Dall’eredità di Carlo Molari alla sfida del post-teismo
Nell’ultima intervista rilasciata a
Rocca (18-19/2021), il teologo Carlo Molari presentava ancora una volta
in maniera chiara e coinvolgente – come sempre – l’idea ispiratrice di tutto il suo pensiero teologico e della
sua spiritualità, cioè la consapevolezza che
«l’azione creatrice di Dio è continuamente
all’opera in noi, con l’offerta di nuovi doni
di vita da accogliere; [...] l’azione di Dio,
infatti, può manifestarsi nel Creato solo
come azione di creature che la accolgono e
ne fanno dono. Dio non interviene dall’esterno, non aggiunge altro rispetto a quanto le
creature possono apportare all’ambito dell’esistenza loro e del mondo; ma, alla creatura, tutta la Perfezione è continuamente
offerta per essere accolta lungo un cammino che non può che essere progressivo. Il
tutto è ben riassumibile nella felice espressione di Teilhard de Chardin: Dio non fa le
cose, ma offre alle cose di farsi. O, analogamente, da papa Francesco nella Laudato si’
al n. 80: «Lo Spirito di Dio ha riempito l’universo con le potenzialità che permettono
che dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo». Questa consapevolezza, aggiungeva Molari, contraddistingue il nostro diventare figli di Dio
e la nostra umanità. «Ed è per questo che
noi preghiamo: non per chiedere a Dio di
fare qualcosa al nostro posto, ma per chiedere a Dio di diventare noi capaci di fare
quello che la vita oggi ci chiede». In questa
breve sintesi è espressa tutta la passione
di Molari di voler coniugare la ricerca della fede con l’indagine della ragione; la fiducia nella creazione continua di Dio con la
convinzione che la materia evolve verso lo
spirito, e in tal modo «sull’esempio di Gesù,
consentiamo al Verbo di continuare a incarnarsi, cioè di farsi progressivamente
carne in noi».
continuare a pensare con e oltre
il suo pensiero
Non solo le creature sono – diacronicamente e sincronicamente – connesse tra loro
in una sinfonia cosmica, ma le stesse discipline del pensiero – biologia evolutiva,
fisica quantistica, neuroscienze, filosofia,
teologia, le altre religioni – vivono le une
nelle altre, pur nella loro necessaria distinzione. Tutto questo, ribadiva Molari
nella intervista a Rocca, non è relativismo,
«ma, al contrario, la certezza che una Perfezione, un Bene, un Amore esiste e ci trascende, assieme all’umiltà di riconoscere
che, di fronte all’Incommensurabile, nessuna cultura, tradizione, religione umana,
di per sé esaurisce il cammino che ad Esso
conduce. Tuttavia, ciascuna, per i doni
dell’azione creatrice, accoglie frammenti
di verità e perfezione, e a sua volta ne fa
dono alle altre spiritualità. Così si sviluppa il cammino dell’umanità». Durante gli
anni del Concilio Vaticano II, ma in modo
particolare a partire dal dopo Concilio,
Molari maturò sempre più questa singolare prospettiva teologica e spirituale, iniziando così percorsi che lo esposero come
ben sappiamo anche alla critica di quanti
non gradivano tale sua audacia intellettuale, intrisa di slancio di fede.
Il modo migliore di onorare un pensatore –
come è Carlo Molari – non sta solo nel ricordarne la vita e le opere, ma principalmente nel continuare a pensare con e oltre
il suo pensiero. Ritengo che molte istanze
dell’attuale corrente di pensiero teologico,
radicata anch’essa nella consapevolezza
silenziosa dell’ineffabile presenza ed azione creatrice di Dio in tutto il cosmo, cioè il
post-teismo, stia portando avanti la testimonianza di fede e la ricerca intellettuale di
Molari. Molti dei temi toccati da Molari
sono ben presenti al centro della riflessione di quei teologi – cosiddetti «post-teisti»
– che da alcuni anni vengono ad essere conosciuti anche in Italia. Per citarne alcuni:
John Shelby Spong, Roger Lenaers, José
María Vigil, Mary Judith Ress, Diarmuid
O’Murchu, José Arregi e Santiago Villamayor. Per una prima conoscenza del postteismo si può far riferimento ai quattro
volumi della serie, Oltre le religioni, pubblicati da Gabrielli editori.
il post-teismo, cosa è?
Ma cosa è il post-teismo? Una prima risposta può essere: il semplice rendersi conto
che Dio – così come viene ancora pensato
e vissuto dalle religioni istituzionali – non
è ormai più credibile. La coscienza religiosa delle nuove generazioni risulta essere
più secolarizzata, agnostica e indifferente:
sembra che non si avverta più la necessità
del trascendente. Non siamo solo oltre-Dio
o dopo-Dio ma anche oltre la domanda sull’esistenza di un Dio così (teista). Siamo
nell’era del post-teismo. L’atteggiamento
post-teista è allo stesso tempo post-ateista.
A differenza dell’ateismo, il post-teismo non
rifiuta qualsiasi trascendenza ma solo l’immagine teista di un Dio separato dal mondo e che, di volta in volta a sua discrezione
ed arbitrio, interviene ora qui ed ora là.
Questo paradigma religioso è entrato in crisi
a partire dall’età moderna ma persiste nel
modo con cui i credenti vengono formati.
Ritroviamo qui quello che è stato uno degli
interessi più rilevanti nell’attività pastorale di Molari: educarsi ad una fede adulta.
Sempre più stiamo assistendo, infatti, ad uno
scollamento inarrestabile tra i vari piani
della comunicazione della fede cristiana: il
piano liturgico-devozionale del popolo di Dio;
il piano catechetico-tradizionale degli educatori; il piano formativo intellettuale dei
leader (laici, candidati al ministero e preti);
infine, il piano accademico di ricerca (professori e ricercatori). Questi piani sono attualmente divisi e senza contatto tra loro.
Abbiamo bisogno di un linguaggio della fede
che sia in grado di dialogare con la modernità (e post-modernità), capace di ridire la
fede con nuove categorie, immagini e paradigmi. Non si tratta di fare un’opera di
maquillage del Catechismo o del Credo, ma ri-pensare la fede tenendo presente il contesto in cui le nuove generazioni diventano
sempre più indifferenti alla proposta di fede
e un numero considerevole di cattolici adulti
abbandonano, ormai delusi, una chiesa divenuta immobile e formalista. C’è bisogno
di nuovi paradigmi per ridire la fede. Già
nel 1972 Molari con il suo libro, La fede e il
suo linguaggio (Cittadella editrice), aveva
intuito l’emergere di questo bisogno e la
necessità di assumere nuovi paradigmi di
comprensione della fede cristiana.
necessità di un dialogo tra teologia,
scienza e mistiche
Come fu per Molari così anche per il post-teismo, è divenuto necessario un dialogo
inter- e transdisciplinare tra la teologia e le
scienze, tra cristianesimo e altre tradizioni
mistiche, ben oltre gli steccati ideologici tra
credenti e non credenti, laici e cattolici. Dialogando con la scienza e le altre tradizioni
religiose, il post-teismo si domanda se Dio
sia da considerarsi personale, impersonale
o transpersonale. Infatti, Dio non può essere più compreso come Qualcuno lassù in alto
da adorare e che interviene a suo piacimento, ma come una realtà che ci avvolge e ci
sostiene sempre – come disse l’apostolo Paolo citando un poeta pagano «In lui infatti
viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come
anche alcuni dei vostri poeti hanno detto:
Poiché di lui stirpe noi siamo» (At 17,28). La
nuova stagione che si va inaugurando, da
questo punto di vista, è il superamento della visione classica della religiosità e ci sta
conducendo verso una riflessione areligiosa, profondamente laica della realtà.
La visione post-teista di Dio può essere
definita panenteista. Il creato non è visto
come qualcosa fuori dall’essere di Dio, ma
«in» Dio. In tal modo si vuole abbandonare la concezione interventistica e sopranaturalistica della presenza e dell’agire di
Dio nell’universo e in particolare nella storia umana, poiché questa contraddice
l’odierna comprensione scientifica dell’universo, e finisce per comprendere Dio come
un essere mondano, ovvero come se Dio
fosse una porzione del mondo.
La comprensione post-teista si distanzia,
perciò, dalla concezione mitologica di Dio
così come è presentata nella Bibbia, e rinuncia ad oggettivare il divino come qualcosa di straordinario nel mondo, come se
Dio aggiungesse un surplus di sue azioni
speciali (incarnazione, resurrezione e redenzione finale) all’unica sua azione creatrice.
Si potrebbe obiettare che la concezione teista di Dio sia stata già negata dal deismo
nell’Illuminismo. Secondo i deisti del XVIII
secolo, Dio avrebbe creato il mondo come
fa un orologiaio e dopo aver dato avvio alla
sua opera, Dio avrebbe lasciato il mondo alle
sue leggi, senza più interferire ed intervenire. «[Il] deismo riduce Dio alla trascendenza, misconoscendo la sua immanenza nel
mondo. Spesso, in questo tipo di deismo, si
è riconosciuto, e giustamente, il pericolo di
un larvato ateismo. Infatti, un Dio che non
agisca più vitalmente nel mondo, in ultima
analisi è un Dio morto. E tuttavia certi motivi deistici si trovano presenti anche ai nostri giorni, quando ad esempio si discute
sulla possibilità dei miracoli, sul senso della
preghiera e sulla fede nella provvidenza di
Dio» (W. Kasper, Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 1984, p. 38).
Ora, il post-teismo non fa sua questa immagine deista di Dio, ancora concepito separato dal mondo e che lascia andare il
mondo come fa una causa con il proprio
effetto. Ma nemmeno accetta l’immagine
teista di Dio come agente ed attore nel mondo e operante nella storia dell’umanità. Il
post-teismo, invece, afferma che Dio è attivo nel mondo –anzi «Dio opera il mondo e
non propriamente agisce nel mondo (Karl
Rahner, Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1990, p.
123) – senza esservi attore. Considerare Dio
alla stregua di un attore che opera nel palcoscenico del mondo e della storia è ancora comprenderlo ente tra gli enti, un individuo sopra-naturale tra tanti altri individui naturali. Forse un ente più potente (che
fa miracoli, si incarna e risorge, crea il
mondo e lo giudica) ma pur sempre pensato alla stregua degli altri enti. Un Dio
così concepito è per definizione il più grande fra tutti gli esseri: il Sommo Ente.
«Dio non fa ma fa che le cose si facciano»
Il post-teismo non considera Dio inattivo nel mondo: così facendo si negherebbe
che Dio sia infinita attività (in greco:
‘energia’), atto puro, realtà assoluta. Il post-teismo concilia le due esigenze sottese al teismo (Dio interviene nel
mondo) e al deismo (Dio si ritrae dal mondo), precisando che Dio è potenza attiva.
Dio è la potenza assoluta che fa sì che le
cose si facciano. Questa è l’espressione di
Teilhard de Chardin, ispiratrice del pensiero e della spiritualità di Molari: «A rigor di
termini, Dio non fa; Egli fa sì che le cose si
facciano» (P. Teilhard de Chardin, La mia
fede: scritti teologici, Queriniana, Brescia,
1993, p. 33). Anche Rahner riprende tale
espressione e la sviluppa nella sua concezione dell’auto-trascendenza del creato. Il
divenire del mondo – per cui dallo scimpanzé si è passati all’homo sapiens – non è
causato da un agente soprannaturale ed
esterno al mondo. Il passaggio dal meno al
più, da uno stato inferiore ad uno superiore, non è avvenuto per un intervento divino
dal di fuori dell’ordine creato, ma in virtù
dello spirito immanente alla materia che
muove dal suo interno ogni cosa, rendendo
questa capace di trascendere se stessa. «Dio
interviene con la sua potenza ed influsso trascendentali non già aggiungendo additivamente e estrinsecamente il superiore all’inferiore, bensì concedendo a quest’ultimo la
potentia di andare oltre se stesso» (K. Rahner, Compimento immanente e trascendente
del mondo, in Nuovi saggi. III, Edizioni Paoline, Roma 1969, pp. 669-689, qui p. 687).
Dunque, le accuse rivolte al post-teismo
di essere una riedizione del deismo del
XVIII secolo sono infondate, poiché non
tengono conto che il XX secolo ha conosciuto in ambito teologico un superamento delle dualità di grazia e natura, naturale e soprannaturale, creazione e incarnazione, che avevano caratterizzato la teologia preconciliare. La teologia immediatamente precedente al Concilio Vaticano
II (Nouvelle théologie) e quella seguente
(Rahner, Congar, Chenu, Schillebeeckx e
Molari) hanno tentato di superare questa
visione dualistica della realtà, comprendendo sempre più il cosmo «in» Dio e Dio presente e attivo in tutte le creature. Questa
è l’eredità che Molari ci ha lasciato. Questa è la sfida che il post-teismo intende
non solo accogliere ma continuare, pur
nella differenza degli approcci, in quanto
il post-teismo – a differenza di Molari –
ha assunto più esplicitamente la visione
teilhardiana del Cristo cosmico e la comprensione panenteistica di Dio.
Paolo Gamberini