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Foglietto 20 novembre 2011 (Famiglie Visitazione)

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Matteo 25, 31-46

1) Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria: con questo testo si completa la lettura del cap. 25 iniziato due domeniche fa. Non è una parabola, ma una visione profetica dell’ultima venuta del Signore. La gloria del Figlio dell’uomo non è quella dei potenti della terra: a partire dai vv successivi, al cap. 26, Mt racconterà la passione e la gloria del crocefisso risorto. A lui è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra (Mt 28,18).
2) Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli: il giudizio ha un carattere universale. Con la stessa espressione in Mt 28,19 Gesù dice agli undici a chi rivolgere l’annuncio del vangelo: fate discepoli tutti i popoli. I protagonisti sono loro, tutti gli uomini davanti a Gesù.
3) Egli separerà gli uni dagli altri: la separazione precede la pronuncia del giudizio, che non si basa su fatti difficili da accertare, ma sul rapporto diretto tra ogni uomo e quel giudice.
4) Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio: il titolo di re, che è al centro della liturgia di questa domenica, si ricollega al re della festa di nozze e alle varie figure di padrone/signore/sposo delle domeniche scorse. Anche in questo caso, alla sua venuta porterà un dono sproporzionato alla modesta fedeltà nella custodia dei doni già ricevuti. Qui addirittura si eredita il regno preparato… fin dalla creazione del mondo.

5) Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare: queste opere di misericordia sono precetti ricorrenti nell’AT. La novità assoluta di questo brano è l’assimilazione totale di Gesù nel povero, che troverà una conferma, pochi versetti più avanti nella cena di Betania: i poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me (Mt 26,11). Nel tempo della pazienza di Dio, il Figlio dell’uomo non sarà più visibile, ma sarà misteriosamente presente nel sacramento del povero.
6) Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare: i benedetti non sapevano che soccorendo l’affamato, davano da mangiare al Signore. Dunque non si parla dei discepoli, ma di quelli che non lo conoscono. L’altra rivelazione fondamentale di questo brano è questo rapporto, misterioso ma diretto, di Gesù con tutti gli uomini: un dialogo inconsapevole ma potentissimo con ogni uomo che sappia cogliere il senso profondo della vicenda umana nel povero, nello straniero, nel carcerato…
7) Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me: questa frase può aiutarci a inserire nella scena del giudizio anche i discepoli di Gesù. In Mt 10,42, il Signore dice: Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa. Certo, vale per i discepoli quello che vale per tutti gli uomini, dare da bere all’assetato. Ma forse il loro posto privilegiato è dall’altra parte, in compagnia di Gesù in mezzo ai poveri.

Ezechiele 34,11-12.15-17

1) Così dice il Signore Dio: ecco io stesso cercherò le mie pecore: questo versetto si collega strettamente alla prima parte del cap. 34 del libro di Ezechiele. È preceduto infatti da un severo giudizio di Dio sui “pastori” d’Israele perché pascolano se stessi (34,1), non amano le pecore loro affidate, ma le sfruttano e le opprimono: non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza (Ez 34,4). Di qui l’intervento di Dio: non saranno più i pastori a prendersi cura delle pecore, ma Dio stesso: Così dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge... strapperò loro di bocca le mie pecore... io stesso cercherò le mie pecore (Ez 34,10-11). L’enfasi del discorso è posta su quell’io stesso, che esce direttamente dalla bocca del Signore (così dice il Signore) per esprimere il suo amore e la sua determinazione a salvare gli oppressi. Mentre gli altri pastori, agendo in proprio, sono state cattive guide, Dio è l’unico buon pastore, il salvatore dei poveri; in questo consiste la sua regalità (Sal 10,16-18). Poiché i suoi figli sono incapaci di tornare a lui, è il Signore che prende l’iniziativa e li cerca (Gen 3,8).
2) Come un pastore passa in rassegna il suo gregge..., così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò [ebraico: libererò] da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine: il verbo che viene qui tradotto con “passare in rassegna” ha in ebraico il primo significato di “osservare diligentemente”; la vulgata lo traduce con “visitare”. Il pastore buono, che libera il gregge, non si pone al di fuori del gregge, come i cattivi pastori, ma deve condividerne la sorte: sta in mezzo alle sue pecore. La dispersione del gregge di cui qui si parla è l’esilio del popolo. I capi d’Israele hanno tradito l’incarico ricevuto dal Signore: per la loro infedeltà e per quella del popolo, Israele è stato deportato (Ez 11,1-13); ma l’esilio è diventato nelle parole del Signore “un giorno di caligine”, che viene presto dissolto dalla fedeltà del Signore (Os 11,8-11). È infatti proprio la condizione perduta del popolo ad essere prescelta dal Signore per la sua visita (Ez 11,11-28). In virtù di questa visita le pecore smarrite vengono immediatamente radunate, perché, prima che in un luogo fisico, esse trovano nella sequela di Dio la loro dimora comune (Es 13,21-22; Nm 10).
3) Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare ..., curerò quella malata ,avrò cura della grassa e della forte [ebraico: la grassa e la forte distruggerò]; le pascerò con giustizia: alle pecore Dio riserva quelle attenzioni che avrebbero dovuto avere i loro pastori (Ez 34,1-10). Secondo il testo ebraico la cura che Dio ha verso le pecore forti e le grasse è quella di distruggere la loro grassezza e forza, in modo che non ci siano più tali pecore nel gregge. È questa la giustizia del Signore.
4) A te, mio gregge... Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri: a questo punto Dio si rivolge direttamente al suo gregge (a te mio gregge), perché entra in giudizio con ciascuna pecora. Poiché le pecore sono state raggiunte dalla misericordia di Dio, è in questa stessa misericordia che ora non possono che muoversi anche nei loro rapporti reciproci (Ml 2,10). Egli passa in rassegna le pecore (v 19) per conoscerle una ad una: le guarisce e nello stesso tempo le giudica sull’amore (Ez 34,18-22). La visita del Signore è così nello stesso tempo ed inseparabilmente salvezza e giudizio.

 1Corinzi 15,20-26.28

1) Ora invece Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti: Paolo ricorda ai Corinzi il vangelo che lui ha ricevuto e che a sua volta ha trasmesso a loro: Cristo morì per i nostri peccati, secondo le scritture, fu sepolto ed è risorto il terzo giorno secondo le scritture; apparve a Cefa e quindi ai dodici… ultimo fra tutti apparve anche a me come un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli (1Cor 15,3ss). A Corinto però alcuni sostengono che non esiste la risurrezione dei morti e Paolo replica dicendo che, se fosse così, vana sarebbe stata la sua predicazione e se la speranza in Cristo fosse soltanto in questa vita, la fede sarebbe inutile. Nella lettera, i morti sono quelli che si sono addormentati: Lazzaro il nostro amico si è addormentato: ma io vado a svegliarlo (Gv 11,11); invece Cristo è il primo tra i risorti da morte e ha annunciato la luce al popolo e alle genti (At 26,23).
2) Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita: la morte è entrata nel mondo attraverso Adamo (in ebraico Adamo = uomo). Adamo, nella sua trasgressione, riassume tutta l’umanità e tutta la storia. Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire (Gen 2,17). Se quindi la morte è la conseguenza del peccato, il dono di Dio spezza questa catena in Cristo Gesù. Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me anche se muore vivrà (Gv 11,25). Ciascuno sarà vivificato secondo un ordine: prima Gesù, poi nel giorno della Sua gloriosa venuta ci sarà la risurrezione di quelli che sono di Cristo.
3) Poi sarà la fine: l’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte. Tutto Gesù porrà sotto i suoi piedi e assoggetterà tutte le cose. Alla fine il Figlio si sottometterà al Padre, affinché Dio sia il tutto in tutte le cose. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito di incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità, si compirà la parola della scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è o morte la tua vittoria? Dov’è o morte il tuo pungiglione? (1Cor 15,54ss).


SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

La caratteristica profonda dell’ultima domenica dell’anno liturgico è la sua universalità. Veramente penso che il Vangelo sia sempre in ogni modo un regalo per tutta l’umanità, per ogni donna e ogni uomo della terra, per tutte le generazioni. Tuttavia la memoria evangelica di quest’ultima parte del venticinquesimo capitolo di Matteo è molto esplicita, anche se spesso i cristiani la applicano a se stessi, dimenticando che per loro la richiesta è ben più impegnativa di quella che qui viene annunciata a tutti i popoli della terra, di ogni cultura e razza e religione. Ma il dato più impressionante è che, per parlare della fine di tutto, la sapienza cristiana non parli del cielo, ma della terra e delle sue grandi povertà. Questo è del tutto coerente con il grande capovolgimento che rispetto alle altre credenze religiose la fede ebraico-cristiana propone alla storia dell’umanità.
Oggi Dio si accosta e si identifica con i più piccoli della terra, affamati, assetati, nudi , malati e prigionieri, e addirittura, nel testo di 1Corinzi, porta il suo itinerario nella storia dell’umanità sino alla morte. La morte di Gesù, Dio benedetto nei secoli dei secoli come dice un passaggio della Lettera ai Romani che mi ha molto preso. La storia si conclude sulla terra con questa realtà dei piccoli e dei poveri, che oggi, come nel passato, e ancor più drammaticamente che nel passato, è suprema provocazione per ciascuno di noi. La potenza della Parola anticipa il tempo finale ed esprime il giudizio di Dio in riferimento alla moltitudine dei nostri fratelli più piccoli. Non c’è vera esperienza di Dio se non cogliamo il mistero dei poveri. Non c’è vera esperienza di Dio, se noi stessi non ci riconosciamo come poveri sui quali scende l’amore sollecito di chi ci vuole bene e ci nutre, ci disseta, ci veste…
Oggi è l’occasione preziosa per ringraziare tutti quelli che si sono piegati su di noi e ci hanno comunicato il cibo, la bevanda e l’abito necessario, insieme alla salvezza e alla libertà, tutte realtà preziose per la nostra piccola vita. È anche l’occasione per vedere quanto anche i nostri fratelli e le nostre sorelle che non condividono il dono della fede siano per noi fonte di ogni bene. Ma è anche l’interrogativo pressante e severo sulla relazione che noi stessi teniamo con i più piccoli dei nostri fratelli. In un passaggio del suo discorso inaugurale il presidente Obama faceva cenno al fatto che bisogna partire dai poveri per affrontare efficacemente i problemi del mondo. Noi siamo oggi convocati al grande banchetto dove il Pane viene spezzato per tutti. Possiamo e dobbiamo chiederci se e come questo banchetto sia fonte, ispirazione e giudizio di tutta la nostra storia.

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