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Sabino Chialà "L'esercizio della parresia: tra fiducia e parola libera"

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All’esercizio della coscienza che, come abbiamo visto, interessa in primo luogo l’intimo del soggetto, segue necessariamente la pratica della parola, con cui ciò che è stato pensato viene espresso in modo da poter essere condiviso. Al pensiero segue la parola e dunque, come il buon uso della coscienza può produrre un pensiero sano e ponderato, un buon uso della parola potrà rendere efficace la comunicazione.
Mi sembra perciò opportuno far seguire alla prima parte di questo libretto una seconda dedicata al tema della parresia, utile e necessario complemento. Quello della comunicazione è un tema ben più ampio e complesso di ciò che il termine parresia indica. Tuttavia in quest’ultimo è racchiuso l’essenziale di quella che definirei una parola efficace e rispettosa, pur nella sua ambiguità che già il termine greco porta in sé, essendo utilizzata a volte in senso positivo, come parola franca e fiduciosa, altre volte con un’accezione negativa di parola sfrontata e di familiarità eccessiva e inopportuna, e dunque deleteria. 
Come la coscienza, anche la parresia è soggetta a fraintendimenti, mostrando tutta la sua ambiguità. Non di rado ci si appella a essa facendone un alibi per giustificare parole che feriscono il dialogo anziché renderlo più autentico e costruttivo. Parole violente e impudiche che sono spacciate per parole di parresia, vale a dire esigenze di verità; o l’eccesso di uno sfogo, presentato come franchezza di cui una relazione autentica necessita. Soprattutto nell’era delle comunicazioni facili, quando i social inducono a parole immediate e non sufficientemente meditate, a parole affidate a un vettore che non è possibile controllare, come lanciate nell’aria, il bisogno di un’etica della comunicazione si fa quanto mai urgente. 
Nelle pagine che seguono non ho la pretesa né di scandagliare l’ampio mondo della comunicazione, né quello più specifico dell’uso dei social che, peraltro, apprezzo nelle loro enormi potenzialità, allorché impiegati con criterio e responsabilità. Intendo solo riflettere sul valore della parresia come qualità del comunicare e sulle sue esigenze (1). 
Anche il tema della parresia, come quello della coscienza, ha conosciuto una discreta attenzione da parte di teologi e filosofi. Penso in particolare a una famosa serie di lezioni tenute da Michel Foucault al Collège de France, tra il 1982 e il 1984 (2), e, per la riflessione teologica, a un’altra interessante monografia del francescano Bernard Forthomme, intitolata La voie libre. Théologie du franc-parler (3), cui si aggiungono altri contributi, tra cui segnalo quelli raccolti in un numero della rivista Servitium del 1983, intitolato: Dire la verità (4); o le poche ma intense parole di Dietrich Bonhoeffer in un suo testo rimasto incompiuto, dal titolo: Cosa significa dire la verità? (5). 
Quello che mi propongo nelle pagine che seguono è, interrogando in particolare le Scritture giudeo-cristiane, delineare un percorso di comprensione di un tema così cruciale e complesso, al fine di identificarne i tratti essenziali, e soprattutto le dinamiche che possono condurre all’esercizio concreto di una parola detta con parresia, distinguendone l’autenticità dalle sue contraffazioni. Inizierò con tre considerazioni a carattere introduttivo circa: il significato delle parole e la loro ricorrenza, alcune figure di uomini e donne di parresia di cui parla il NT e gli esempi di parresia vissuta da Gesù. Quindi, in una seconda parte, cercherò di soffermarmi a riflettere su tre questioni più pratiche: quale parresia è possibile agli esseri umani, dove si fonda una tale parresia e come la si esprime. 

NOTE:

1 Circa il tema della comunicazione, particolarmente nelle comunità religiosa, rimando a: L. Manicardi, La comunicazione nella comunità religiosa, Qiqajon, Magnano 2003; Id., Verso un’etica della parola, Qiqajon, Magnano 2015. 

2 Cf. M. Foucault, Il governo di sé e degli altri. Corso al Collège de France (1982-1983), a cura M. Galzigna, Feltrinelli, Milano 2009; Id., Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri, II. Corso al Collège de France (1984), a cura M. Galzigna, Feltrinelli, Milano 20182. 

3 B. Forthomme, La voie libre. Théologie du franc-parler, Facultés jésuites de Paris, Paris 2014. 

4 Cf. Servitium III s. 28 (1983). Cf. anche: K. Rahner, “Parrhesía: la virtù dell’apostolato cristiano”, in Id., Le virtù dell’annuncio. Saggi scelti, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013, pp. 65-77; L. Boros, Sulla veracità e sull’amore. Meditazioni teologiche, Queriniana, Brescia 1968; C. Vaiani, “Parresía: dire tutto e dirlo bene”, in Temi contemporanei di spiritualità. Natura, potere, parresia, compassione, a cura di C. Stercal, Glossa, Milano 2014, pp. 55-81; E. Cattaneo, “‘Parrhesia’: la libertà di parola nel primo cristianesimo”, in La Civiltà Cattolica 4009 (2017), pp. 16-28. 

5 Pubblicato in appendice alla traduzione italiana dell’Etica: D. Bonhoeffer, Cosa significa dire la verità?, in Id., Etica, pp. 309-316. 


AUTORE Sabino Chialà (Locorotondo 1968) è monaco e priore di Bose dal 2022 a oggi. Studioso di ebraico e siriaco, si è dedicato in particolare allo studio della figura e dell’opera di Isacco di Ninive, di cui ha recentemente pubblicato la prima traduzione italiana completa della prima collezione dei suoi scritti.


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