Clicca

Commenti Vangelo 26 febbraio 2017 VIII Tempo O.

stampa la pagina
  1. Alberto Maggi
  2. Antonio Savone
  3. Associazione il Filo
  4. Augusto Fontana
  5. Clarisse Sant'Agata
  6. Claudio Doglio
  7. Comunità Kairòs
  8. Diaconia
  9. Diocesi di Macerata
  10. Diocesi di Vicenza
  11. Ermes Ronchi
  12. Ernesto Balducci
  13. Fabio Rosini
  14. Fernando Armellini
  15. Gaetano Piccolo
  16. Giulio Michelini
  17. José María Castillo
  18. Matías Augé
  19. Meditare la Parola
  20. Monastero Dumenza
  21. Paolo Scquizzato
  22. Pastorale Cultura Palermo
  23. Rito ambrosiano: Angelo Casati
  24. Rito ambrosiano: Gianantonio Borgonovo
  25. Rito ambrosiano: Walter Magni
  26. Rito ambrosiano: Qumran2.net

Commento di Paola Radif
(uscito su Il Cittadino del 26 febbraio 2017)

Mercoledì delle Ceneri

Il Mercoledì delle Ceneri prende nome dal rito che dava inizio al cammino di penitenza dei fedeli che sarebbero stati assolti dai loro peccati la mattina del Giovedì Santo. Nel tempo il gesto dell'imposizione delle ceneri si estende a tutti i fedeli e sta a significare l'ingresso nello stato di penitenti all'inizio del cammino quaresimale.
Come ogni gesto simbolico l'imposizione delle ceneri dovrebbe suscitare nel cristiano una reazione concreta e costruttiva, aiutata dalle parole pronunciate dal celebrante o da chi lo sostituisce in questa liturgia che, lo ricordiamo, può, all'occorrenza, essere espletata anche da un diacono.
Due sono i richiami che derivano dalle formule che accompagnano il gesto: “Ricorda, o uomo, che sei polvere e polvere ritornerai” e “Convertitevi e credete al vangelo”. Sono formule che si sono avvicendate nelle Liturgie degli ultimi decenni, e che ora vengono spesso ripetute congiuntamente, anche perché sono l'una conseguenza dell'altra.
Se prendi coscienza della tua debolezza e fragilità arrivi alla decisione di convertirti, effettuando un'inversione di rotta che conduce in direzione opposta alla precedente. Non ci sono mezze misure quando ci si trova davanti a ciò che conta davvero e alla possibilità di mettersi alla sua ricerca con ogni buona volontà. Nell'Antico Testamento cospargersi di cenere, sedersi sulla cenere, digiunare, indossare un saio ruvido e grezzo era il mezzo per sperare di ottenere l'aiuto e il perdono del Dio che il popolo aveva offeso e questa pratica non era riservata alle donnicciole, o ai disperati, ma c'erano re, regine, profeti e tutto il popolo che si sottoponevano a questa pratica di penitenza.
Nel Libro di Ester la regina Ester, che è ebrea, si toglie gli abiti lussuosi e si cosparge di cenere prima di chiedere a suo marito, il re Assuero, di far grazia alla sua gente perseguitata.
Nel Libro di Giona, il re di Ninive si copre di sacco e di cenere coinvolgendo nella penitenza non solo tutti gli abitanti, ma persino gli animali e il Signore risparmia la sua città dalla distruzione.
Se noi oggi dovessimo trovare qualcuno che il giorno delle Ceneri fa una penitenza pubblica per espiare i propri peccati saremmo davvero in difficoltà. Ma i motivi sono molti. Intanto occorre essere convinti della propria condizione di peccatori e avere la volontà di uscirne fuori. Poi, però, c'è un altro aspetto di tipo culturale: non sappiamo più cogliere il significato nascosto dei simboli e dei gesti liturgici.
Acqua, pane, olio, cenere non si riescono a percepire nella loro valenza simbolica. Symbolon era nell'antichità un oggetto che si spezzava in due al momento della compra vendita, ad esempio, di un campo. Metà andava al venditore e metà all'acquirente: proprietario era colui che dimostrava di avere la metà perfettamente compatibile con l'altra. Era la ricevuta!
Così accade per i simboli liturgici: se l'idea di cenere non richiama in noi alcun pensiero o significato, si perde il senso di ciò che compiamo nella celebrazione. Palme, ulivi, acqua benedetta hanno bisogno di trovare dentro di noi quella metà che ci dia la chiave di interpretazione e comprensione dei gesti liturgici.
Ai ragazzi va spiegato l'itinerario antico che ha portato i primi cristiani a riconoscersi dentro certi segni che in qualche modo parlavano alla loro interiorità. Il digiuno sapevano che cosa era perché l'avevano sperimentato, la fragranza di un pane condiviso era esperienza quotidiana, un calice di vino rallegrava e donava la gioia semplice di essere tra amici. E quando la persecuzione si è abbattuta su tanti di loro, hanno parlato con la sagoma di un pesce, Ichthys, acronimo greco di Gesù, Figlio di Dio, Salvatore o con il vessillo della croce, unico linguaggio per comunicare, anche senza parole.

Articoli correlati Enzo Bianchi 26 febbraio 2017 VIII Tempo Ordinario
stampa la pagina



Gli ultimi 20 articoli