Clicca

Silvia Giacomoni: "50 anni di vita con Giorgio Bocca"

stampa la pagina
Silvia Giacomoni: "Del Bocca mi manca tutto, anche le litigate per l'arrosto"

La vitalità, il senso della morte, i figli, il lavoro. La compagna di sempre racconta 50 anni con il grande giornalista



MILANO - "Come sto? Vai giù a dare un'occhiata allo studio del Bocca". Una rampa di scale, in una bella casa dal tetto di vetro, e al posto delle geometriche scaffalature con i libri del Bocca - lei lo chiama così, il Bocca - ci si imbatte in un mucchio di scatoloni con la scritta spessa del pennarello: inglesi, francesi, storia partigiana, saggi. "Sono per Nicoletta, la figlia che vive a Dogliani. Da quando è morto - ormai sei anni fa - il suo studio era rimasto intatto. Un pezzo della casa in cui non entravo più. Un senso di tristezza grande". Il Bocca e la Giacomoni - anche lei rigorosamente per cognome - sono stati insieme per oltre cinquant'anni. Un rapporto tempestoso e immenso che ha lasciato tracce ancora vive. "Gli amici del Bocca non mi vogliono più vedere ", racconta Silvia con quel suo modo lieve e profondo insieme, ex professoressa convertita al giornalismo e poi allo studio della Bibbia. "Sono portatrice di una cosa che si chiama dolore. E siccome io sono sempre stata una maleducata - "Silvia perfidia" era il mio soprannome - rivendico il diritto di essere infelice perché ho perso un marito molto amato e molto rompiballe".

Perché è difficile elaborare il lutto?
"Il lutto è una cosa complicata. Io non so neppure cosa significhi elaborare il lutto. Ero molto giovane quando ho conosciuto il Bocca - avevo 27 anni, lui 45 - e mi sono formata con uno che era molto più grande, molto più intelligente e pieno di esperienza. Ora che non c'è più, mi sento dimezzata ".

Litigavate moltissimo.
"Era un carattere del nostro rapporto che faceva spaventare i nostri amici. Un modo di comunicare, schietto e profondo: nulla restava in ombra, neppure la cottura dell'arrosto. E questa era la fregatura".

Fregatura perché?
"Ci sono persone che sanno mantenere zone di indipendenza, mentre noi nella vita quotidiana eravamo intrecciati in tutto. Lo sai che la maggior parte degli uxoricidi avviene in cucina? Nulla desta maggiore ira di vedere friggere il pesce che andava bollito ".

Vi siete incontrati la prima volta nel 1965. Tu nel tuo libro autobiografico "Bibbia, libri e giornali" (Aliberti) racconti che leggendolo sul "Giorno" te lo immaginavi altissimo, biondo, perfino a cavallo. E invece?
"Mi sembrò basso, di gamba corta e vestito malissimo. Indossava un completino di terital grigio cucito a Hong Kong. Lui era fatto così: partiva senza valigia, poi si faceva fare un orribile guardaroba da sarti improvvisati. Quella sera non mi parve proprio il mio tipo".

E lui?
"Non smise di guardarmi con quel suo modo tipico, mordicchiandosi il pollice. Non riusciva a capire la mia estrazione, di che famiglia fossi".

I ricchi milanesi gli piacevano.
"Ma io non ero ricca per niente. La cosa che ha enormemente influito sul suo bisogno di me - l'amore è in fondo questo - era il fatto che io sapessi certe cose. Mi telefonava per chiedermi chi era Stuart Mill. E io glielo dicevo".

L'irresistibile fascino di Google.
"Sì, ridendo gli dicevo che s'era innamorato di me non perché giovane e bella ma perché gli servivo sul lavoro".

Come ti ha corteggiato?
"Il suo corteggiamento era molto elementare. Ti portava a mangiare molto bene, poi metteva le mani sotto la gonna. La prima volta che abbiamo fatto l'amore è stato in un campo di mais".

Cosa ti ha fatto cambiare idea rispetto al primo incontro?
"Era un misto raro di intelligenza e di prestanza fisica. Il Giorgio era straordinariamente forte. E fino alla fine è rimasto più robusto di me. Bisognava osservarlo mentre nuotava: la sua potenza fisica diventava vera bellezza. La bellezza dell'atleta".

Ma questa sua potenza fisica era per te minaccia o protezione?
"Non so, non l'ho mai vista così. Io avevo per questa sua forza una grande ammirazione e forse un po' di invidia. Dovevo difendermi non dalla sua resistenza, ma dalla sua pretesa che io lo fossi altrettanto".

Cosa ti chiedeva?
"Mi stremava. Nella mia casa di Ponte, in Valtellina, era capace di alzarsi all'alba e sciare per ore, poi un pomeriggio interno di canottaggio sul lago di Como, e tornati a casa si metteva a scrivere un pezzo. Era troppo".

Cosa nascondeva questa sua vitalità?
"Qui apriamo un capitolo vasto e misterioso. Il Bocca aveva la morte in tasca. Una volta durante una gita sopra La Thuile gli dissi: mi dispiace molto non averti conosciuto da giovane, prima che tu pensassi alla morte. E lui: io penso alla morte da quando avevo 17 anni. Questa sua vitalità era anche un modo per sfuggire all'angoscia".

C'entrava la sua esperienza partigiana?
"Non penso. Lui ha anche raccontato di aver ucciso un prigioniero- spia, ma credo si trattasse della proiezione d'un fantasma, del riflesso d'un senso di colpa collettivo. "Al Giorgio non è mai piaciuto uccidere", mi dicevano i suoi compagni partigiani".

E allora l'angoscia da dove veniva?
"Non aveva avuto un buon rapporto con il padre. E da bambino faceva le stesse cose che gli avrei visto fare da grande. Non si perdeva una festa, si divertiva da pazzi, poi tornato a casa batteva i piedi: io mi sono annoiato! Non gli bastava mai. Era insaziabile".

Anche quella del piemontese ruvido era una maschera?
"Assolutamente sì. Io lo chiamavo Casa Cupiello. Una tempesta sentimentale con la quale non è riuscito mai a fare i conti. Nel suo libro Il provinciale, romanzo più che autentica autobiografia, quella parte lì manca completamente. Non sapeva integrare la sua fragilità sentimentale con il resto della personalità".

Casa Cupiello in cosa si scatenava?
"L'ho visto piangere per Nicoletta, la figlia per cui nutriva un amore spropositato. Aveva anche sensi di colpa. Dopo la separazione dalla prima moglie, ne aveva chiesto l'affidamento, ma il mestiere lo teneva lontano da casa ".

Tu spesso l'hai accompagnato fuori.
"Sì. Nel '72 lo accompagnai in macchina anche a Monaco per le Olimpiadi: aveva la gamba di gesso e non poteva guidare. Il Giorno l'aveva mandato per il cosiddetto colore. Fu in quell'occasione che Brera, coordinatore dei servizi sportivi, gli fece la carognata più grande".

Quale?
"Lo tenne all'oscuro dell'attacco terroristico che era in corso fin dal mattino. Voleva segarlo. Ma il Bocca dal Villaggio Olimpico dettò una delle sue cronache più belle".

Com'era con i colleghi?
"Competitivo, ma incapace di canagliate. Non rubava mai il pezzo al collega: magari si tene- va lontano dal fatto per non ingolosirsi. E anche quella volta reagì con Brera senza rabbia".

Invece con te lo descrivi come un predatore.
"Quando ci siamo conosciuti io facevo l'insegnante. Ma qualsiasi cosa gli dicessi, anche la più banale, poi me la ritrovavo nei suoi pezzi o nella rubrica sull'Espresso. Così gli proposi di farmi un regolare contratto da "negro" o, come si dice ora, da ghost writer ".

Ma lui poi ti ha spinto a fare la giornalista. Sei entrata a "Repubblica".
"Sì, certo. Ma mi faceva scherzi terribili. Una volta una rivista mi chiese un'intervista a Prada, ma in edicola trovai un servizio del Giorgio. Si impadroniva di tutto quello che facevo, senza rendersene conto".

Ti considerava parte di sé.
"Era come un fuoco che aveva bisogno continuamente di legna ".

Com'era con i tuoi due figli, Guido e Davide?
"Straordinario. I bambini gli piacevano moltissimo. Ma prima di tutti veniva lui con il suo lavoro. Era Boccocentrico".

Era anche geloso?
"Come un Otello. Gelosissimo come tutti i tombeur de femmes, ossessionati dall'idea che gli altri facciano lo stesso con la propria moglie. Una sera per gioco Roberto Olivetti mi propose di fuggire da una noiosissima cena: il Bocca lo prese come un tradimento. Non poteva immaginare che noi saremmo andati a mangiare un boccone in Galleria, invece di congiungerci carnalmente in ascensore, come di certo avrebbe fatto lui".

Ti tradiva?
"Ha avuto molte donne. Ci sono stati periodi in cui la cosa non mi dava fastidio perché l'attribuivo al suo eccesso di vitalità. Poi con il passare degli anni mi ha turbato: vi vedevo una sorta di scissione, la sua incapacità di regolarsi ".

Alla fine vi siete sposati anche davanti a Dio.
"Quel giorno era contento anche se poi mi avrebbe strapazzato: eh la Silvia cosa mi fa fare... La messa è stata celebrata a casa, intorno al tavolo su cui poi abbiamo mangiato. Ripristinammo anche le fedi, che ho poi lasciato nella sua urna, in cimitero".

Perché non le hai tenute con te?
"Non lo so. È stato un gesto istintivo lasciargliele".

Ancora una volta è stato più forte.
"Sì, fino alla fine asso pigliatutto ".

È morto a novantuno anni, praticamente alla scrivania.
"Giorgio Bocca è esistito finché ha scritto. Nelle ultime settimane la dottoressa mi diceva: lei non ha idea di quanta fatica faccia suo marito per alzarsi. Tutte le mattine si sedeva alla sua scrivania, fingeva di leggere i giornali. Come se niente fosse. Mai un momento di abbandono".

Ha prevalso il Bocca granitico.
"Sì, non abbiamo mai permesso a Casa Cupiello di prendersi la rivincita".
stampa la pagina



Gli ultimi 20 articoli