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Monastero di Bose "Lazzaro risuscita solo perché viene pianto"

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29 marzo 2020 
V domenica di Quaresima

pse enim verus homo Lázarum flevit amícum,
et Deus ætérnus e túmulo suscitávit,
qui, humáni géneris miserátus,
ad novam vitam sacris mystériis nos addúcit. 


Vero uomo come noi, il Cristo pianse l’amico Lazzaro;
Dio eterno, lo richiamò dal sepolcro;
oggi estende a tutta l’umanità la sua misericordia,
e con i santi misteri ci fa passare dalla morte alla vita.


Messale Romano, Prefazione della V domenica di Quaresima

In questi giorni di dolore e smarrimento, in cui è piombato su di noi ciò che non ci aspettavamo – con la sua carica di angoscia e di morte, di solitudine e di distacco senza commiato – il calendario liturgico ci propone il lungo racconto della resurrezione di Lazzaro, testo che ricorreva già nei lezionari antichi d’oriente e d’occidente all’approssimarsi della Pasqua. C’è infatti uno stretto legame tra il racconto della passione e quello della resurrezione di Lazzaro. Efrem il Siro (IV secolo) lo sintetizza così: Gesù “rese la vita a Lazzaro e morì al suo posto” (Commento al Diatessaron 17,7).

Gesù mette in atto ciò che aveva attribuito al buon pastore (cf. Gv 10,3.10-11) e mostra ciò che lui stesso aveva affermato: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano” (10,27-28). L’ascolto della voce e la vita sono due temi che strutturano il racconto della resurrezione di Lazzaro, posto al centro del vangelo di Giovanni (dieci capitoli lo precedono e dieci lo seguono), alla cerniera tra il racconto dei segni operati da Gesù e quello della sua passione. Lazzaro è pegno e immagine della resurrezione: garanzia della resurrezione di Gesù e prefigurazione dellaresurrezione dei morti alla fine dei tempi; inoltre la sua resurrezione è figura del battesimo che scioglie dai legami del peccato e fa vivere nell’obbedienza alla parola del Signore.

“Il Signore venne a Betania e risuscitò il suo amico affinché attraverso ciò che aveva fatto per Lazzaro si credesse ciò che diceva di se stesso: ‘Il terzo giorno risorgerò’ (cf. Mt 17,23)”, dice Efrem il Siro (Commento al Diatessaron 17,8) e altrove aggiunge: «Lazzaro ti ha risposto, Signore, ed era un simbolo; il morto ti ha risposto, come i morti ti risponderanno nella resurrezione» (Inni sulla chiesa 27,8). Sant’Ireneo (II secolo) aveva affermato: “Chiamò a gran voce Lazzaro dicendo: ‘Lazzaro vieni fuori’. E uscì ‘il morto con i piedi e le mani avvolti in bende’. Ora questo è il simbolo dell’uomo che era stato legato nei peccati. E per questo il Signore dice: ‘Scioglietelo e lasciatelo andare’. Il Signore attraverso le cose temporanee prefigurava le cose eterne e indicava che egli stesso è colui che può dare la guarigione e la vita alla sua creatura, affinché si creda anche alla sua parola circa la resurrezione: alla fine, ‘al suono dell’ultima tromba’, quando il Signore farà udire la sua voce, i morti risusciteranno, come dice egli stesso: ‘Viene l’ora in cui tutti i morti, nelle tombe, sentiranno la voce del Figlio dell’uomo’ (Gv 5,25)” (Contro le eresie V,13,1).

Agostino scrive in una delle sue prime opere: “Lazzaro nel sepolcro è figura dell’anima oppressa dai peccati di questa vita, cioè tutto il genere umano. Altrove il Signore la rappresenta nella pecora smarrita: dice infatti di essere disceso dal cielo per liberarla, lasciando sui monti le altre novantanove. Ritengo che la domanda del Signore: ‘Dove l’avete posto?’ significhi la nostra vocazione, la quale avviene nel segreto. Questa domanda assomiglia a quella della Genesi: ‘Adamo, dove sei?’. Poiché aveva peccato, si era nascosto dalla presenza di Dio. Qui la sepoltura corrisponde al nascondimento: il morto assomiglia al peccatore e il sepolto assomiglia a chi si nasconde dalla faccia di Dio” (Ottantatré questioni diverse 65).

La tradizione ortodossa fa memoria di Lazzaro nel sabato che precede la domenica delle Palme. Il tema della forza della voce del Signore percorre i testi liturgici come un ritornello: “O voce divina, divina potenza della tua forza, o Salvatore: per essa hai spezzato le porte dell’Ade e della morte vorace; strappa anche me alle mie passioni, come allora il tuo amico, Lazzaro di quattro giorni” (Mattutino, all’ode V). “Gloria a te, che soltanto chiamandolo risuscitasti dalla tomba Lazzaro, l’amico, morto da quattro giorni” (Mattutino, all’ode II). “Unendo la polvere allo spirito, o Verbo che in antico vivificasti il fango con lo Spirito di vita e il tuo verbo, anche ora con il verbo risusciti l’amico dalla corruzione e dalle profondità degli inferi” (Mattutino, all’ode V).

“Signore, sulla tomba del morto da quattro giorni, sulla tomba di Lazzaro sei venuto e, versando lacrime per l’amico, risusciti il morto da quattro giorni, o Spiga della vita; alla tua voce la morte fu così legata e dalle tue mani furono sciolte le bende funebri” (Vespro).

Questo testo è particolarmente bello e collega il nostro testo con l’immagine del chicco che muore e porta frutto (cf. Gv 12,24), immagine applicata dalla liturgia innanzitutto a Cristo e più volte ripetuta nella Grande settimana. Inoltre, parlando delle lacrime versate per l’amico, mostra l’umanità compassionevole di Gesù, tema caro alla liturgia ortodossa e che pure il prefazio odierno sottolinea: Gesù piange l’amico, Gesù ha misericordia di tutta l’umanità.

Questa sottolineatura, così eloquente per noi in questo momento, è una nota particolare del nostro prefazio, rispetto alle fonti cui attinge, anche se è un dato ben presente nei vangeli. “Vedendo le folle, Gesù ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9,36; Mc 6,34) e spesso ripreso dai padri nei loro commenti. “Egli andò per trarre fuori il morto dal sepolcro e interrogò: ‘Dove lo avete deposto?’. E comparvero le lacrime sugli occhi di nostro Signore, e le sue lacrime furono come la pioggia, e Lazzaro come il grano, e il sepolcro come la terra. Egli gridò con voce di tuono e la morte tremò alla sua voce; Lazzaro si erse come il grano, uscì fuori e adorò il Signore che lo aveva risuscitato” (Efrem, Commento al Diatessaron 17,7).

In queste lacrime versate per l’amico i padri hanno visto una testimonianza della vera umanità di Cristo: “L’aver il Signore pianto Lazzaro, dipende dal suo affetto per lui; l’averlo invece risuscitato dai morti dipende dalla sua potenza. Nelle lacrime del Signore si mostra il segno della carne che aveva assunto; nella resurrezione di Lazzaro si manifesta, invece, la potenza della sua divinità” (Cromazio di Aquileia, Sermoni 11,1).

All’affetto del Signore corrisponde l’obbedienza del credente, colui che si è sentito chiamare per nome “nel segreto”, come diceva Agostino, colui che “ha l’intenzione di seguire la parola della conversione”, come dice Origene, e che non appena Gesù comanda: “Scioglietelo e lasciatelo andare”, “ha la possibilità di camminare” sulla via dei comandamenti e “sedere alla mensa con Gesù” (cf. Commento a Giovanni 28,59-60).

Fonte: Monastero di Bose
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