come l’attuale la Chiesa è chiamata a rispondere a grandi sfide, anzitutto sul proprio ruolo nel mondo e nella storia. È invitata a ripensarsi mantenendo fede alla tradizione e dialogando con gli uomini e le donne del proprio tempo. Affinché tale dialogo sia autentico e fruttuoso, è indispensabile che i discepoli e le discepole di Gesù possiedano una chiara consapevolezza della propria identità, sul piano religioso e culturale.

Gli studi e le statistiche più recenti dipingono un quadro poco confortante della situazione ecclesiale italiana: oltre al calo di adesioni, ci troviamo dinanzi a un notevole vuoto di “contenuti”, per cui non stupisce che, alla richiesta di rendere ragione della propria fede, molti cristiani diano risposte vaghe e poco convincenti. Chi scrive non ha la pretesa di dispensare soluzioni facili per uscire dall’impasse. Piuttosto, questa riflessione iniziale, lungi dal cedere a un pessimismo che non ha nulla di cristiano, vuole essere una premessa per riscoprire un libro – gli Atti degli Apostoli –, che ha ispirato generazioni di cristiani fornendo i criteri fondamentali per definire l’appartenenza alla comunità nata dalla Pentecoste.

LE SFIDE DEI PRIMI CRISTIANI E LE NOSTRE

In un interessante studio di impostazione sociologica (Community and Gospel in Luke-Acts, 1987), Ph. F. Esler descrive il programma di Luca come un tentativo di giustificare il cristianesimo ai membri della propria comunità, in un tempo in cui erano esposti a pressioni sociali e politiche che facevano vacillare l’adesione alla fede. Insomma, verrebbe da dire che se anche il contesto storico, sociale e culturale, del I secolo era molto diverso dall’attuale, le sfide che i primi cristiani dovettero affrontare non erano molto diverse dalle attuali. A buon diritto D. Marguerat afferma che “scrivendo il suo dittico, Luca vuole indicare alla comunità dei suoi lettori cos’è, di dove viene, cosa l’ha costruita. Egli scrive per permettere loro di capirsi e di dirsi (agli altri, ai giudei, ai pagani)” (La prima storia del cristianesimo, 2002, p. 44).

UN CASO UNICO NEL NUOVO TESTAMENTO

Certamente il libro degli Atti costituisce un caso unico nel panorama letterario e teologico del Nuovo Testamento, dominato dai Vangeli da un lato e dal corpus epistolare dall’altro. Pertanto, è lecito chiedersi perché Luca, dopo aver narrato la “vita di Gesù”, abbia avvertito l’esigenza di interessarsi alle prime fasi della storia della Chiesa. Prima di rispondere a tale domanda, dobbiamo ricordare che, nell’intenzione originaria, i due libri facevano parte di un unico progetto letterario-teologico, come confermano i rispettivi prologhi (Lc 1,1-4; At 1,1-2). Quando però, attorno alla metà del II secolo, i racconti sulla vita di Gesù acquisirono una notevole rilevanza liturgica-cultuale e venne affermandosi il canone del Nuovo Testamento, gli Atti “scivolarono” dopo il Vangelo di Giovanni e prima delle lettere paoline, quasi a costituirne una sorta di grande introduzione storica a motivo della rilevanza data alla figura di Paolo nella seconda parte del libro.

AL CENTRO L’ANNUNCIO DEL REGNO DI DIO

Se consideriamo le due opere insieme, ci rendiamo conto che sono attraversate da un tema fondamentale: la centralità dell’annuncio del regno di Dio nella missione di Gesù e degli apostoli. L’accostamento di tre passi lo conferma: agli esordi della missione, «egli [Gesù] disse loro [ai suoi discepoli]: “È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato”» (Lc 4,43; cfr. 8,1.10; 9,2.11.60; 10,9); dopo la risurrezione, “egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio»; infine, Paolo, prigioniero a Roma, “dal mattino alla sera […] esponeva loro il regno di Dio, dando testimonianza, e cercava di convincerli riguardo a Gesù, partendo dalla legge di Mosè e dai profeti […]. Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo” (At 28,23.30-31). Alla luce di questi passi comprendiamo meglio il secondo volume. Narrando le prime fasi della nascita e costituzione della Chiesa, Luca vuole mostrare la continuità tra l’annuncio del Regno inaugurato da Gesù e la predicazione dei missionari del Vangelo, a conferma del fatto che il compito primario dei cristiani è proseguire l’opera evangelizzatrice del Maestro e di coloro che egli ha scelto come colonne portanti della sua comunità. Questa, dunque, è la missione che vede impegnate le comunità cristiane sparse nell’ecumene: annunciare il Vangelo a tutti gli uomini e le donne del proprio tempo, avendo come modello la vita della comunità nata dalla Pentecoste.

LO SCHEMA DI LUCA-ATTI

Volendo essere più precisi, dobbiamo rilevare con M. Grilli che Atti «non vuole esaltare le azioni di Pietro e di Paolo (le due figure principali), né semplicemente descrivere la vita della comunità cristiana delle origini, ma testimoniare raccontando “il viaggio” della parola di Dio da Gerusalemme, attraverso la Giudea e la Samaria, fino a Roma (cfr. At 1,8). Il fine è storico-salvifico; nel piano di salvezza, portato avanti da Dio nella storia, la sua Parola cresce e raccoglie intorno a sé Israele e le genti nel popolo santo di Dio» (Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, 2016, pp. 232-233). Lo schema geografico-teologico rilevato da Grilli (Gerusalemme, Giudea, Samaria, Roma) riprende la proposta di K.R. Wolfe (“The Chiastic Structure of Luke-Acts and Some Implications for Worship”, SWJTh 22/1980/60-71) di strutturare Luca-Atti secondo uno schema chiastico-speculare. Sia ben chiaro, l’individuazione di una struttura è finalizzata ad aiutare il lettore a orientarsi nell’opera, per coglierne il disegno complessivo e, di conseguenza, il messaggio fondamentale. Secondo Wolfe il dittico Vangelo-Atti è così articolato:

Galilea (Lc 4,14 - 9,50)
Samaria e Giudea (Lc 9,51 - 19,40)
Gerusalemme (Lc 19,41 - 24,49)
Ascensione (Lc 24, 50-53)

D’. Ascensione (At 1,4-11)
C’. Gerusalemme (At 1,12 - 8,1a)
B’ Giudea e Samaria (At 8,1b - 11,18)
A’. Fino ai confini del mondo (At 11,19 - 28,31)

Dallo schema e dalle considerazioni di Wolfe e Grilli emerge la centralità dell’annuncio del Vangelo. Ovviamente tra Vangelo e Atti ci sono anche altre connessioni, dettate soprattutto dal fatto che il progetto narrativo e teologico del Vangelo trova compimento negli Atti. Ad esempio, quando Gesù viene presentato al tempio, Simeone dice che il bambino sarà motivo di salvezza per Israele e le genti (Lc 2,30-32). Tuttavia, la profezia di Simeone si avvererà solo alla fine degli Atti, quando Paolo affermerà, rivolgendosi ai giudei: “Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse ascolteranno” (At 28,28, si noti la ricorrenza in questo passo come in Lc 2,30-32 dei vocaboli “salvezza” e “genti/nazioni”).

I LETTORI INVITATI A CONTINUARE L’OPERA DI EVANGELIZZAZIONE

Come risulta evidente dalla strutturazione di Wolfe, il racconto dell’ascensione, al termine del primo scritto e ripetuto all’inizio del secondo, svolge la funzione di cerniera tra i due. Eppure, non è una semplice ripetizione, perché il medesimo evento è descritto con accenti differenti. Alla fine del Vangelo (Lc 24,50-53), dopo aver promesso l’imminente dono dello Spirito, il Risorto sale al cielo assicurando ai discepoli la sua benedizione (Lc 24,51). All’inizio di Atti, il Risorto invita i discepoli a proseguire l’opera di evangelizzazione, con la forza dello Spirito (cfr. At 1,7-11), perché l’annuncio del Regno possa raggiungere gli estremi confini della terra. In realtà questo progetto è realizzato solo potenzialmente al termine del racconto. Roma, infatti, è il centro dell’impero, ma i confini della terra sono ancora lontani. Come interpretare tale finale? D. Marguerat, in La prima storia del cristianesimo (pp. 213-214) definisce l’ultimo quadro di Paolo prigioniero a Roma e impegnato nell’annuncio del Regno come un “finale aperto”, che solo il lettore potrà “completare”, con la propria testimonianza personale e ecclesiale. In altre parole, è come se Luca invitasse i lettori a proseguire l’opera mirabilmente inaugurata da Gesù, coraggiosamente portata avanti dagli apostoli e ora affidata alla comunità cristiana di cui essi stessi fanno parte, avendo come valido riferimento la testimonianza delle prime comunità, in primis quella di Gerusalemme nata dal prodigio della Pentecoste.

L’obiettivo delle prossime puntate di “Parola e Missione” sarà perciò orientato alla riscoperta del volto della Chiesa missionaria alla luce di alcune pagine scelte di Atti perché, con l’aiuto della Parola, possiamo adempiere fedelmente al mandato del Risorto: “di me sarete testimoni… fino ai confini della terra” (At 1,8).
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