Vito Mancuso: la sottomissione di Abramo è schiavitù, non fede. Ma non per questo io sono un antisemita
Da sempre ritengo l’antisemitismo una delle manifestazioni più volgari e pericolose della
malignità umana e credo che la lotta contro di esso sia dovere fondamentale di ogni essere
umano degno di questo nome. Anche per questo da quando ho iniziato a guidare gruppi in
Israele lo Yad Vashem è tappa obbligata. Aggiungo che mi sono nutrito del pensiero e della
spiritualità ebraica da quand’ero ragazzo, a partire dalla Bibbia naturalmente e poi di autori il
cui elenco sarebbe troppo lungo e che accompagnano ancora oggi il mio cammino. Per questo
sono rimasto stupito, ma sarebbe meglio dire addolorato, nel vedere il mio pensiero
etichettato come “intriso di pregiudizi antisemiti”. È quanto si legge nel sito
riflessimenorah.com, rivista online che si dichiara “rappresentata presso l’Unione delle
comunità ebraiche italiane e presso la Comunità ebraica di Roma”, a commento redazionale di
un articolo critico di rav Gianfranco Di Segni su una mia intervista. Ma attenzione: Di Segni
critica il mio pensiero nel modo che analizzerò, ma è ben lungi dall’accusarmi di
antisemitismo o di antigiudaismo, come invece fa la redazione della rivista che mi attribuisce
“pregiudizi antisemiti”, “ignoranza e pregiudizio”, “stereotipi e cliché antigiudaici”. Il punto che
mi sta più a cuore è esattamente questo: l’uso improprio del concetto di antisemitismo. È così
importante la lotta contro questo mostro che bisognerebbe essere molto rigorosi con le
parole, perché attenzione: se tutti sono antisemiti, nessuno alla fine lo è, e chi ci guadagna
sono i veri antisemiti. Non è inoltre ammissibile la confusione (per di più da parte ebraica) tra
antisemitismo e antigiudaismo praticata dalla rivista che mi accusa ora dell’uno ora dell’altro,
perché l’antigiudaismo riguarda le idee religiose, l’antisemitismo il sangue delle persone. È
vero che i due concetti sono tra loro collegati e dal professare l’uno è facile transitare
nell’altro, ma proprio per questo la loro distinzione contribuisce a impedire l’indebito
passaggio.
Vengo alla critica di rav Di Segni il cui casus belli è una mia intervista al Venerdì di Repubblica
del 3 marzo scorso sull’amicizia con Lucio Dalla in cui tra le altre cose ricordavo di aver
dovuto leggere al suo funerale in San Petronio a Bologna la prima lettura della messa, quel
giorno dedicata al sacrificio di Isacco su cui sviluppavo una più ampia considerazione che la
giornalista riassunse così: “Mi fu chiesto di leggere la prima lettura e fu un doppio strazio. Un
brano della Bibbia che non sopporto: Genesi 22, il sacrificio di Isacco, uno dei passi più
terribili. Un modello di fede, quella di Abramo, che io non tollero. Un Dio che ti dà un coltello
per scannare un figlio. La fede come obbedienza senza criterio, anche quando l’etica viene
calpestata”.
A partire da queste parole, che stento a riconoscere nella forma ma che sottoscrivo nella
sostanza, Di Segni mi ha scritto una mail di critica poi pubblicata nel sito suddetto nella quale
mi chiede dove sia scritto di Dio che dà un coltello ad Abramo e dove che l’ordine divino sia
quello di sacrificare il bambino, sostenendo che è vero esattamente il contrario: nessun
coltello, nessun ordine di olocausto, ma racconto esemplare per vietare i sacrifici umani. Di
Segni ha ragione sul primo punto (nessun coltello da parte di Dio, ma si tratta di
un’espressione non mia), non però sul secondo perché Genesi 22,2 recita così: “Prendi il tuo
amato unico figlio, Isacco, va’ nella terra di Morijà e là offrilo in olocausto” (traduzione della
Bibbia ebraica a cura di rav Dario Disegni), cosa che Abramo aveva compreso benissimo visto
che nel versetto 11 si legge: “Stese poi la mano e prese il coltello per scannare il figlio” (dalla
medesima traduzione citata).
Di Segni prosegue negando che Abramo possa essere accusato di mancanza di etica, visto che
poco prima aveva discusso con Dio per salvare gli abitanti di Sodoma. Il che è vero e crea una
contraddizione molto interessante per trattare la quale mi rifaccio ad Amos Oz. Scrittore ebreo
tra i più grandi, egli afferma ricordando la trattativa di Abramo con Dio per Sodoma che il
patriarca arriva a pronunciare “le parole forse più ardite di tutta la Bibbia, se non di tutte le
religioni mai venute al mondo: «Com'è che il giudice della Terra non giudica secondo
giustizia?» (Genesi 18,25). Ovvero: “Sarai pure il giudice di tutta la Terra, ma non stai sopra la
legge. Sei colui che legifera, ma non stai sopra la legge. Sei il sovrano di tutto il mondo, ma non
stai sopra la legge”. E commenta: “Un discorso del genere non lo sentiamo nel cristianesimo,
non nell'islam, né in nessun'altra religione che mi sia nota. Ed è il nostro vanto”. Passa poi alla
scena di Abramo pronto a sacrificare il figlio Isacco, oggetto della controversia tra Di Segni e
me, e si chiede: “Come si fa a scendere a patti con l'abisso che separa l’Abramo in contesa con
Dio per la vita degli estranei abitanti di Sodoma e l'Abramo che non esita neanche un istante
quando Dio gli ordina di sgozzare il figlio?”. E a questo punto Amos Oz gioca l’asso
presentando l’interpretazione del legamento di Isacco di Shulamith Hareven, scrittrice ebrea a
lungo impegnata nella difesa dello stato di Israele: “Come tutti i commentatori, anche lei pensa
che Abramo sia stato messo alla prova. Ma diversamente dagli esegeti della tradizione,
Hareven è dell’avviso che Abramo la fallisca del tutto. Che, in sostanza, lui avrebbe dovuto
«rifiutare l'ordine», opporsi al comando e replicare a Dio: «Tu ci hai proibito i sacrifici umani,
perciò mi rifiuto di immolare mio figlio». Dio mette Abramo alla prova e Abramo, il famoso
«paladino della fede», fallisce con il solo fatto di dire: «Sì, comandante», mentre avrebbe
dovuto dire: «È un ordine assolutamente illegale, sul quale sventola bandiera nera».
Sottoscrivo il brano di Oz che ricorda Hareven parola per parola. Il punto decisivo quindi è il
modello di fede e il rapporto fede-etica perché il senso dell’inaudita richiesta divina era di
ottenere la più assoluta sottomissione di Abramo, volendo appunto appurare se avrebbe
anteposto qualcosa, fosse pure suo figlio, al suo volere. Questa è fede? No, è schiavitù. Una
schiavitù della mente che, se può portare a uccidere il proprio figlio, figuriamoci quale
violenza può generare verso gli altri. Se la religione ha versato e versa tanto sangue è a causa
di questo modello schiavistico di fede.
Di Segni sostiene inoltre che l’episodio della “legatura di Isacco” venne scritto in realtà per
condannare i sacrifici umani praticati dalle religioni pagane. La cosa a mio avviso non risulta
convincente per tre motivi. Primo: il testo non contiene il minimo cenno di condanna del
sacrificio umano che si stava per compiere. Secondo: i sacrifici umani sono condannati dalla
Bibbia soprattutto in quanto sacrifici ad altri dèi, prova ne sia che sono inseriti dal Levitico
non tra i delitti contro la vita ma tra le colpe cultuali (cfr. Levitico 20). Terzo: nella Bibbia si
registra un caso di sacrificio umano eseguito senza che Dio lo impedisca, cioè l’immolazione
della figlia da parte di Iefte. Costui era un capo militare che aveva fatto voto che in caso di
vittoria avrebbe offerto in olocausto la prima persona che gli sarebbe venuta incontro dalla
porta di casa, senonché a venire da lui per prima tutta festante dopo la vittoria fu la sua unica
figlia. Per quanto sconcertato, Iefte “eseguì su di lei il voto che aveva fatto” (Giudici 11,39). Dio,
questa volta, non mosse un dito per salvare la ragazza, né la Bibbia presenta una sola parola di
biasimo per il sacrificio umano avvenuto.
Riassumo il senso del discorso. Io credo in Dio, spero di farlo fino al mio ultimo giorno. Sono
convinto però che abbiamo bisogno di liberarci di un’immagine divina a cui dire sempre “sì
comandante” per alzare al suo posto la bandiera della libera coscienza, che tanto sta a cuore
alla più autentica spiritualità ebraica. Io lo faccio nella mia religione a proposito di Gesù, che
mi rifiuto di pensare quale “agnello di Dio” e quale “vittima immolata della nostra redenzione”,
come professa il cristianesimo ufficiale, perché ritengo che sia solo la pratica del bene e della
giustizia a poterci salvare, non il sangue versato. Lo insegna il profeta Michea: “Uomo, ti è stato
insegnato ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare
umilmente con il tuo Dio” (6,8). Vorrei dedicare però le ultime parole al punto che mi sta più a
cuore sottolineato all’inizio: l’uso attento e rigoroso del concetto di antisemitismo, al fine di
evitarne una pericolosissima inflazione
Ecco l'articolo
Abraham avinu – Abramo nostro padre
di Gianfranco Di Segni
in “riflessimenorah.com” del 21 marzo 2023
Sul Venerdì di Repubblica del 3 marzo 2023 (n. 1824), in un’intervista su Lucio Dalla, Vito Mancuso racconta di essere stato chiamato ai suoi funerali a leggere in chiesa un passo della Genesi: «Un doppio strazio. Un brano della Bibbia che non sopporto: Genesi 22, il sacrificio di Isacco, uno dei passi più terribili. Un modello di fede, quella di Abramo, che io non tollero». E ancora: «Un Dio che ti dà un coltello per scannare un figlio. La fede come obbedienza senza criterio, anche quando l’etica viene calpestata».
Mi chiedo: ma se fosse vera questa lettura del passo come qui presentata, se fosse vero che quello di Abramo è un modello di fede che non si può tollerare, come è possibile che si riconosca in Abramo il padre delle tre religioni monoteistiche, dette appunto abramitiche? Metà circa dell’umanità è figlia di un padre omicida e scriteriato?
Capisco che un’intervista in un magazine non è il luogo per riflessioni teologiche e bibliche approfondite, ma i lettori leggono le parole riportate dal Venerdì e si fanno un’idea del tutto sbagliata del passo biblico. A iniziare dal concetto di “sacrificio di Isacco”, espressione estranea alla tradizione ebraica, dove si parla di “legatura di Isacco”. Isacco fu legato sull’altare, ma non fu sacrificato. Dove sta scritto: «Un Dio che ti dà un coltello per scannare un figlio»? Da nessuna parte. È esattamente il contrario. Quando Abramo sta per alzare la mano sul figlio, Dio lo ferma e gli dice: «Non alzare la mano sul ragazzo e non fargli nulla». Dove sta scritto che Dio dice ad Abramo di scannare suo figlio? C’è invece scritto «fallo salire sul monte» (come bene spiega il commentatore per eccellenza, Rashì), con un’espressione volutamente ambigua per appurare se Abramo avesse capito il reale significato delle parole divine. Tutto il brano viene a insegnare ad Abramo e a tutti i suoi discendenti che è vietato sacrificare essere umani (come verrà più volte ribadito in seguito nella Torà, per esempio in Deuteronomio 18:10), pratica comune fra i popoli pagani dell’epoca. È questa cultura pagana e omicida che la Torà viene a negare, esattamente il contrario del messaggio che esce fuori dal Venerdì.
Abramo «senza criterio»?! Eppure l’abbiamo visto discutere con Dio per la salvezza degli abitanti di Sodoma e Gomorra ed esclamare: «Il Giudice di tutta la terra non farà giustizia?» (Genesi 18:25). Possibile che qui stia zitto e obbedisca supinamente? Dio gli ha promesso che la sua discendenza continuerà con Isacco: possibile che non si chieda come ciò sarà possibile se sacrificherà il figlio? Abramo cammina per tre giorni e non proferisce parola. Possiamo immaginare che si stia facendo queste domande e stia cercando di darsi una risposta (e infatti il Midrash riempie il silenzio con queste domande). Quando finalmente Isacco gli chiede: «Padre mio, ma dov’è l’agnello?», Abramo risponde: «Figlio mio, Dio provvederà l’agnello». Come in effetti avvenne.
Abramo aveva fiducia nel fatto che il Giudice di tutta la terra avrebbe fatto giustizia. Aspettava con ansia che arrivasse il comando di Dio di fermare la mano.
La prova a cui Abramo fu sottoposto era arrivare a capire che non si sacrificano i figli (o chiunque altro), anche quando si crede di aver sentito una voce, dentro di sé o fuori di sé, che lo ordini. La prova era capire che dei due ordini apparentemente contraddittori, il secondo – quello di non fare nulla al ragazzo – era l’ordine corretto e definitivo.
Se si fraintende il messaggio biblico nel caso di Isacco, dove vediamo che al padre viene impedito da Dio di alzare la mano sul figlio, a maggior ragione c’è il rischio che lo si fraintenda quando è Dio stesso che sacrifica il figlio, come nella fede cristiana.
Sono stati usati fiumi di inchiostro da parte di decine di commentatori, teologi, filosofi, ebrei e non ebrei, per spiegare questo passo della Genesi, che avrebbe meritato di più della lettura superficiale apparsa sul Venerdì.