Lilia Sebastiani "L'enciclica della fraternità integrale"
15 ottobre 2020
Papa Francesco è molto affezionato,
e qualcosa di più, al Santo di cui ha
voluto prendere il nome. Guarda
ancora a san Francesco, dopo la
Laudato si’ del 2015, l’enciclica appena resa pubblica, Fratres omnes
«sulla fraternità e l’amicizia sociale» (non
trascurabile questo binomio, su cui occorrerà tornare). «Fratelli tutti» traduce infatti
il vocativo usato da san Francesco nella
VI Ammonizione: «Guardiamo, fratelli tutti, il Buon Pastore…» (FF 155).
Tra l’altro alcuni commentatori e commentatrici hanno rilevato come un serio limite
l’unilateralità al maschile dell’appellativo
all’inizio. Ma la critica in questo caso sembra piuttosto inconsistente, trattandosi di
una citazione da un testo medievale: otto
secoli or sono non poteva esservi l’attuale
sensibilità, purtroppo neanche da tutti
condivisa oggi, per il sessismo linguistico.
E le citazioni, è noto, non si correggono.
L’enciclica, terza di questo pontificato
(seconda in effetti, perché la prima, Lumen fidei, nonostante alcuni riconoscibili apporti di Francesco, è ancora da
ascrivere al magistero di papa Benedetto), non è stata annunciata dal Vaticano
ma dal Sacro Convento di Assisi, ed è
stata firmata sulla tomba di san Francesco nella vigilia della sua festa, il 3 ottobre. Papa Francesco ha voluto che l’evento si svolgesse in forma privata, senza
partecipazione di fedeli – anche per la
giusta preoccupazione anti-Covid di evitare gli assembramenti –, e per questo il
giorno prescelto non è stato il 4 ottobre,
in cui evitare un certo concorso di folla sarebbe stato impossibile, bensì il 3.
Nelle poche notizie filtrate prima della
pubblicazione, l’enciclica veniva presentata come il programma offerto da papa
Francesco per affrontare il futuro del
mondo, dopo l’esperienza decostruttiva e
ricostruttiva del Covid 19. In un certo senso lo è, perché il futuro post-pandemia
sarà da affrontare sotto diversi punti di
vista congiunti: sociale, spirituale, teologico. Ma la Fratres omnes è stata concepita e abbozzata in buona parte prima dell’esplodere della pandemia: quest’ultima
non costituisce l’oggetto della riflessione,
ma certo vi assume un valore emblematico.
scritto di sintesi e di apertura
Si tratta di un documento molto lungo: 287
paragrafi, 8 capitoli. Considerato nelle singole parti, non appare forse spiccatamente nuovo (tra l’altro, il testo è costituito da
citazioni per il 40 per cento circa), ma neanche intendeva esserlo. Collega tra loro
temi e motivi di riflessione che il magistero di Francesco ha già reso familiari. Ha
il carattere di una sintesi conclusiva e per
questo, secondo un uso a cui papa Francesco ci ha abituato da tempo, il tono di
un breve trattato, piuttosto che di una lettera apostolica.
Si sente come il Papa, il quale sta vivendo
un momento assai difficile in senso personale ed ecclesiale, tenda con questa enciclica a una sintesi del suo pensiero e del
suo pontificato, in questi anni più volte
richiamato nel senso etimologico e nella
responsabilità che sottintende (in latino
pontifex significa ‘costruttore di ponti’ e,
data l’importanza dei ponti nella vita della comunità umana, non stupisce che nell’antica Roma la realizzazione e la cura
dei ponti venissero affidate a un collegio
sacerdotale scelto). Papa Francesco ha
cercato fin dall’inizio del suo ministero di
essere un costruttore di ponti nei momenti
di più grave crisi, e sempre ha additato il
male da combattere in primo luogo nell’egoismo: egoismo personale, egoismo ecclesiale, egoismo nazionale e di classe,
con relative chiusure. Per Francesco la
conversione più importante è quella del
cuore, che sappia aprirsi alla relazione
con l’altro, immagine della disponibilità
ad una relazione con Dio, l’Altro per eccellenza.
Un’enciclica «con tre fuochi», scriveva
Luigi Accattoli sul Corriere della sera del 6
settembre, e li indicava: la fraternità universale, la solidarietà necessaria nel dopopandemia (come più volte ripetuto in questi mesi, tornare ‘come prima’ è impossibile, ed è necessario uscire da questo momento diversi e migliori, per non uscirne
peggiori); il dialogo con l’Islam. Tre fuochi, in realtà uno solo.
Le tre focalizzazioni distinte illuminano
sotto diversi aspetti l’umanità integrale, e
perciò arricchita, illuminata, riconciliata,
condivisa. Ogni tempo umano ha bisogno
di un rinnovamento di umanità, ma il bisogno si avverte in modo speciale nei momenti di crisi allargata. In questo senso
anche il Covid 19 assume un valore emblematico non ignorabile: perché emergenza mondiale, perché la sorte di uno è legata al comportamento di tutti, perché implica rischi gravissimi compreso il rischio
di morte per moltissime persone e il rischio
del crollo dell’economia.
Il tema della fraternità umana è tra i più
ricorrenti nel magistero di papa Bergoglio,
considerato da lui il cuore del cristianesimo (sempre seguendo Francesco d’Assisi
che «...animato dallo Spirito, dava a tutte
le persone, anzi alle creature, il nome di
fratello o sorella...», diceva nell’udienza
generale del 2 settembre di quest’anno).
«Fratelli», come hanno ricordato in parecchi, fu anche la prima parola rivolta da
papa Francesco la sera della sua elezione,
13 marzo 2013, alla folla radunata in piazza San Pietro.
Vi è nell’enciclica un’introduzione (nn. 1-
8) molto breve in rapporto al resto, che
colpisce per la semplicità del tono: veramente più fraterno che magisteriale – e
proprio per questo portatore di una carica di magistero inaudita - sottolineato dall’uso della prima persona a cui comunque papa Francesco ci ha abituato. L’autore dichiara volentieri i suoi debiti di gratitudine, sia per quanto concerne l’ispirazione (ricorda che per la Laudato si’ fu
molto aiutato dal patriarca ortodosso Bartholomeos e nella Fratres omnes riconosce l’apporto molto significativo dell’imam Ahmad al-Tayyed, suo partner nella firma del documento finale sulla fratellanza umana dell’incontro di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019), sia quanto all’impegnativo aspetto dell’organizzazione e
redazione del testo. Per questo ha voluto
il redattore principale, insieme al traduttore dallo spagnolo, presenti accanto alla
firma dell’enciclica sulla Tomba di san
Francesco, e li ha pubblicamente ringraziati per il loro lavoro.
sull’amicizia sociale e il dialogo
Risulta piuttosto nuovo il cap.VI («Dialogo e amicizia sociale»), importante per infondere nella storia un supplemento di
anima e di verità, per incarnare nella storia e nel quotidiano il tema della fraternità universale: che è fondamento e meta ma,
proprio a causa della sua universalità, sempre a rischio di restare inconsistente e generico.
Il dialogo viene espresso in apertura con
una serie di verbi molto pregnanti, secondo un uso seguito da papa Francesco anche in diverse altre occasioni: «Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti
di contatto...» (n.198). Verbi quasi tutti in
forma riflessiva, esprimono reciprocità. Il
dialogo non è solo scambio di opinioni,
soprattutto quando lo ‘scambio’ è condotto in toni alti e aggressivi secondo un malcostume oggi molto diffuso o si riduce a
monologhi paralleli che non conducono a
nessun vero incontro. L’apporto di diverse
prospettive, diversi saperi e punti di vista
«non esclude la convinzione che è possibile giungere ad alcune verità fondamentali che devono e dovranno sempre essere
sostenute» (n. 211).
E questo capitolo si conclude - un folgorante ‘sottovoce’! - parlando della gentilezza (nn. 222-224): «… È una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni
umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che
ignora che anche gli altri hanno diritto a
essere felici». Riecheggia l’esortazione
postsinodale Amoris laetitia un passo sull’importanza di trovare tempo ed energie
(e motivazioni!) per dire «Permesso», «Scusa» e «Grazie». Non si tratta di forma, ma
tocca la sostanza: uno stile che rinnova e
trasforma la sostanza stessa dei rapporti
umani.
la centralità della politica
Nel messaggio inviato ai partecipanti al
Forum Ambrosetti a Cernobbio, dove erano riuniti i nomi più famosi e potenti della
finanza internazionale e della politica,
papa Francesco ha espresso la necessità
di «uscire dal paradigma tecnocratico…
improntato alla logica del dominio sulle
cose»; di «un cambiamento di mentalità
che allarghi lo sguardo e orienti la tecnica, mettendola al servizio di un altro tipo
di modello di sviluppo, più sano, più umano, più sociale e più integrale».
Questa necessità non riguarda solo l’attuale emergenza e la lotta contro il Covid, ma
trova in essa un riferimento fondamentale: la svolta degli eventi costringe a riconoscere che apparteniamo gli uni agli altri, come fratelli e sorelle che hanno il
mondo come casa comune. Dopo la pandemia sarà effettivamente più difficile richiudersi negli egoismi nazionali o settoriali.
Nell’ammonizione recente, già ricordata,
secondo cui non si esce mai da una crisi
uguali a prima («...Si esce o migliori o peggiori. E la solidarietà è proprio una strada per uscirne migliori »), è evidente che
non si tratta tanto (o soltanto) di un’operazione interiore, ascetica, quanto politica. Il buon volere del singolo non significherebbe molto e non fosse condiviso. E
d’altra parte ogni autentico cambiamento
politico ha radici e risonanze nell’interiorità. La fraternità oggetto dell’enciclica ha
dunque due dimensioni inseparabili e compresenti sempre, anche quando una sola risulti immediatamente visibile: l’amore vicendevole, incarnato in accoglienza e solidarietà, e la politica. L’uno e l’altra hanno
una dimensione etica, ma l’amore vicendevole riguarda soprattutto i comportamenti
personali – e qui è ovvio riconoscere subito
all’opera la carità –, mentre «l’altra ha come
focus l’impegno nella società e nelle istituzioni per assumere sulle proprie spalle l’onere del buon funzionamento e della buona
organizzazione della società nel suo complesso» (n.186), ed è un atto di carità altrettanto indispensabile.
Una caratteristica del nostro tempo è l’emergere del populismo, parallelamente a
un’eclissi del popolo da cui si resta colpiti.
Anche eclissi della parola ‘popolo’, oltre che
del popolo come soggetto della politica, il
che per alcuni metterebbe in pericolo anche la nozione e la realtà della democrazia
che etimologicamente significa ‘governo del
popolo’. Il popolo, termine e realtà, è necessario per rendere evidente che la società è più della somma degli individui che la
compongono (cf n. 157).
Nel capitolo V della Fratres omnes il Papa
riafferma e chiarisce la centralità del popolo nella definizione del bene comune, la distinzione tra questa centralità e i vari populismi e prende inoltre le distanze dal neoliberalismo che vede la società solo come una
somma di interessi individuali: senza veri
legami tra gli individui, senza un progetto
comune, senza fraternità. In certi casi i neoliberali sono pronti ad accusare di populismo coloro che difendono i diritti dei più
deboli (cf n. 163): qui è evidente che papa
Francesco si riferisce ad accuse che non di
rado vengono mosse a lui personalmente.
L’unica soluzione degna di una società libera, e in grado di edificarla, è dare centralità al lavoro e alla dignità che esso rappresenta. Il lavoro per Francesco non è solo
un mezzo per vivere, ma una via per lo sviluppo della persona e il mezzo con cui sviluppare sani rapporti interpersonali. La
società si nutre di relazioni (cf n. 162). Ma
questo è un compito che non può essere
affidato alle logiche di mercato. La politica, per papa Francesco, «non deve sottomettersi all’economia e questa non deve
sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia».
Dio Padre di tutti, Padre della pace
Nel messaggio inviato ai partecipanti al Forum Ambrosetti a Cernobbio sul lago di
Como, dove erano riuniti i nomi più famosi
e potenti della finanza internazionale e della politica, papa Francesco ha espresso la necessità di «uscire dal paradigma tecnocratico… improntato alla logica del dominio sulle
cose»; la necessità di «un cambiamento di
mentalità che allarghi lo sguardo e orienti la
tecnica, mettendola al servizio di un altro
tipo di modello di sviluppo, più sano, più
umano, più sociale e più integrale». Questa
necessità non riguarda solo l’attuale emergenza e la lotta contro il Covid, ma trova in
essa un riferimento fondamentale: la svolta
degli eventi ci ha costretti a riconoscere che
apparteniamo gli uni agli altri, come fratelli
e sorelle che vivono nel mondo come loro
casa comune. Dopo la pandemia sarà effettivamente più difficile richiudersi negli egoismi nazionali o settoriali.
L’auspicato cambiamento di mentalità non
può prescindere dall’esigenza di una seria
riforma dell’Onu (purtroppo singolarmente irrilevante in questo momento) e degli
altri organismi di cooperazione internazionale, di cui si parla nei nn. 173-175.
Verte in modo specifico sulla fraternità umana orientata al futuro il cap.VII («Percorsi
per un nuovo incontro»). I percorsi non si
possono ridurre a cose da fare, anche quando implicano degli adempimenti; sono stili
da vivere, vie di testimonianza. I valori portanti di questo capitolo sono la verità è la
pace, illuminate nei loro reciproci rapporti.
L’enciclica Fratres omnes contiene anche
echi evidenti del documento di Abu Dhabi
sulla fratellanza umana che, secondo papa
Francesco, nasce dalla fede in Dio, che è
Padre di tutti, credenti e non credenti, e
Padre della pace. Perciò il capitolo ottavo,
brevissimo, verte su «Le religioni al servizio
della fraternità nel mondo». Tema non nuovo, ma affrontato con un accento (e un retroterra) di verità sconvolgente e non solo
convincente, così come la condanna della
cultura della vendetta e quindi la delegittimazione assoluta e perenne della guerra e
della pena di morte.