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Foglietto 27 novembre 2011 (Famiglie Visitazione)

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Marco 13,33-37

1) Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento: il fatto di non conoscere il momento non è un misero espediente usato da Dio per mettere l’uomo in una condizione di minorità impaurita, ma un dato di fatto della situazione di ogni uomo, perfino del Figlio (cfr. v 32 immediatamente precedente: Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre). Questa sovranità e libertà di Dio sul tempo esaltano la responsabilità dell’uomo rispetto alla storia. Quello che rende bella la vita dell’uomo è lo sguardo attento alla storia, la vigilanza come atteggiamento di fondo, non l’evasione verso mondi immaginari.
2) È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito: l’uomo che è partito e che deve tornare è Gesù. Il brano di questa domenica precede immediatamente il racconto della passione; dopo la risurrezione il Signore partirà per salire al Padre e lascerà questo mondo. I vangeli e gli Atti raccontano come prima dell’Ascensione Gesù ai suoi discepoli dà delle consegne, qui richiamate con parole molto forti: ai servi è dato il potere (si usa un termine che esprime il senso pieno di potestà, di autorità, anche politica) e il compito (lett. opera, lavoro da fare).

3) Ha ordinato al portiere di vegliare: il testo sottolinea che c’è un servo particolare. Il comando di vegliare, già presente al v 33 e ripetuto poi ai vv 35 e 37, per lui si concentra sulla porta. Il termine portiere è lo stesso usato in Gv 10,3, quello che apre il recinto delle pecore al buon pastore. Si accenna forse ad un ministero preciso di sorveglianza sulla comunità. La porta potrebbe essere anche quella del cuore di ogni discepolo, da sorvegliare per evitare l’insidia di chi vuole portare via dal cuore il senso dell’attesa amorosa e vigilante del Signore.
4) Voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino: sono le quattro fasce orarie in cui veniva divisa la notte. Il riferimento è alla notte che precede la passione, in cui i discepoli non riescono a vegliare e Pietro rinnega il Signore prima del canto del gallo.
5) Quello che dico a voi, lo dico a tutti, vegliate: il discorso del cap. 13 è rivolto a Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea (cfr. Mc 13,3), ma l’invito a vegliare è universale.

Isaia 63,16b-17.19b; 64,2-7

1) Il popolo, pienamente consapevole del proprio peccato, si rivolge a Dio con una preghiera provocatoria facendo appello non ai propri meriti, ma al Suo amore ed alla Sua misericordia di Padre: Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito delle tue viscere e la tua misericordia? (v 15) Perché tu, Signore, sei nostro Padre, da sempre ti chiami nostro redentore (LXX: libera noi! Il tuo nome da principio è su di noi): il popolo ha la certezza dell’elezione, dell’amore e del perdono del Padre: voi mi chiamate Padre mio e non tralascerete di seguirmi… ritornate figli traviati, io risanerò le vostre ribellioni… ecco noi veniamo a te perché tu sei il Signore nostro Dio… davvero nel Signore nostro Dio è la salvezza d’Israele (Ger 3,19-23).
2) Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema?: è una preghiera pressante che “osa” fino ad imputare a Dio la responsabilità di permettere la lontananza dalle Sue vie e l’indurimento del cuore. Il popolo lasciato a sé stesso è prigioniero e preda della propria iniquità e del peccato (vero grande unico nemico): tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli (v 4). Siamo divenuti tutti come una cosa impura… le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento (v 5).
3) Ritorna (LXX: convertiti) per amore dei tuoi servi: questa supplica è fatta confidando nell’amore del Padre per i suoi figli: peccatori ma sempre figli eletti ed amati: Dio ti sei sdegnato, ritorna a noi (Sal 60,3); e misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore (Sal 145,8); Ritorna, Signore, libera l’anima mia, salvami per la tua misericordia (Sal 6,5).
4) Se tu squarciassi i cieli e scendessi: è un’invocazione a Dio perché si affretti nel compimento delle promesse fatte nei tempi antichi: Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia: si apra la terra e produca la salvezza (Is 45,8). Profeticamente si chiede quanto nella pienezza dei tempi troverà compimento con la venuta del Messia Salvatore: veramente orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui (v 3).
5) Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia: la gioia è di chi pratica la giustizia non come via arida di perfezione individuale, ma come dono e luogo di incontro con il suo Signore: Nella via dei tuoi insegnamenti è la mia gioia, più che in tutte le ricchezze… Nei tuoi decreti è la mia delizia, non dimenticherò la tua parola (Sal 118(119), 14.16). In quel giorno il popolo offrì numerosi sacrifici e si rallegrò, perché Dio gli aveva concesso una grande gioia. Anche le donne e i fanciulli si rallegrarono e la gioia di Gerusalemme si sentiva di lontano (Ne 12,43).

6) Noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani: esprime l’affidamento e l’abbandono filiale a Dio creatore che plasma continuamente a suo piacimento la sua creatura amata: Dio plasmò l’uomo. Soffiò un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente (Gen 2,7). E come l’argilla nelle mani del vasaio che la modella a suo piacimento, così gli uomini nelle mani di Colui che li ha creati (Sir 33,13).

1Corinzi 1,3-9

1) Grazia a voi e pace da Dio Padre: Paolo saluta i suoi amici con due parole importanti; la grazia è l’opera di Dio che previene ed è alla base della vita cristiana: per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me (1Cor 15,10). La pace è la condizione di bene di cui possono godere gli uomini redenti dal Signore: giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo (Rm 5,1); infine la grazia e la pace sono la visita di Dio nella povertà della vita di ogni uomo; la grazia e la pace sono nella nascita del Salvatore, nel bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia e nel coro degli angeli che canta: gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama (Lc 2,14).
2) Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi: Paolo che ha ricevuto per primo la grazia di Dio, rende grazie a sua volta il Signore per la sua opera che è la comunione tra Lui e i suoi figli, che fa essere nella pace Paolo e i suoi amici.
3) Grazia data in Cristo Gesù… in cui siete stati arricchiti: la grazia di Dio tocca tutti gli uomini, li rende capaci di compiere ciò che sono chiamati a restituire al mondo: voi conoscete bene la grazia del Signore nostro Gesù Cristo, il quale si fece povero per voi, pur essendo ricco, per arricchire voi con la sua povertà (2Cor 8,9).
4) la testimonianza di Cristo: il Vangelo proclamato da Paolo ha portato molti frutti; il più grande è la comunione dei Corinzi nella fede, tanto che non manca più alcun dono di grazia in loro: siamo afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto! (2Cor 6,10).
5) Egli vi manterrà saldi fino alla fine: aspettando il giorno del Signore dovere dei Cristiani è essere ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell'azione di grazie (Col 2,7). L’attesa deve essere calma e fiduciosa perché nonostante le infedeltà e i fallimenti degli uomini, Dio è fedele e ne è prova la sua comunione con noi attraverso Cristo.

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

La sapienza ebraica cristiana propone una collocazione singolare nella storia. Da una parte immerge la persona in tutto il dramma della storia, al punto di darle una coscienza partecipe senza sconti. Il testo profetico ci offre un’invocazione a Dio che quasi sembra sfiorare l’imprecazione, e che ha come soggetto un “noi”, che dice un’assunzione globale della situazione, un noi che si lascia coinvolgere come protagonista anche in vicende concretamente lontane e forse non tutte collegate con l’esperienza diretta di questa persona: “...ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore… abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti do giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te”. Mi sembra chiaro che chi parla così si lascia volontariamente coinvolgere in fatti e atteggiamenti che vanno ben oltre la sua persona, ma che egli assume come suoi. E per questo si rivolge a Dio con provocatoria severità, sempre a nome di tutti: “Tu sei nostro padre… perché ci lasci vagare  lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore?”. È un’accusa di “omissione di soccorso”! E anche l’invito a intervenire è molto vibrante: “Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità”. Come per dire: “E’ tutta roba tua!”. Diventa ammonizione nei confronti di Dio persino il dirgli “...tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te”. Ed ecco quindi l’invito forte e appassionato a che Egli intervenga: “Se Tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti”. Com’è appassionata questa invocazione. E, in fondo, tanto affettuosa!
D’altra parte, è indubbio che tutto viene anche osservato e vissuto a partire da una condizione di privilegio. Una condizione di esuberante abbondanza. Ci dobbiamo lasciar dire: “...in lui siete stati arricchiti di tutti i doni… non manca più alcun carisma, alcun dono, a voi”. Si vive quindi in una specie di equilibrio instabile tra l’immensità dei doni e la precarietà, fragilità e povertà delle situazioni. Ecco allora in tutto questo e per tutto questo l’ingiunzione a “vigilare”. Una tensione-attenzione anch’essa un po’ singolare! Non si tratta infatti dell’attesa di una catastrofe, ma di una luce così potente da essere severa! Questo porta ad una conclusione quasi pazzesca e insieme meravigliosa: come stare da signori in una vicenda da poveretti. Come imbandire lussuosamente una tavola sulla quale c’è solo un po’ di pane e un bicchiere di vino. Come preparare con cura e commentare con canti di gioia una vicenda dove spesso molti piangono, e con molte ragioni. Come praticare una liturgia del sorriso anche nei momenti di paura. Come dire nel modo meno retorico possibile: Tutto bene! Ma infine come imparare l’arte della povertà, quella che ci consente di cantare il grande Salmo: “Grandi cose ha fatto il Signore per noi!”. E il bello è che questo è assolutamente vero, e che noi siamo le persone più fortunate del mondo.


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