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Marinella Perroni "Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò"

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Siamo sempre stati convinti, forse, che le parole con cui si conclude il primo racconto della creazione contenuto nel libro della Genesi parlino del riposo di Dio: «Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando» (2,2-3). La logica c’è: dopo la fatica, viene il giusto riposo. Un diritto anche per Dio stesso.

In fondo, nelle nostre società occidentali l’alternanza lavoro-riposo, che riflette in ambito sociale quella biologica veglia-sonno, è ritenuta, oltre che una necessità, un diritto e su questo sfondo va capita la discussione mai sopita sull’apertura dei supermercati il Primo maggio oppure sulle ferie retribuite. Non è del tutto giusto, invece, quando in questa discussione si fa entrare anche la domenica. Il “giorno del Signore”, infatti, non dovrebbe essere omologabile ad altre feste civili perché ha un significato ben diverso da quello che viene dato ai giorni di riposo dall’organizzazione sociale o dall’etica del lavoro. È vero che la scansione del calendario lavorativo riproduce di fatto un compromesso tra ricorrenze civili e festività religiose proprie della tradizione di maggioranza del gruppo umano a cui si riferisce. Questo spiega, evidentemente, perché in Italia il giorno di riposo sia quello cristiano e non il venerdì islamico o il sabato ebraico. Dice anche però che, inevitabilmente, man mano che le nostre società divengono sempre più multiculturali e multi religiose anche la convenzione di cui è espressione il calendario ha bisogno di essere ripensata. 

Il testo di Genesi, comunque, non vuole tanto legittimare, prendendo esempio addirittura dal riposo di Dio, una scansione del tempo in sette giorni di cui sei siano di lavoro e uno di riposo. Il racconto non dice soltanto infatti che Dio il settimo giorno si riposò da ogni lavoro che aveva fatto creando, ma afferma con forza che quel giorno, il settimo, Dio lo benedisse e lo consacrò. Sta qui, in questi due verbi, tutto il significato del testo. Si tratta di un vocabolario a forte coloritura liturgica: Dio vuole che un giorno sia qualitativamente diverso dagli altri sei e lo “consacra” cioè lo riserva per sé, ne fa una realtà che gli appartiene. Tutto il resto della creazione, dagli astri agli animali agli umani, ogni cosa vive secondo — potremmo dire — le regole specifiche della propria “specie”: le acque devono essere separate, il sopra e il sotto non possono essere confusi, tra animali e umani la possibilità di comunicazione non è né assoluta né totale, solo i due principi fisiologici del maschile e del femminile consentono la procreazione e, con essa, la sopravvivenza della specie. La capacità creativa di Dio sta nel rivelare quale sia la garanzia che il caos non riprenda il sopravvento: l’umano individuale e collettivo è a somiglianza di un Dio che è capace di dare dei limiti perfino alla sua stessa potenza creativa e il pieno senso teologico del sabato sta allora nel rivelare che la pienezza della potenza sta proprio nella sospensione della propria capacità di potenza. 

Dopo il tempo dell’Esodo Israele tradurrà il senso profondo della santificazione del sabato nell’osservanza di un comando: «Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato» (Esodo 20,8-11). 

Ci deve far riflettere: il riposo dal lavoro è un diritto, la santificazione di un giorno per Dio è un comando. Forse la crisi profonda della precettistica domenicale, che pretendeva di consacrare il giorno del Signore con una messa forzata, si rivelerà una benedizione. Non sarà facile uscirne, certo, perché richiede di ritrovare il senso profondo di un rapporto con tutta la realtà del mondo che passa attraverso la forza creativa di Dio. Una forza che ci insegna, potremmo dire parafrasando il libro biblico del Qoelet, che: «C’è un tempo per fare e un tempo per astenersi dal fare» (3,1-11), forse cominceremmo.


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