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Il sacerdozio femminile non è un problema teologico, ma culturale. Intervista a Selene Zorzi

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Il tema del sacerdozio femminile è stato bocciato dal recente Sinodo, spacciandolo come un “problema teologico” per i cristiani cattolici. Eppure c’è chi nel mondo cattolico da anni sostiene che questo sia un problema politico-culturale che non c’entra con la teologia, ma bensì con il clericalismo, con il sessismo della Chiesa cattolica e con la struttura di potere patriarcale delle gerarchie vaticane. Ne abbiamo parlato con Selene Zorzi, teologa femminista, filosofa ed ex-monaca benedettina, docente stabile straordinaria di Teologia Spirituale e Patrologia all’Istituto Teologico Marchigiano, ex-docente di Antropologia Teologica, Filosofia Antica e Patrologia all’ISSR di Ancona, ex-docente incaricata di Filosofia al Pontificio Ateneo S. Anselmo (dove ha conseguito il Dottorato in Storia della Teologia) ed ex-docente di Teologia Spirituale alla Pontificia Università Lateranense. Laureata in Filosofia presso l’Università Roma Tor Vergata, dopo il Baccellierato, si è licenziata in Teologia e Scienze Patristiche presso l’Institutum Patristicum Augustinianum, con una tesi su Agostino. Tra le più appassionanti teologhe italiane contemporanee, si occupa di studi femministi e di genere e di ecoteologia. Tra le sue pubblicazioni: “Desiderio della Bellezza (eros tou kalou) da Platone a Gregorio di Nissa: tracce di una rifrazione teologico-semantica” (Roma 2007); “Antropologia e teologia spirituale. Per una teologia dell’io” (Cinisello Balsamo 2014); “Il genere di Dio” (La meridiana 2017), “Sorelle Tutte” (La meridiana 2021) in critica all’enciclica “Fratelli Tutti” ed è stata co-redattrice della rivista telematica “Reportata. Passato e presente della teologia”. È membro del Coordinamento Teologhe Italiane di cui ha ideato e gestito il sito (2003-2013).

Il Sinodo recente ha stabilito un no ferreo al sacerdozio femminile, figuriamoci il diaconato per le donne, e si ripropone il celibato obbligatorio per i preti. Dove è dunque l’innovazione che tutti si aspettavano? 

Forse risulterò un po’ cinica, ma io non mi aspettavo molto da questo sinodo e con me forse molti altri. I sinodi prospettano idealmente dialogo, ma di fatto sono tristi consessi dalla maggioranza di uomini maschi, di una certa età, abituati a stare al mondo da privilegiati. Alle poche donne che ci sono, trattate in modo paternalistico, sembra venir concessa libertà di parola, ma in un contesto di minoranza ove ogni parola divergente viene guardata con la tenerezza di ciò che alla fine non potrà mai andare a sconvolgere troppo le linee di fondo di un sistema statico, lento e lutulento. In generale la Chiesa cattolica ha tempi tutti suoi, lunghi, non certo quelli della vita delle persone di questo mondo in rapidacion, e quindi non ci si può aspettare da essa risposte in tempo per le questioni delle nostre vite singole e brevi. Ci arriverà, ma con i suoi tempi. Ma per fortuna la chiesa istituzionale non coincide con la chiesa escatologica.

Perché, per i preti cristiani cattolici di rito romano, il celibato deve essere obbligatorio, mentre per i preti cristiani cattolici greco-melchiti, per esempio, non lo è e, addirittura, possono avere figli e famiglia? Perchè per loro il problema non si pone pur essendo cattolici?

Si tratta di tradizioni diverse. Le stesse comunità cristiane delle origini erano tra loro molto diverse per credenze, abitudini e riti a seconda dei luoghi e dei riferimenti testimoniali. Esigenze e comunità diverse hanno creato tradizioni ecclesiastiche diverse prodotte da scelte di uomini che nel corso della storia sono state inserite per motivazioni diverse. Concili antichi locali spesso stabilivano leggi che non valevano per tutto il territorio ma solo localmente. Il Concilio di Elvira nel IV secolo è il primo sinodo che impose ai chierici l’astensione dal matrimonio e dalla procreazione, fu un concilio in Spagna. Nella Chiesa latina,a quel tempo unificata politicamente, il celibato venne reso obbligatorio per tutto il clero occidentale nel 1135, quando il modello del prete venne fortemente monasticizzato, con conseguente ossessione rigorista sulle leggi di purità. L’Oriente invece aveva avuto una diversa tradizione: il grande Gregorio di Nazianzo in Cappadocia nello stesso IV secolo era figlio di un vescovo, il vescovo di Arianzo. Quello che, di fronte all’evoluzione delle tradizioni storiche, mi sconcerta è questa domanda: dal momento che è sotto i nostri occhi che sempre si sono fatte determinate scelte in certi tempi, ad opera di uomini che hanno ritenuto giusto per un qualche motivo fare quelle scelte, perché oggi non riusciamo semplicemente a farne altre?Per esempio Papa Francesco ha eliminato d’amblais l’impedimentum sexus che grava per diritto canonico sull’esclusione delle donne dall’ordine (ne ho parlato in vari contributi su Rocca). Solo che l’ha eliminato solo per i ministeri. Ciò però dimostra che non ci vorrebbe poi tanto, solo un po’ di buona volontà. L’errore è guardare alla tradizione pensando si tratti di qualcosa di monolitico, presente fin dall’inizio in modo unitario e immodificabile. Invece studiando anche solo un po’ la storia della teologia ci si rende conto che la tradizione è andata avanti proprio perché si è sempre modificata riuscendo ogni volta a superare nuove sfide e così a rinnovarsi.

Quello che però non va sottovalutato è che anche nelle chiese cattoliche di diverso rito dove si ammette il matrimonio dei chierici, resta una mentalità clericale: questi preti fanno un diverso percorso di formazione, sono designati con parole dispregiative e non possono diventare vescovi.

Papa Francesco ha dichiarato nell’intervista al TG1 che per i cattolici il sacerdozio femminile “è un problema teologico”. Davvero c’è un problema teologico riguardante il sacerdozio femminile o siamo di fronte alla struttura patriarcale della Chiesa?

Non c’è base biblica, storica, teologica o di tradizione per l’esclusione delle donne dal ministero ordinato. Lo hanno dimostrato tantissimi studi dell’ultimo secolo. Siamo alla terza commissione istituita fin dagli anni ’70 per affrontare il problema, e ogni volta non si capisce perché, gli esiti devono essere ridiscussi.

Le donne hanno avuto ruoli di potere, profezia, culto e guida di comunità nel corso del cristianesimo, anche e soprattutto primitivo. Nel corso dei secoli poi il loro ruolo è stato sempre più ristretto sulla base di una cultura di genere che le ha collocate in ruoli di subordinazione e dipendenza. Il concetto di ordinazione con le sue funzioni e i suoi riti è cambiato notevolmente nel corso della storia come anche le motivazioni per l’esclusione delle donne da esso.

Ciò a cui fa riferimento il Papa è una posizione teologica, peraltro piuttosto recente,se guardiamo le tante diverse motivazioni apportate nel corso dei secoli per escludere le donne dall’ordine, e che risale a H.U.von Balthasar. È una posizione teologica che si basa su una ideologia della differenza sessuale oramai superata da tempo e cioè quella che ipotizza che i generi abbiano caratteristiche del tutto opposte, con un ricorso altrettanto problematico ad archetipi del maschile e del femminile che vede quest’ultimo confinato nelle sue funzioni al ruolo domestico e materno.

Secondo Papa Francesco una donna non può accedere al sacerdozio “perché non le spetta il principio petrino, bensì quello mariano, che è più importante (…) Il fatto dunque che la donna non acceda alla vita ministeriale non è una privazione, perché il suo posto è molto più importante”. Parole che racchiudono clericalismo, patriarcato, potere, ma soprattutto la trappola della “sublimazione”: le donne non possono accedere ai posti di potere perchè il loro ruolo è più importante. Ciò ricorda un po’ il “genio femminile”[1] di cui parlava Papa Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem. Premetto di essere fedele alla visione anarco-cristiana di Don Gallo e alle parole di Leonardo Boff che diceva che “laddove c’è potere non c’è amore e sparisce la misericordia”, ma qui siamo di fronte all’indifendibile. Si può nel 2023 oscurare una discriminazione e un ruolo inferiore in una struttura di potere, sublimando ed esaltando il discriminato, facendogli credere che il suo ruolo – nonostante tutto – è più importanti degli altri?

Il duplice principio petrino-mariano coniato da Balthasar, è stato ripreso da quattro pontificati successivi (Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e adesso anche da Papa Francesco) in particolare per definire i ruoli ecclesiali delle donne, ma non solo. Ci sono diversi livelli di problematicità di questo topos teologico che inventa e distingue un principio petrino da uno mariano. Come ha ben dimostrato Marinella Perroni, il primo problema è che Balthasar conia il concetto con la finalità di integrare il primato di Roma in tutta la Chiesa. Un secondo problema è che questo dualismo si basa su una forma di universalizzazione per la quale tutti i singoli devono identificarsi in quanto maschi con Pietro e in quanto femmine con Maria. Fare di Pietro e Maria dei simboli in base altresì al loro sesso, è una operazione problematica. Ma un terzo problema deriva dal fatto che questo dualismo oppositivo si costruisce attorno ad una ideologia dei generi che si alimenta di stereotipi patriarcali facendoli diventare archetipi del maschile e femminile. All’archetipo del femminile vengono applicate caratteristiche quali l’amore, il nascondimento, il focolare, l’accoglienza, lo spirituale; mentre al maschile si applicano caratteristiche di autorità, potere, ministerialità e agire pubblico. I due sono concepiti in senso gerarchico e dicotomico e tale narrazione è tesa a mantenere i privilegi maschili perché le forme di esaltazione del femminile (“mistica della femminilità”)servono ad escludere il riconoscimento dell’una autorità pubblica delle donne. Quello però che a me pare il livello più problematico – e che è sempre lì sotto il naso ma che sembra invisibile a chi lo formula – è che mentre la sessualizzazione femminile, riguardando la chiesa tutta (“la chiesa è donna!!” – viene ripetuto),può essere applicata sia a uomini che a donne, quella maschile –non si capisce bene perché – riguarda solo gli uomini maschi. Mi sembra una definizione arcaica e una applicazione assurda delle teorie dei generi.

Nelle chiese cristiane anglicane, luterane, protestanti e valdesi il sacerdozio femminile c’è da molto tempo. Vi era anche per loro un problema teologico? Se sì, come hanno fatto a superarlo? Vi è una questione di tipo ermeneutico ed esegetico del testo biblico, quale è la prospettiva della teologia femminista?

Gli studi hanno dimostrato che non ci sono basi scritturistiche per escludere le donne, anzi. Il problema è stato di superare una mentalità sessista e patriarcale che è ancora molto forte nella Chiesa cattolica. È la comprensione della stessa ordinazione che ha subito modifiche e cambiamenti di comprensione, questo è stato un punto di dibattito per le Chiese luterane. Certo, gli studi femministi hanno aiutato a far emergere diversi criteri ermeneutici delle Scritture e della storia per superare gli ostacoli.  Per esempio la teologia femminista usa, tra gli altri, il concetto di Rivelazione continua, ovvero essa è in continuo movimento, si sviluppa col tempo e le nuove istanze culturali possono aiutarci a capire meglio la stessa Rivelazione. Per esempio fu solo nel IX secolo d.C. che i cristiani hanno compreso che la schiavitù era incompatibile con il messaggio evangelico. Ancora Paolo non esortava lo schiavo Onesimo suo discepolo a ribellarsi al padrone Filemone, al quale piuttosto scrisse una lettera perché se lo riprendesse.

Ma ciò che mi fa sempre pensare è che gli Stati in cui l’ordinazione delle donne è stata accettata prima, sono gli stessi nei quali è arrivato prima il riconoscimento dei diritti civili alle donne, come quello di voto. Nel caso della Svezia, poi – la prima comunità luterana che ha accettato il pastorato femminile nel 1958 -la decisione di ammettere le donne al presbiterato è arrivata non senza l’intervento del Parlamento. In Svezia, nel 2020, le donne-prete hanno superato per numero di preti maschi.

Papa Francesco ha dichiarato: “I luterani ordinano le donne, ma la gente che va in chiesa è comunque poca. I loro sacerdoti possono sposarsi, ma nonostante questo non riescono a far crescere il numero di ministri. Il problema è culturale. Non dobbiamo essere ingenui e pensare che i cambiamenti programmatici ci porteranno la soluzione”. Cosa pensi di queste affermazioni volte a giustificare la decisione sinodale?

Trovo l’argomentazione non in linea con la questione di fondo. Il problema non è come utilizzare le donne, visto che stiamo raschiando il fondo del barile, per trovare “numeri”. Il problema del numero dei ministri è collegato ad un più vasto problema della rilevanza del cristianesimo nella nostra società. A questo problema non credo nemmeno che ci sia una sorta di “soluzione”. Forse dovremmo accettare semplicemente di non essere più una Chiesa di maggioranza e tornare a misurarsi con il paradigma del “lievito della pasta”. Il problema dell’esclusione delle donne dall’ordine non è un problema di numeri, ma un problema di giustizia, evangelica, biblica e civile.  Altrimenti si rischierebbe di caricare nuovamente sulle donne un problema che hanno creato gli uomini e allora non saremmo usciti dalla stessa mentalità che le ha sempre escluse dal potere, ovvero il considerarle funzionali.

Nel 2002, su una barca in mezzo al fiume Danubio viene nominata prete, per la prima volta nella storia della Chiesa cattolica, una donna. Era austriaca, con lei c’erano altre sei donne e un vescovo che accettò di ordinarle nonostante fosse un atto severamente vietato dal Vaticano. Nel febbraio 2022, Papa Francesco ha modificato il Codice di diritto canonico, facendosi scivolare nei delictagraviora anche una scomunica per chi “attenta all’ordinazione di donne”, all’ordinante e all’ordinata. Oggi le donne prete cattoliche al mondo sono circa 300 e una dozzina le vescove. Cosa ne pensa dell’ordinazione femminile considerata come delictumgravius? Cosa pensa dell’iniziativa di disobbedienza spirituale[2], descritta molto bene dal Women Priests Project?

In realtà abbiamo notizia di una donna cattolica ordinata prete prima di questo evento. Si tratta di Ludmila Javorova ordinata nel 1970 da un vescovo della Chiesa clandestina cecoslovacca. Il Coordinamento Teologhe Italiane ha provveduto recentemente ad una bella traduzione della storia della sua vicenda dal sottotitolo: sacerdote nella chiesa del silenzio[3]. Non mi risulta che sia stata scomunicata.Ci sono molti studi che ricostruiscono la presenza di ruoli ministeriali e funzioni di ordine che le donne hanno avuto nel corso della storia. Forse occorre restituire alla storia tante verità ancora sottaciute, nascoste e implicite.

Quanto alle scomuniche, che mi è sempre parso comunque un atto di debolezza, cioè di chi perdendo il controllo non ha altri strumenti per imporre la sua volontà, credo che non ci sia necessità di moltiplicare motivazioni per mettere le donne fuori dalla Chiesa. Molte se ne stanno andando già da sole.

Qualche anno fa Teresa Forcades aveva scritto una lettera aperta prendendo posizione pubblica in sostegno alla candidatura di una donna-vescovo alla guida della diocesi di Lione. Come è andata a finire?

Premetto che Teresa Forcades ha tutte le competenze per dire ciò che dice e per prendere le sue posizioni teologiche: ha una formazione solida come medico e ha percorso tutto il cammino di formazione teologico fino al dottorato e alla docenza. Soprattutto però ha una comunità femminile religiosa alle spalle che la sostiene, una comunità che sa far valere i propri diritti a fronte dei poteri forti ecclesiali. Detto ciò, la candidatura di Anne Soupa[4], una biblistalaica e teologa cattolica, al ruolo di vescovo di Lione è stato per sua stessa dichiarazione un atto di provocazione[5]. Nel 2020, in Italia la notizia venne ignorata, ma nelle Chiese del Nord Europa è stato l’argomento che, per tre settimane, ha tenuto banco. Dopo la dimissione-rimozione del cardinale di Lione Philippe Barbarin, al grido «le donne sono il futuro della Chiesa Cattolica», l’accademica, biblista, teologa e scrittrice Anne Soupa ha inoltrato al Papa la richiesta di essere scelta come arcivescova di Lione[6]. L’idea era di spezzare una mentalità chiusa che riteneva ancora impossibile che una donna potesse ambire a tale ruolo e iniziare a porre una domanda, a mettere in dubbio a far emergere un’idea che potesse aprire un dibattito. Sono state molte le associazioni femministe e le singole studiose che hanno appoggiato tale iniziativa che come era nel suo scopo ha suscitato un grande dibattito. Dal 22 ottobre 2020, però, il vescovo di Lione è Olivier de Germany.

Nonostante Papa Francesco e nonostante la propaganda retorica di alcuni settori ultraconservatori della Chiesa contro l'”inappropriatezza” di questo pontificato, quella che Adriana Zarri definiva “destra teologica” continua ad avere la meglio sulle tematiche di genere?

Nelle tematiche di genere la nostra Chiesa istituzionale è semplicemente ignorante delle nuove prospettive di ricerca. I nostri preti si chiudono a pensare che la relazione tra i sessi sia quella tramandata dai nostri nonni (si pensi al recente film “C’è ancora domani” della Cortellesi), anche perché questa mentalità permette loro di mantenere la posizione privilegiata che hanno. In fondo, doversi misurare con le conseguenze che le questioni di genere sollevano, implica non solo voler capire meglio di cosa si tratti, ma per la natura di queste questioni, che riguardano proprio tutti, anche prendere posizione personale, spesso scomoda, circa la critica ai dispositivi di potere che si agiscono nei ruoli di genere. La posizione delle destre è sostanzialmente una posizione più comoda, consuetudinaria che permette di non pensare e di mantenere lo status quo.

 

[1]Benedetta Selene Zorzi, Al di là del “genio femminile”. Donne e genere nella storia della teologia cristiana, Carocci Editore, marzo 2014
[2]WOMEN PRIESTS PROJECT, LA STORIA DELLE DONNE CHE SFIDANO IL VATICANO PER DIVENTARE PRETE E VESCOVE https://thevision.com/rooms/parallax/women-priests-project/
[3]Ludmila Javorová, sacerdote nella Chiesa del silenzio http://www.settimananews.it/chiesa/ludmila-javorova-sacerdote-nella-chiesa-del-silenzio/
[4]La biblista Anne Soupa, nata nel 1947, si è diplomata all’istituto di studi politici di Parigi con una doppia laurea in diritto e teologia. Assieme a Christine Pedotti ha fondato il Comitato della gonna nel 2008 per lottare contro la discriminazione femminile nella Chiesa e ha creato la Conferenza cattolica dei battezzati/e francofoni per promuovere il laicato. Nel 2009 ha pubblicato Lespiedsdans le bénitier (I piedi nell’acquasantiera) che è considerato l’avvio formale della questione femminile nella Chiesa di Francia.
[5]Siamo tutte Anne Soupa https://www.youtube.com/watch?v=4RyG9-DiuaA
[6]L’ istanza – preparata dal collettivo ToutesApôtres! – trasmessa a Papa Francesco per presentare la sua candidatura alla successione di Barbarin, accompagnata da un regolare “fascicolo” è stata completata con una petizione firmata da 17 mila cattoliche e cattolici d’ Oltralpe. Vista l’ampiezza, non solo continentale, del dibattito, i sostenitori sono aumentati in fretta in modo esponenziale. In Germania, dove l’argomento è stato considerato molto seriamente, il vescovo di Amburgo, Stefan Hesse, si è espresso in modo chiaro affermando che «bisogna avere il permesso di pensare e discutere la questione». A Parigi il nunzio apostolico Celestino Migliore si è offerto di incontrare Anne Soupa e le sue compagne.




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