La parola della domenica 30 Ottobre 2011 (Casati)
Ml 1, 14-2,2. 8-10
Sal 130
1Ts 2, 7-9. 13
Mt 23, 1-12
Sal 130
1Ts 2, 7-9. 13
Mt 23, 1-12
Se c'è una domenica in cui un prete si sente messo con le spalle al muro, è questa.
"Ora a voi questo monito, sacerdoti...": è scritto. E poi la minaccia, la minaccia di una maledizione.
"Manderò su di voi la maledizione". E, insieme, le benedizioni che ti si cambiano tra le mani e diventano maledizioni. "Cambierò in maledizione le vostre benedizioni". Dopo parole come queste... noi preti dovremmo alzare quasi tremando le mani a benedire: attirerò benedizione o maledizione?
Il profeta Malachia svela anche le cause di questa dura minaccia: "Se non mi ascolterete e non vi prenderete a cuore di dare gloria al mio Nome...".
Se non mi ascolterete. Sembra dire Dio: parlare, parlate! siete i professionisti della parola. Ma decisivo non è parlare, ma ascoltare me. C'è dunque una distorsione quando io concepisco la mia identità di prete come un parlare, un insegnare. "È uno che ascolta Dio": dovrebbero dire di me. Secondo motivo della maledizione: "Se non vi prenderete a cuore di dar gloria al mio Nome". Avviene, cioè, una sorta di dirottamento e la gloria che è dovuta al Nome di Dio va al Nome mio, preoccupati più del proprio nome, che del Nome di Dio: una chiesa preoccupata più di sé e del suo nome che dare gloria a Dio. Terza causa della minaccia -della minaccia ai sacerdoti-: vi siete allontanati dalla retta via, non avete osservato le mie disposizioni... avete usato parzialità riguardo alla legge. E cioè avete creato le vostre disposizioni, avete cambiato le carte in tavola, le carte della legge, e ciò che è più importante è diventato meno importante, e ciò che è meno importante è diventato più importante. Ebbene, il discorso di Matteo è in perfetta sintonia con quello del profeta Malachia. In Matteo il discorso è rivolto alle folle e ai discepoli, come a dire che il problema non riguarda soltanto quegli scribi della corrente dei farisei. Per Matteo il problema si ripropone per le generazioni future. Gesù mette in guardia, come da una mala pianta dura a morire, là dove si esercita un'autorità -soprattutto religiosa-, mette in guardia da atteggiamenti di incoerenza: dicono e non fanno, da atteggiamenti di supponenza: si fanno detentori della morale, del bene e del male, "legano fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito", mette in guardia Gesù da atteggiamenti di ostentazione: tutte le loro opere le fanno per essere ammirati, amano posti d'onore, si fanno chiamare "rabbi" dalla gente. Ebbene, - lasciatemi dire - questa è una delle pagine trascurate del Vangelo. È vero, di tanto in tanto ci sono tentativi di riportare la chiesa a una semplicità più evangelica, ma col passare del tempo le cose si assestano sul modello precedente; ricordo le speranze suscitate sul finire del Concilio, quando un gruppo di cardinali e vescovi si riunì, insieme ad alcuni teologi, e scopo della riunione era il cosiddetto "schema 14" sul ritorno alla semplicità evangelica dei vescovi e dei cardinali e sulla abolizione di tutti i titoli non evangelici. E varie centinaia di vescovi diedero con entusiasmo la loro approvazione. Abbiamo eliminato il titolo di Rabbi, ma pensate quanti titoli e sottotitoli sono proliferati, e quante vesti più o meno lunghe, più o meno colorate. Tanto che due domande mi vengono al cuore. La prima, cui non so rispondere, è questa: come mai, mentre su altre pagine del Vangelo si parla e si tenta una verifica, su questa no. Una domanda cui non so dare una risposta. La seconda è: come mai l'Antico e il Nuovo Testamento sono così duri su questi comportamenti di ostentazione e di supponenza che qualcuno potrebbe ritenere marginali. Ma, vedete, il Primo Testamento è rigoroso nel rivendicare l'unicità di Dio e che nessuno si metta al suo posto e che nessuno dirotti su altri l'attenzione che va a Lui. E il Nuovo Testamento, il Vangelo è preoccupato dell'immagine di Dio: "Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli: uno solo è il Padre vostro, quello del cielo". Con i nostri comportamenti di ostentazione e di supponenza - voi mi capite - ne va dell'immagine di Dio, di un Dio che si è fatto ultimo e servo, dell'immagine della comunità, dove la dignità più alta è quella di essere figli e fratelli.
Fonte: sullasoglia
Se non mi ascolterete. Sembra dire Dio: parlare, parlate! siete i professionisti della parola. Ma decisivo non è parlare, ma ascoltare me. C'è dunque una distorsione quando io concepisco la mia identità di prete come un parlare, un insegnare. "È uno che ascolta Dio": dovrebbero dire di me. Secondo motivo della maledizione: "Se non vi prenderete a cuore di dar gloria al mio Nome". Avviene, cioè, una sorta di dirottamento e la gloria che è dovuta al Nome di Dio va al Nome mio, preoccupati più del proprio nome, che del Nome di Dio: una chiesa preoccupata più di sé e del suo nome che dare gloria a Dio. Terza causa della minaccia -della minaccia ai sacerdoti-: vi siete allontanati dalla retta via, non avete osservato le mie disposizioni... avete usato parzialità riguardo alla legge. E cioè avete creato le vostre disposizioni, avete cambiato le carte in tavola, le carte della legge, e ciò che è più importante è diventato meno importante, e ciò che è meno importante è diventato più importante. Ebbene, il discorso di Matteo è in perfetta sintonia con quello del profeta Malachia. In Matteo il discorso è rivolto alle folle e ai discepoli, come a dire che il problema non riguarda soltanto quegli scribi della corrente dei farisei. Per Matteo il problema si ripropone per le generazioni future. Gesù mette in guardia, come da una mala pianta dura a morire, là dove si esercita un'autorità -soprattutto religiosa-, mette in guardia da atteggiamenti di incoerenza: dicono e non fanno, da atteggiamenti di supponenza: si fanno detentori della morale, del bene e del male, "legano fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito", mette in guardia Gesù da atteggiamenti di ostentazione: tutte le loro opere le fanno per essere ammirati, amano posti d'onore, si fanno chiamare "rabbi" dalla gente. Ebbene, - lasciatemi dire - questa è una delle pagine trascurate del Vangelo. È vero, di tanto in tanto ci sono tentativi di riportare la chiesa a una semplicità più evangelica, ma col passare del tempo le cose si assestano sul modello precedente; ricordo le speranze suscitate sul finire del Concilio, quando un gruppo di cardinali e vescovi si riunì, insieme ad alcuni teologi, e scopo della riunione era il cosiddetto "schema 14" sul ritorno alla semplicità evangelica dei vescovi e dei cardinali e sulla abolizione di tutti i titoli non evangelici. E varie centinaia di vescovi diedero con entusiasmo la loro approvazione. Abbiamo eliminato il titolo di Rabbi, ma pensate quanti titoli e sottotitoli sono proliferati, e quante vesti più o meno lunghe, più o meno colorate. Tanto che due domande mi vengono al cuore. La prima, cui non so rispondere, è questa: come mai, mentre su altre pagine del Vangelo si parla e si tenta una verifica, su questa no. Una domanda cui non so dare una risposta. La seconda è: come mai l'Antico e il Nuovo Testamento sono così duri su questi comportamenti di ostentazione e di supponenza che qualcuno potrebbe ritenere marginali. Ma, vedete, il Primo Testamento è rigoroso nel rivendicare l'unicità di Dio e che nessuno si metta al suo posto e che nessuno dirotti su altri l'attenzione che va a Lui. E il Nuovo Testamento, il Vangelo è preoccupato dell'immagine di Dio: "Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli: uno solo è il Padre vostro, quello del cielo". Con i nostri comportamenti di ostentazione e di supponenza - voi mi capite - ne va dell'immagine di Dio, di un Dio che si è fatto ultimo e servo, dell'immagine della comunità, dove la dignità più alta è quella di essere figli e fratelli.
Fonte: sullasoglia