I chiarimenti di Alberto Maggi sul ruolo di Maria
"Pur animati da riconoscente amore, sovente si tende a esagerare, ad attribuire a Maria, che è pur sempre una creatura, anche se sublime, un ruolo che non le compete, e a trasformarla in una dea, degradando la devozione in idolatria". Su ilLibraio la riflessione di Alberto Maggi: "Nella legittima venerazione per la madre di Gesù, si sono mescolate devozioni e superstizioni, intrufolate tradizioni e credenze che poco o nulla avevano a che fare con il vangelo"
Ottobre è da sempre il mese mariano, secondo una tradizione con la quale si intende rendere omaggio alla singolare ragazza di Nazaret, che, fidandosi del disegno di Dio su di lei, è diventata la più benedetta fra le donne (Lc 1,42). Maria, vibrando in totale sintonia con l’onda d’amore che tiene in vita la creazione, si è aperta allo Spirito che “fa nuove tutte le cose” (Ap 21,5), ed è divenuta capace di accrescere in sé così tanto la vita, da poterla comunicare all’intera umanità, trasformandosi nella “madre dei viventi” (Lumen Gentium, 56).
Ma se è vero che “di Maria non si dice mai abbastanza”, forse a volte ci vuole anche il pudore di tacere, perché, pur animati da riconoscente amore, sovente si tende a esagerare, ad attribuire a Maria, che è pur sempre una creatura, anche se sublime, un ruolo che non le compete, e a trasformarla in una dea, degradando la devozione in idolatria.
Per questo la Chiesa insegna che la vera devozione a Maria non consiste “in una vana credulità, ma procede dalla fede vera, dalla quale siamo spinti all’imitazione delle sue virtù” (LG, 67). E la virtù per eccellenza, quella che ha reso grande la Madonna, è la fede. Maria si è fidata, ha creduto veramente che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37).
La vergine di Nazaret ha saputo accogliere in lei il disegno del Creatore, che voleva, attraverso questa creatura, realizzare qualcosa di nuovo, originale, inedito. Maria è segno tangibile di quel che Dio può realizzare con ogni creatura che non metta ostacoli alla potenza del suo amore. La fede di Maria, alla quale ogni credente tende, è pertanto quella di fidarsi di un Padre che ha a cuore il bene dei suoi figli, e per questo trasforma ogni evento della vita, anche quelli più negativi, in opportunità di crescita e occasione di ricchezza.
Ma non è stato facile per Maria credere, fidarsi. Il suo cammino è stato un percorso doloroso, fatto di sofferenza e difficoltà. La sua intera esistenza fu all’insegna dell’incomprensione e del dolore (Redemptoris Mater, 16), senza alcun privilegio dal cielo, che la potesse far sentire una creatura privilegiata, inimitabile.
Purtroppo nei secoli, “Pur animati da riconoscente amore, sovente si tende a esagerare, ad attribuire a Maria, che è pur sempre una creatura, anche se sublime, un ruolo che non le compete, e a trasformarla in una dea, degradando la devozione in idolatria”. “Nella legittima venerazione per la madre di Gesù, si sono mescolate devozioni e superstizioni, intrufolate tradizioni e credenze che poco o nulla avevano a che fare con il vangelo” – L’intervento, e così il messaggio cristallino della buona notizia è stato inquinato e ha offuscato il volto della madre del Cristo. Per questo il Concilio Vaticano II richiama “i teologi e i predicatori della parola divina ad astenersi con ogni cura da qualunque falsa esagerazione, come pure dalla grettezza di mente nel considerare la singolare dignità della Madre di Dio” (LG 67). Pericolo richiamato anche da Paolo VI, che mette in guardia dalla “vana credulità, che al serio impegno sostituisce il facile affidamento a pratiche solo esteriori”. Ed è attuale più che mai il dovere e l’impegno di rinnovare quelle forme che, “soggette all’usura del tempo, appaiono bisognose di un rinnovamento che permetta di sostituire in esse gli elementi caduchi, di dar valore a quelli perenni…” (Marialis cultus 24,38).
Se non si tiene presente questo invito a sostituire elementi transitori con quelli duraturi, si rischia di attribuire a Maria ruoli che non le competono, proiettando in lei le funzioni che sono specifiche della divinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Maria, la “serva del Signore” (Lc 1,38), si è guardata bene dall’usurpare queste prerogative, ma lo hanno fatto i fedeli.
Chi protegge
Gesù, nei discorsi d’addio, narrati dall’evangelista Giovanni, rassicura i suoi discepoli che non li lascerà soli, perché sempre sarà in loro lo Spirito Santo nel suo ruolo di paraklitos, vocabolo greco di difficile traduzione. Il paraklitos è colui che viene chiamato in soccorso, colui che protegge, aiuta, difende. Ebbene Gesù assicura che lo Spirito, come protettore, non giunge nei momenti di pericolo, ma la sua presenza è continua, perché il Padre non viene incontro ai bisogni della comunità, ma li precede: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito, perché rimanga con voi per sempre” (Gv 14,16). Pertanto i credenti continuano sereni il loro operato, nella certezza che questo Spirito non li abbandona mai, ma è con loro per sempre.
In passato si proiettò nella sfera divina quella che era la realtà quotidiana. In tempi dove l’unico modello famigliare era quello patriarcale, i ruoli erano rigidamente definiti. Il padre rappresentava l’autorità, la severità e il castigo. I figli non avevano con il padre confidenza e familiarità, ma timore. Per fortuna che c’era la madre, che faceva da cuscinetto tra il padre e i figli. Se un figlio aveva bisogno di qualcosa, non osava richiederlo direttamente al padre, ma ricorreva all’intercessione della madre, che poi, in un momento che riteneva idoneo, avrebbe passato la richiesta al marito. La madre era anche colei che spesso si frapponeva tra l’ira del padre sui figli e il castigo, e sovente molte mogli hanno ricevuto su di sé la violenza diretta ai figli.
Tutto questo, proiettato nella realtà divina, ha portato i credenti ad avere timore nei confronti di Dio, di ricorrere a una madre che intercedesse per loro, e qui si ritagliò un ruolo per la figura di Maria. Nonostante Gesù nel suo insegnamento avesse assicurato che nella preghiera occorre rivolgersi direttamente al Padre, si cominciò a dirigersi a Maria perché intercedesse presso Dio, e così l’esaudimento della preghiera sembrava più sicuro. Ma soprattutto, Maria divenne il parafulmini dell’umanità per l’ira divina e, sempre più espropriando il ruolo dello Spirito, venne venerata come colei che protegge gli uomini. Ma da che dovrebbe proteggere Maria? Non certo da Dio, il Padre che non castiga ma perdona, e che rivolge il suo amore anche sugli ingrati e i malvagi (Lc 6,35). Dalle calamità naturali, dai mali, dalle sventure? Ma queste continuano a succedersi in ogni epoca.
Allora, quale è il ruolo di Maria? E quale la relazione del credente con la Madonna? Molti Padri della Chiesa, da Atanasio a Epifanio, da Agostino a San Cirillo d’Alessandria, si riferivano a lei come a una sorella nella fede, e Paolo VI, rilanciò questo titolo di Maria come Sorella (Discorso conclusivo del III periodo del Concilio Vaticano II). Sorella con la quale ripercorrere l’identico percorso di fede, nella certezza che, nonostante le avversità della vita e le difficoltà, “tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio” (Rm 8,28).