Riflessioni sulle letture 6 novembre 2011 (Manicardi)
domenica 5 novembre 2011
Anno A
Sap 6,12-16; Sal 62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13
Sap 6,12-16; Sal 62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13
Essenziale per ottenere la sapienza è desiderarla: il desiderio della sapienza spinge a cercarla e la sapienza stessa va incontro a chi la cerca. Se la sapienza è luminosa e splendente, essa irraggia su chi la desidera e la cerca: è la ricerca stessa della sapienza che rende sapienti (I lettura). Il credente cristiano non abbisogna solamente di fede, ma anche di sapienza. Sapienza è predisporre tutto per incontrare il Signore. Stoltezza – e c’è la possibilità di una fede stolta, insulsa, stupida, non intelligente – è negligenza nel prepararsi all’incontro con il Signore. Ma il Signore va incontro lui stesso a chi lo cerca e lo attende tenendo viva nella notte la lampada del desiderio dell’incontro (vangelo).
Opposta alla sapienza è la stupidità che è un difetto “che interessa non l’intelletto, ma l’umanità di una persona … La Bibbia, affermando che il timore di Dio è l’inizio della sapienza (Sal 111,10), dice che la liberazione interiore dell’uomo alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica reale vittoria sulla stupidità” (Dietrich Bonhoeffer). La nostra parabola dice dunque che sapienza è anche senso di responsabilità e capacità di vita interiore.
Uscire, andare incontro al Signore veniente, tenere le lampade accese nel buio della notte, attendere il Signore: queste espressioni riferite alle ragazze amiche della sposa che, secondo gli usi matrimoniali del tempo, attendevano a casa dei lei l’arrivo dello sposo, esprimono bene la missione della chiesa nella storia. Si tratta di compiere un esodo, una fuoriuscita dalla mentalità mondana; di cercare il Signore per vivere una relazione autentica e vitale con lui; di custodire la fede, l’amore e la speranza e attendere la sua venuta.
In particolare, occorre mantenere vivo il desiderio del Signore: questa la lampada che la chiesa è chiamata a tenere accesa nella buio della notte. Un credente o una comunità cristiana che perdano il desiderio del Signore, sono come sale che perde sapore (cf. Mt 5,13), luce che spegne se stessa (cf. Mt 5,14-15). Questo desiderio è ilproprium del credente: o lo si ha in sé o nessuno può pretenderlo dagli altri. Le ragazze stolte, chiedendo l’olio alle sapienti, pretendono ciò che non può essere dato.
Nella vita cristiana, la sapienza è il predisporre tutto peressere pronti per il Signore, per la sua venuta, per il suo dono, per la sua grazia, ed è tutt’altro rispetto all’efficienza e all’attivismo del protagonismo cristiano. Nella sapienza è sempre insita l’umiltà, la giusta misura di sé.
Dietro l’immagine del ritardo dello sposo (cf. Mt 25,5) si delinea il problema della promessa della venuta del Signore e del protrarsi della sua attesa nella storia. Problema esposto con spietata lucidità da Ivan Karamazov nel famoso romanzo di Fëdor Dostoevskij: “Son passati quindici secoli dal momento in cui Lui promise di venire nel suo Regno… ma l’umanità l’aspetta ancora con fede sempre uguale e con sempre uguale tenerezza. Anzi, con fede ancor maggiore, giacché son trascorsi quindici secoli dal tempo in cui fu sospeso all’uomo ogni pegno celeste: ‘Credi a ciò che dice il cuore: non più pegni dà il cielo’. E così, unica e sola, è rimasta la fede in ciò che dice il cuore”. La venuta del Signore è solo ormai una pia illusione? Un anelito sgorgato dal cuore umano? Alla chiesa il compito di rispondere a queste domande con la propria prassi storica e umana ispirata alla fede nella promessa del Signore e con la propria sapiente attesa.
La sapienza è arte di vivere il tempo: la venuta del Signore non è misurabile cronologicamente, ma è essenziale perché afferma che il tempo ha una fine e un fine. Se il sapiente, per la Bibbia, è “colui che cerca Dio” (Sal 14,2), egli è anche colui che contare il tempo e ne conosce la finitezza (cf. Sal 90,12). Rimuovere la finitezza del tempo e la fine del mondo significa in realtà mandare a morte l’uomo, liquidare l’uomo.
La parabola è anche immagine del giudizio che attende il cristiano dopo la morte. La dialettica addormentarsi-alzarsi (cf. Mt 25,5.7) esprime la polarità del morire-risorgere (cf. Mt 27,52; 1Cor 15,20; 1Ts 4,13-15). L’esito del giudizio lo si gioca oggi, qui e ora, nella storia.
LUCIANO MANICARDI
Fonte: monasterodibose