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Enzo Bianchi "Il futuro della chiesa è nella sinodalità"

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Vita Pastorale - Dove va la chiesa - Maggio 2019
dal sito del Monastero di Bose

Papa Francesco, in modo autorevole e con grande frequenza, parla della necessità di vivere la sinodalità nella chiesa di oggi. A suo avviso, vivere e instaurare la sinodalità nella chiesa non è solo l’urgenza maggiore, ma proprio dalla pratica della sinodalità dipende il futuro della chiesa e il rimedio per molte patologie che oggi appaiono devastanti e dolorose.

Dopo il concilio Vaticano II eravamo abituati a parlare di “collegialità” episcopale e presbiterale, mentre il termine “sinodalità” raramente era presente nel linguaggio ecclesiale cattolico. E quando si evocava la sinodalità, lo si faceva in riferimento alle istituzioni delle chiese orientali-ortodosse, indicando con il termine “sinodo-sinodalità” la loro forma di governo. È significativo che negli anni di passaggio tra i due millenni sia stato delineato e presentato prima a Giovanni Paolo II e poi a Benedetto XVI un progetto per un sinodo permanente che fosse accanto al vescovo di Roma, per accompagnarlo nel suo ministero petrino di sollecitudine per tutte le chiese. Questo progetto venne elaborato da alcuni tra i più grandi teologi ed ecclesiologi e fu portato all’attenzione dei due papi con grande speranza. È così che il sinodo era pensato e desiderato, quale rinnovamento della forma di governo della chiesa.

Una volta diventato vescovo di Roma, Francesco, dopo aver fatto alcuni riferimenti alla forma sinodale quale assetto delle chiese ortodosse, dalle quali trarre insegnamento, ha cominciato a usare il termine “sinodo-sinodalità” con un significato molto più esteso: sinodo è un processo, è una modalità di vivere la chiesa; sinodo è il cammino ecclesiale che tutti devono fare insieme, perché i cristiani sono compagni di viaggio, “sinodali”; sinodo è l’espressione della fraternità dei battezzati; sinodo è la forma più visibile della comunione; sinodo è anche liturgia, essendo un atto di un’assemblea santa, sacramentale.

Occorre dunque assumere una concezione del sinodo e della sinodalità che vada oltre il significato di un evento puntualmente celebrato: la sinodalità come stile di vita ecclesiale, come processo simbolico, perché battezzati e gerarchia la vivono insieme, come processo pericoretico, perché si nutre della circolarità tra tutte le componenti della chiesa. Sì, va ammesso che non eravamo pronti a tale comprensione della sinodalità, e proprio per questo da un lato dobbiamo riconoscere un ritardo della riflessione teologica in merito, dall’altro dobbiamo confessare una reale difficoltà ad approdare a questa nuova comprensione indicata da papa Francesco.

A tale proposito, sarebbe molto importante la meditazione e la preghiera dell’Adsumus, un’orazione con cui da più di un millennio in occidente si aprono le assemblee sinodali. In questo testo, che è una vera epiclesi sull’assemblea, è infatti presente una “confessio peccatorum ecclesiae”, dunque una “penitenza” in cui la chiesa si riconosce peccatrice ma sa anche porsi in ascolto della parola di Dio e in ascolto reciproco tra fratelli e sorelle, per cercare attraverso il discernimento fatto insieme la sinfonia spirituale nelle valutazioni e nelle decisioni.

Sia però chiaro: in questa comprensione, un sinodo non può essere un’assemblea riservata ai “quadri”, alla gerarchia, a quanti sono a capo di gruppi o istituzioni, ma è un’assemblea dei battezzati in cui ognuno e tutti devono essere ascoltati, devono confrontarsi nel dialogo che non esclude i conflitti, devono trovare convergenze nella carità fraterna ecclesiale, devono produrre una deliberazione a cui obbedire. Questo secondo l’antico principio ecclesiale “quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet”; “ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere discusso e approvato”.

Per comprendere il processo sinodale, occorre affermare innanzitutto e sempre che la sinodalità può solo essere un cammino fatto insieme dai cristiani, sotto l’egemonia dello Spirito santo promesso dal Signore Gesù Cristo alla sua chiesa. Il sýn (insieme, con) non implica solo che i cristiani camminino insieme ma coinvolge anche l’azione dello Spirito santo che, invocato, scende, ispira e accompagna l’intero processo sinodale. O il sinodo è un evento in cui è lo Spirito ad avere il primato e ad agire, oppure non è un sinodo della chiesa, ma solo un’adunanza, un’assemblea, un’istituzione sociale. Perché nel sinodo deve sempre avvenire una “conversione del cuore”, un’ispirazione che indica, in-segna, mostra e rivela qual è il cammino della chiesa secondo la volontà di Dio. Detto altrimenti, deve trattarsi di un predisporre tutto affinché lo Spirito santo possa portare a termine il lavoro iniziato. Quali sono dunque le tappe da percorrere come “processo sinodale”?

All’inizio sta l’ascolto: ascolto della chiesa, ascolto nella chiesa, ascolto del mondo inteso quale umanità. Sempre emergono bisogni, sfide, crisi, conflitti che vanno in primo luogo letti e ascoltati, non tralasciati né rimossi. Tutto il popolo di Dio deve esercitare questa vigilanza e stare in ascolto. Gli Atti degli apostoli testimoniano che la sinodalità è stata percorsa dalla chiesa nascente già per ricostituire il gruppo dei Dodici mutilato dopo il tradimento di Giuda (cf. At 1,15-26). Poi si è compiuto un cammino sinodale per risolvere il conflitto sorto tra giudei ed ellenisti nella ripartizione e condivisione dei beni (cf. At 6,1-7), e lo stesso è avvenuto di fronte alla minaccia di uno scisma nella comunità cristiana tra missionari evangelizzatori dei pagani e la comunità dei giudeocristiani di Gerusalemme (cf. At 15,1-35).

Si tratta dunque di saper leggere e ascoltare la realtà con le sue inattese criticità. Ascoltare diventa dunque ascoltarsi l’un l’altro, nella volontà di imparare qualcosa dall’altro e di accogliersi reciprocamente: l’ascolto di tutti, membri forti o deboli, giusti o peccatori, intelligenti o semplici, giudei o greci, uomini o donne, è una confessione pratica e una celebrazione dell’unità dei battezzati in Cristo. Tutti hanno la stessa dignità di figli e figlie di Dio e perciò di fratelli e sorelle di Gesù Cristo: “un solo corpo, un solo spirito, una sola vocazione” (cf. Ef 4,4), un’unica comunione ecclesiale! La chiesa è una fraternità (adelphótes: 1Pt 2,17; 5,9), i cristiani sono “pietre vive dell’edificio spirituale” (1Pt 2,5) che è la chiesa e in ciascuno di loro è presente lo Spirito santo, l’unctio magistra, quel “fiuto” – dice papa Francesco – che li abilita a narrare le meraviglie compiute dal Signore, a riconoscere la sua azione e a vivere la propria esistenza come dinamica del Regno.

Comunità profetica, sacerdotale e regale, la chiesa si nutre della corresponsabilità di tutti, nella pluralità dei doni e dei ministeri donati dallo Spirito santo a ciascuno. Il cammino sinodale è il cammino di questa realtà che vuole percorrere la stessa strada, restare unita in una comunione reale, per giungere alla stessa meta: il regno di Dio. Prendere la parola è dunque essenziale nella vita della chiesa, perché significa comunicare, entrare in un confronto, in un dialogo che plasma quanti si ascoltano reciprocamente e crea in loro solidarietà e corresponsabilità. Così la sinodalità è generativa di una coscienza ecclesiale, di una fede pensata e motivata che rende ogni battezzato protagonista della vita e della missione della chiesa.

In questo ascolto “orizzontale” deve sempre essere presente l’ascolto del Vangelo, di “ciò che lo Spirito dice alle chiese” (cf. Ap 2 passim). Voglio dire “in questo ascolto” dei fratelli e delle sorelle, e non “accanto a questo ascolto”, perché non è possibile separare l’ascolto intra-umano dall’ascolto di Dio. Dio ci parla negli eventi, negli incontri con gli altri, nello spessore del quotidiano, sia che ascoltiamo la sua parola nella liturgia o nella lectio divina, sia che incontriamo i nostri fratelli e sorelle in umanità. Certo, per quanto riguarda l’ascolto occorre distinguere tra il versante liturgico e il contatto diretto con la Parola contenuta nelle Scritture, da una parte, e il versante dei segni dei tempi, della storia, della vita quotidiana, dall’altra.

Resta in ogni caso vero che questo primo passo dell’ascolto reciproco e della presa della parola è oggi il più difficile e faticoso, perché la sinodalità richiede obbedienza al Vangelo, appartenenza ecclesiale, formazione continua, disponibilità al mutamento e alla creatività: non siamo esercitati a questo ascolto e anche nelle comunità monastiche, che dovrebbero essere case e scuole di sinodalità, in realtà questa operazione è difficile, talmente difficile da cedere il posto a una generale dimissione e alla scelta di lasciare la parola, e quindi la decisione, all’autorità. Ma ripeto: il primo passo sinodale resta l’ascolto reciproco, la presa della parola da parte di tutti, nessuno escluso, la volontà di non nascondere o rimuovere i conflitti, che vanno affrontati, l’affermazione della fraternità attraverso il riconoscimento della soggettività dell’altro e della sua responsabilità. L’intera assemblea, e al suo interno ciascuno e ciascuna con l’ascolto e la parola, sono capaci di mostrare l’accordo “con tutta la chiesa” (sýn hóle tê ekklesía: At 15,22).

Dopo questa prima tappa, si impone di intraprendere un cammino al fine di decidere e deliberare. Gli organi ecclesiali di esercizio della sinodalità previsti finora – sinodo dei vescovi, sinodo diocesano, consiglio presbiterale e pastorale, consiglio pastorale parrocchiale – sono tutti consultivi, prevedono cioè una consultazione per raggiungere una deliberazione sinodale. Consultare significa accogliere un parere o una proposizione che vengono da un’assemblea o dai suoi membri, ma l’autorità non è vincolata a queste proposte. È vincolata a sollecitarle e ad ascoltarle, ma resta libera nel deliberare e non è neppure tenuta a onorare una maggioranza espressa in questo modo. La deliberazione nella chiesa si realizza con il concorso di tutti, ma mai senza l’autorità pastorale (papa, vescovo, parroco), la quale assume la responsabilità personale della decisione, e tuttavia “non si discosterà da opinioni o voti espressi in larga maggioranza, se non per gravi motivi di carattere dottrinale, disciplinare o liturgico” (Congregazione per i vescovi, Apostolorum successores 171, 2004). Va in ogni caso riconosciuto che, secondo il medesimo documento, nel sinodo tutti i membri sono chiamati a collaborare attivamente all’elaborazione delle dichiarazioni e dei decreti.

L’elaborazione della decisione di un’assemblea sinodale appartiene pertanto ai membri che la compongono, mentre la decisione spetta all’autorità pastorale che l’assume e la delibera. È vero che si ammette che l’espressione “votum tantum consultivum” (“voto solo consultivo”) sia inadeguata per indicare la sinodalità il cammino di comunione; ma siamo solo all’inizio di una nuova acquisizione di tutto il processo sinodale che oggi vuole assolutamente riconoscere la diversità dei carismi e dei ministeri e la qualità del popolo di Dio quale soggetto che, nutrito dal sensus fidei, è in un certo senso infallibile in credendo (Evangelii gaudium 119). I pastori insieme al popolo di Dio, in sýn-odós, devono “esaminare tutto e discernere ciò che è buono” (cf. 1Ts 5,21; Lumen gentium 12), cercando sempre insieme la conformità della vita e del comportamento del popolo di Dio con il Vangelo.

Discernere e deliberare è un atto ecclesiale, ispirato dalla parola di Dio, frutto dell’esame dei segni dei tempi, generato da un ascolto e da un confronto fraterno che necessita del concorso di ciascuno e di tutti per giungere a elaborare e decidere insieme ciò che in seguito è deliberato dall’autorità pastorale, la quale non può fare a meno del contributo dei diversi ministeri e carismi ecclesiali. La sinodalità non si esaurisce perciò in un evento celebrato (un sinodo) ma deve apparire quale stile quotidiano della chiesa: camminare insieme, pastori e popolo di Dio, nel pellegrinare che la chiesa tutta compie verso il Regno. “Ex concordantia subsistit ecclesia”; “la chiesa sussiste a partire dall’accordo, dalla concordia” tra tutte le sue membra.

Avviare processi sinodali nella chiesa è non solo urgente ma anche decisivo, per impedire una situazione di comunità cristiane sfilacciate che non sentono più la comunione nella chiesa locale e nella chiesa catholica, universale.
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