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VII domenica del tempo Ordinario (Luciano Manicardi) domenica 20 febbraio 2011

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Anno A
Lv 19,1-2.17-18; Sal 102; 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48 

Dalla santità di Dio discende il comando di amare il prossimo come se stessi (I lettura); dalla perfezione di Dio sgorga il comando di amare il nemico (vangelo). I testi propongono un’etica teologale, un’etica che trova nell’essere e nell’agire di Dio per l’uomo il suo fondamento. Il criterio etico che orienta l’agire umano può essere espresso così: “Come Dio ha agito verso di te, così agisci anche tu verso gli altri”. Così, non solo viene superato il livello della vendetta, del “Fai anche tu all’altro ciò che egli ha fatto a te”, ma viene fondato e reso praticabile l’amore del nemico grazie alla fede in Cristo che ha amato anche i nemici.

Le parole di Gesù in Mt 5,38-42 affrontano il problema della violenza. Se già la legge del taglione è un argine alla violenza indiscriminata e smisurata, Gesù propone una pratica di attiva non-violenza applicata a diversi ambiti. Ma prima ancora di propone una strategia che si oppone alla violenza, la Bibbia e la parola evangelica in particolare, aiutano l’uomo a discernerla, a smascherarla anche nei suoi camuffamenti e a riconoscere che essa non ci è estranea.

Il caso dello schiaffo (v. 39) si riferisce ai casi di esplosione violenta nelle relazioni famigliari e sociali di ogni giorno, dunque all’ambito della vita quotidiana. Tutti noi conosciamo una violenza quotidiana e sottile che – senza spargimento di sangue e senza far volare schiaffi, ma lasciando il cuore profondamente ferito – si gioca all’interno delle relazioni famigliari, dei rapporti tra fratelli, tra genitori e figli, tra uomo e donna, quella dell’uomo che non sa addomesticare l’animalità che abita il proprio cuore, quella che comincia “in forma nascosta o appena visibile, che si insinua di soppiatto in uno sguardo, un atteggiamento, delle parole” (André Wénin).

Il caso intravisto nel v. 40 riguarda un processo per pignoramento: sono intraviste le situazioni di ingiustizia e violenza sociale, strutturale; le istituzioni che, poste a servizio della giustizia, possono divenire strumenti di ingiustizia. Possiamo pensare alla violenza della burocrazia con la sua impersonalità e la sua indifferenza all’individualità umana.
Il caso del v. 41 si riferisce a prestazioni coatte, ad angherie, alla violenza dell’abuso, del piegare la volontà dell’altro a fare ciò che vogliamo noi. E l’ambito dell’abuso abbraccia il piano fisico e sessuale, psicologico e spirituale.
E può configurarsi come violenza anche la pressione, l’insistenza di una domanda per ottenere denaro e prestiti (v. 42). L’ambito economico è certamente scatenante cupidigia e violenza.

Gesù chiede al credente di non opporre resistenza al malvagio: questa dimensione negativa sarà completata dal comando positivo di amare il nemico (v. 44). Se la violenza fa parte del mondo irredento, essa si oppone al Regno di Dio e non può rientrare nella prassi messianica.
La richiesta di amare i nemici si situa al cuore della “differenza cristiana”: che cosa differenzia il cristiano rispetto a pagani e pubblicani, a indifferenti e non credenti? Gesù chiede ai credenti di uscire dalla chiusura in ciò che è omologo, simile, reciproco, autoreferenziale: amare chi già ci ama, salutare solo i propri fratelli. Si tratta invece di osare l’alterità, di avere il coraggio della diversità e di vincere con l’amore la paura del diverso e dell’altro. Fattore di violenza è l’assolutizzazione del medesimo, dell’identico, che si può tradurre nella riduzione delle relazioni sociali alla mera materialità del dato naturale, alla esaltazione della consanguineità, dell’omogeneità del dato etnico.

Praticare l’amore verso il nemico contiene in sé una promessa escatologica che ha dei risvolti storici nell’oggi: “affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli” (v. 45). Vivere l’amore del nemico significa essere immersi nell’amore di Dio che in Cristo si è manifestato come amore per i nemici: tale immersione rigenera il credente, lo fa nascere nella prassi a figlio di Dio, appartenente a Dio e somigliante a Gesù Cristo. Alveo e matrice di questa nascita alla somiglianza con Dio (cf. v. 48) è l’esperienza dell’amore universale di Dio, del suo amare buoni e cattivi, della sua bontà incondizionata.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero
Fonte: MonasterodiBose
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