Di ritorno da una settimana di esercizi spirituali in un convento trentino, l’impatto con il mondo reale non poteva essere più aspro. In quel convento, guidati da un padre cappuccino svizzero e dalle mie meditazioni filosofico-teologiche, erano convenute una quarantina di persone dalla Svizzera e da tutta Italia, da Catania a Bolzano, da Torino a Trieste. Immaginate persone che non si conoscono tra loro e che però, avendo una finalità comune, iniziano a guardarsi con fiducia e giorno dopo giorno, nel raccoglimento e negli scambi di esperienze, sentono di condividere qualcosa, di essere sulla medesima strada, di soffrire per le stesse paure, di coltivare le stesse speranze, e vedono sorgere sentimenti di reciproca simpatia e persino di unione. Si pranza e si cena in silenzio, sempre in silenzio si cammina attorno al chiostro e nei corridoi e nel giardino del convento, si sta seduti nella sala di meditazione, alcuni sulla sedia, i più sui cuscini nella classica forma orientale detta “pos