Clicca

G. Piana "Profezia e politica: Tra ideologia e utopia"

stampa la pagina
Giannino Piana 
"Profezia e politica: 
Tra ideologia e utopia"

Profezia e politica sono due modalità differenziate di approccio alla e di interpretazione della realtà, che presiedono a due forme diverse di intervento nei suoi confronti.
Ambedue necessarie allo sviluppo della vita collettiva, esse rispondono a esigenze diverse (e complementari), che vanno mantenute come tali distinte. Nel primo caso – quello della profezia – l’obiettivo perseguito è la tensione totale (ed esclusiva) all’ideale «accada quello che può». Il modello etico a cui essa rinvia è quello – secondo la nota distinzione weberiana – dell’«etica della convinzione» (o della «coscienza»), appannaggio del «santo» o del «martire» (del testimone puro che aderisce in maniera incondizionata ai valori pagando, se necessario, di persona). Nel secondo caso – quello della politica – l’obiettivo è, invece, costituito dall’efficacia dell’azione, dalla capacità che essa ha di determinare processi che incidano positivamente sulla realtà modificandola. Il modello etico a cui rinvia – per rimanere alla distinzione weberiana – è quello dell’«etica della responsabilità», propria del politico appunto e del professionista (dell’«uomo di azione» che mira a raggiungere il risultato, compromettendosi con la realtà).
La differenza tra i due atteggiamenti (e comportamenti) non implica tuttavia contrapposizione. Chi aderisce all’etica della responsabilità, se non intende indulgere verso una forma di mero e grossolano utilitarismo, non può fare a meno del ricorso ai valori (o ai principi), che diventano il criterio decisivo
di valutazione delle conseguenze delle proprie azioni. A sua volta, chi aderisce all’etica della convinzione deve rispettare chi è impegnato ad assumere decisioni che hanno a che fare con la conduzione della vita della società, e deve fare per questo concretamente i conti con i limiti e la complessità delle situazioni nella prospettiva dell’adesione al «bene possibile», accettando di conseguenza le necessarie mediazioni imposte dalla realtà.

l’importanza della profezia

L’importanza della profezia come stimolo per la politica è fuori discussione. E lo è soprattutto oggi in presenza di una situazione di degrado morale della politica che ha raggiunto livelli sempre più ampi e profondi.
Non si tratta infatti soltanto degli scandali da cui la politica è attraversata – dalle varie forme di corruzione alla falsificazione dell’informazione fino all’approvazione di provvedimenti che privilegiano interessi clientelari o di parte – ; si tratta, più radicalmente, della crisi di un ethos culturale condiviso, che coinvolge l’intera società civile. Il «disincantamento del mondo» – l’espressione è di Weber – conseguenza del processo di secolarizzazione, ha prodotto come esito il «politeismo dei valori» (è ancora Weber ad affermarlo), il venir meno cioè di quella piattaforma di valori comuni, che costituivano in passato il paradigma di riferimento per le scelte individuali e collettive.
La politica ha dunque oggi bisogno di rimettere al proprio centro un’istanza etica forte, di rifondare se stessa su presupposti valoriali irrinunciabili, che segnino l’orizzonte entro cui muoversi, il criterio ultimo (e decisivo) di discernimento delle proprie opzioni. In questo contesto va inscritta la funzione della profezia. L’impegno a tener desta l’attenzione ai valori e a promuoverli è un presupposto ineludibile al quale la politica non può (e non deve) rinunciare. La sollecitazione a non fermarsi, cullandosi sui risultati raggiunti, ma ad andare continuamente oltre, a considerare ogni sistema parziale e provvisorio e a muoversi in una prospettiva globale, integrando elementi nuovi non ancora considerati o facendo spazio a nuove proposte indotte dai nuovi bisogni emergenti è non solo importante ma essenziale. La buona politica è quella che si misura, con le mete ideali; che, verificando la distanza (mai del tutto colmabile) tra il mondo dei valori e la realtà, riconosce il proprio limite (e la propria insufficienza) e si dispone a coltivare un’attitudine di permanente rinnovamento.

il pericolo di un cortocircuito

Se dunque si dà (e non può non darsi) uno stretto rapporto tra politica e profezia, questo non significa (e non può significare) identificazione delle due funzioni, che devono conservare la propria autonomia. È come dire che il ricupero da parte della politica della tensione valoriale deve accompagnarsi al riconoscimento e al rispetto della propria specificità etica – quella già ricordata – legata ai fini che è chiamata a perseguire e ai mezzi ai quali deve fare ricorso per perseguirli.
La tendenza della profezia ad invadere il terreno della politica, a sostituirsi ad essa nella determinazione dei criteri in base ai quali operare le scelte riguardanti la conduzione della vita collettiva rappresenta una pericolosa tentazione, da sempre affiorante, sia pure a partire da diversi presupposti e per motivi diversi tanto all’interno della sinistra quanto di un certo mondo cattolico.
L’adesione a una ideologia totalizzante e/o la forte tensione ideale si traducono in una forma di radicalismo, che non tiene conto del limite e della complessità dei contesti entro i quali la politica è chiamata ad operare, e dunque degli spazi reali nei quali può esercitare il proprio potere di intervento. Il «meglio» diviene così nemico del «bene», nel senso che il perseguimento del «bene assoluto», e dunque il rifiuto del «bene possibile», e talora del «male minore» o della «riduzione del danno», finisce per tradursi nell’accettazione del «male peggiore».
Quanto questo sia vero è ampiamente documentato anche dalla storia del nostro Paese. Non è difficile constatare, ripercorrendo gli eventi dal primo Novecento ai nostri giorni, le derive alle quali l’assunzione di tale atteggiamento (e dei conseguenti comportamenti da esso scaturenti) ci ha condotto.
Sono molte le vicende che si potrebbero citare al riguardo. È sufficiente ricordare qui la scissione dell’ala sinistra del Partito socialista al Congresso di Livorno del 1921, proprio alla vigilia della nascita ufficiale del fascismo, con il conseguente (inevitabile) indebolimento dell’opposizione al regime. O ancora, per venire a tempi più recenti, la decisione di Rifondazione di togliere il sostegno al primo governo Prodi, con l’apertura della strada al governo Berlusconi; o, infine, le dure critiche di una parte consistente del Partito democratico – ex-comunisti e cattolici – ai governi Renzi e Gentiloni, che hanno favorito (insieme certo ad altri fattori) la nascita del governo attualmente in carica.
Il massimalismo dovuto all’adesione a una ideologia totalizzante o a una pretesa di trasferire immediatamente la profezia sul terreno politico non ha dato buoni risultati.
Nonostante questo, vi è chi si ostina (e non sono pochi) ad andare in tale direzione, per una sorta di cupio dissolvi – forse motivato (inconsciamente) dalla paura di fare i conti con la complessità del governare che comporta sempre una serie di mediazioni e di inevitabili compromessi (è più facile fare opposizione!) – che finisce per consegnare il potere nelle mani delle forze politiche peggiori. La storia non sembra insegnare molto a chi – laici e cattolici – milita nell’area della sinistra: gli errori di valutazione e di scelta si ripetono con un’insistenza sorprendente!

ridefinire l’identità politica

La possibilità di superare questa impasse è legata alla ridefinizione dell’identità stessa della politica. Si tratta di rifiutare, da un lato, una forma di realismo macchiavellico – quello della Realpolitik, per intenderci – e di rinunciare, dall’altro, a una forma di utopismo astratto e improduttivo per ricuperare come asse portante dell’azione politica il rapporto tra ideologia e utopia. La politica ha infatti bisogno di ambedue le componenti, ma esse vanno collocate al giusto posto, perché possano interagire correttamente tra loro.
La prima componente – l’ideologia – è essenziale per la costruzione di una progettualità, che faccia superare alla politica il rischio di ridursi a inseguire, giorno dopo giorno, le emergenze, senza una vera prospettiva di cambiamento e di apertura al futuro. La crisi delle grandi ideologie totalizzanti del «secolo breve», che hanno dato vita a regimi totalitari, ha finito per dare l’ostracismo ad ogni forma di ideologia – il termine ha acquisito nel linguaggio comune una valenza del tutto negativa – facendo di fatto spazio allo sviluppo del cosiddetto «pensiero unico» del mercato (una forma di ideologia negativa) e asservendo alla logica mercantile le stesse scelte politiche. Il ritorno all’ideologia – a una forma di ideologia consapevole della propria relatività e finalizzata alla prassi – è la via obbligata per restituire una visione all’azione politica, orientandola verso obiettivi ben definiti.
D’altra parte, la consapevolezza del limite dell’ideologia, del pericolo che essa si trasformi in sistema totalizzante; che si faccia strada, in altre parole, la presunzione che attraverso di essa si possa pervenire alla definizione di un modello perfetto di società, e che si tenda autoritariamente ad imporlo, rende evidente la necessità dell’apertura ad un orizzonte mai del tutto circoscrivibile, l’orizzonte dell’utopia (che ha peraltro una consonanza profonda con la profezia). Compito di quest’ultima è infatti quello di sottoporre a critica permanente quanto è stato raggiunto e di sollecitare la tensione ad andare costantemente oltre. La spinta a proiettarsi in avanti, non adagiandosi sui risultati raggiunti nella convinzione che esistono altri cammini e altri traguardi possibili, e che nessuno può essere considerato definitivo – l’utopia è qui concepita come ciò che non ha luogo ma può averlo – dà alla politica una dinamicità, che la fa capace di interpretare i veri bisogni dell’uomo e della società.
L’intreccio di ideologia e utopia si dispiega, in definitiva, nella dialettica tra scelta ideologica e coscienza utopica. E come dire che si tratta di mettere in atto scelte ideologiche con coscienza utopica; che occorre, in altri termini, fare spazio a progetti situati, ispirati a valori irrinunciabili e capaci di incarnarli nella concretezza delle situazioni, non rinunciando a sottoporle tuttavia a costante revisione. Non è forse questa la grande lezione dell’escatologia cristiana, la quale, attraverso l’annuncio del «già» e del «non ancora» del Regno, spinge chi crede ad impegnarsi fino in fondo a cambiare il mondo e insieme lo stimola a vivere nell’attesa di un futuro assoluto che verrà offerto come dono dall’alto? Profezia e politica trovano qui una perfetta coniugazione, mantenendo la loro diversità di funzioni e cooperando insieme alla realizzazione di un mondo più a misura dell’uomo.

Giannino Piana
stampa la pagina



Gli ultimi 20 articoli