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Prepotenza dell'uomo, impotenza di Dio

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Paolo Ricca in “Riforma” del 17 giugno 2011 – settimanale delle Chiese Evangeliche Battiste Metodiste e
Valdesi

Sono un membro della Chiesa evangelica valdese di Luserna S. Giovanni; la domenica delle Palme di quest’anno ho partecipato al culto durante il quale si è svolto il battesimo o la confermazione di nove catecumeni che, pubblicamente, di fronte a quasi quattrocento persone, hanno letto una confessione di fede in cui è presente l’affermazione che segue: «Non crediamo che Dio sia onnipotente». Mi chiedo allora: Che cos’è la confermazione oggi? 41 anni or sono alla domanda del pastore: «Credi tu questo?» avevo risposto: «Sì, con l’aiuto di Dio». (Daniela Tomasini - Luserna S. Giovanni).

Questa lettera contiene due domande, una implicita e l’altra esplicita. La prima riguarda l’affermazione di nove catecumeni di Luserna S. Giovanni (valli valdesi) i quali, in occasione della loro confermazione (o battesimo), hanno letto pubblicamente, nel corso del culto, una «confessione di fede» in cui, tra le altre cose, dichiarano: «Non crediamo che Dio sia onnipotente». In presenza di questa dichiarazione, presumo che la nostra lettrice (e probabilmente non solo lei) si sia posta l’ovvia domanda: «È cristiana un’affermazione del genere?». Da questa domanda implicita è scaturita quella esplicita: «Che cos’è la confermazione oggi?», che credo vada letta così: «Com’è possibile confermare, cioè accogliere come membri di chiesa, persone che non credono in un Dio onnipotente?». Sono due domande estremamente serie. Dovrei rispondere a entrambe, ma per ragioni di spazio posso rispondere solo alla prima, articolando la risposta in tre punti.

1. L’affermazione che Dio è onnipotente fa parte – come tutti sanno – dell’Abc della fede cristiana.

Lo dice in tanti modi la Bibbia, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. In molti passi del libro di Giobbe e dell’Apocalisse, l’Onnipotente è il nome stesso di Dio: invece di dire «Dio», si dice «l’Onnipotente». Questa qualifica la ripetono concordemente le grandi confessioni di fede della Chiesa antica, fatte proprie da tutta la cristianità in ogni tempo, fino ai nostri giorni. Il Credo apostolico, a esempio, comincia notoriamente così: «Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra…». «Onnipotente» è l’unico aggettivo che il Credo attribuisce a Dio Padre, come se la prima cosa da dire quando si confessa la fede in lui fosse proprio questa: dichiarare la sua onnipotenza. «Onnipotente» è l’attributo divino che riassume e fonda tutti gli altri. Stando così le cose, è difficile non dare ragione a Karl Barth quando scrive: «Parlare dell’impotenza di Dio significa semplicemente aver dimenticato che si parla di lui (…) Dio non è in nulla simile a un’ombra, a un fantasma inoffensivo, è il contrario dell’impotenza»(1). Ma è il contrario anche dell’onnipotenza umana. Perciò, quando si parla dell’onnipotenza di Dio, occorre sempre ricordare e sottolineare il fatto che non è l’onnipotenza che è Dio, è Dio – il Dio rivelatosi a Israele, che Gesù ha chiamato «Padre» – che è onnipotente. Non è Dio un attributo dell’onnipotenza, ma l’onnipotenza un attributo di Dio. L’onnipotenza, in sé, non solo non è divina, ma può persino essere diabolica. Non pochi condottieri militari e capi politici posseduti da un delirio di onnipotenza hanno causato all’umanità infiniti lutti e sofferenze. L’onnipotenza di Dio non ha nulla in comune con la loro pretesa onnipotenza, che ha il volto sinistro della tirannia, della violenza e della prepotenza. L’onnipotenza di Dio è l’esatto contrario della loro. Si potrebbe dire che Dio è «impotente» o «non onnipotente» rispetto ai criteri umani dell’onnipotenza, sempre intrisa di prepotenza.

2. D’altra parte è un fatto noto che il discorso sulla non onnipotenza di Dio, o sulla sua impotenza, è stato fatto almeno da due autorevoli esponenti del pensiero religioso, uno cristiano, Dietrich Bonhoeffer, l’altro ebreo, Hans Jonas. Il primo, nelle sue Lettere dal carcere, ha parlato a più riprese della «impotenza di Dio». Sono passi noti, sovente citati. Ne cito uno solo, esemplare, dalla lettera del 16 luglio 1944: «Dio si lascia cacciare fuori dal mondo, sulla croce: Dio è impotente e debole nel mondo, de così soltanto rimane con noi e ci aiuta. Matteo 8,17 è chiarissimo: Cristo non ci aiuta in virtù della sua onnipotenza, ma in virtù della sua debolezza, della sua sofferenza!». La lettera termina parlando del «Dio della Bibbia, che si guadagna potenza e spazio nel mondo attraverso la sua impotenza»(2). Non è possibile qui, per ovvie ragioni di spazio, illustrare il significato e la portata di questo discorso di Bonhoeffer. Basti osservare che qui la non onnipotenza o impotenza di Dio non è un’affermazione generale su Dio in sé, ma è indissolubilmente collegata alla passione di Gesù, quindi è un’affermazione su Dio in Cristo, e più precisamente in Cristo crocifisso. Il discorso di Bonhoeffer nasce dalla meditazione della croce. Per associazione, il pensiero corre all’apostolo Paolo là dove dice: «Quando sono debole, allora sono forte» (II Corinzi 12, 10). Questo paradosso ha la sua radice e spiegazione nella storia di Gesù il quale, nella sua passione, è stato «forte» proprio nell’estrema debolezza della croce, o, come dice Bonhoeffer, «si è guadagnato spazio e potenza in questo mondo» nella completa impotenza di un innocente giustiziato dalla violenza e prepotenza umane. Nella storia della passione, Erode, Pilato e Caiafa appaiono onnipotenti, Dio in Gesù appare impotente. Ma non è un’impotenza sconfitta, bensì vittoriosa.
Il secondo discorso sulla non onnipotenza di Dio è quello – anch’esso ben noto – del filosofo ebreo Hans Jonas, che nel suo breve scritto Il concetto di Dio dopo Auschwitz, ha sostenuto la tesi seguente, che del resto era già stata sostenuta da altri prima di lui. Parlando in prima persona, Jonas sostanzialmente dice: «Mi è stato insegnato, da bambino, che Dio è buono e onnipotente. Dopo Auschwitz non posso più credere che Dio sia entrambe le cose, perché se fosse davvero buono e onnipotente avrebbe impedito Auschwitz; se non l’ha fatto, vuol dire o che non è buono (quindi è rimasto indifferente davanti a quella tragedia inaudita), o che non è onnipotente (quindi non ha potuto o saputo impedirla). Devo dunque scegliere tra credere in un Dio onnipotente, ma non buono, oppure in un Dio buono, ma non onnipotente. Scelgo di credere in un Dio buono, ma non onnipotente». Come si vede, il discorso di Jonas ha una sua intima coerenza, non estranea a una logica di fede. Se realmente si dovesse scegliere tra onnipotenza e bontà di Dio, confesso che anch’io sceglierei, come Jonas, la bontà. Credo però che questa scelta non sia necessaria, per la ragione che vedremo tra poco.


3. A questo punto, dopo aver chiarito (un minimo) in che senso Dio è onnipotente, e in che senso si può parlare di una sua impotenza o non onnipotenza, non mi resta che rivolgermi direttamente ai nove catecumeni di Luserna S. Giovanni e chiedere loro: «Che cosa volevate dire dichiarando “Non crediamo che Dio sia onnipotente”»? Non credo che volevate dire che Dio è un povero diavolo di dio (scusate il bisticcio!), che non ce la fa a fare il suo mestiere, non ne ha la capacità e forse neppure la volontà, è un Dio di serie B, che fa quello che può, ma non può molto e comunque non può tutto, perché il suo potere è limitato (da chi?). Se è questo che volevate dire – ma non credo – allora è chiaro che la vostra affermazione, che in realtà è una negazione, si colloca fuori della fede cristiana. Se invece, come penso, intendevate parlare del Dio che avete conosciuto attraverso la storia di Gesù, che nella prima parte della sua vita si manifestò davvero come onnipotente (pensiamo ai cosiddetti «miracoli», che negli evangeli sono chiamati significativamente «opere potenti»), le folle infatti lo seguivano perché conduceva in maniera vittoriosa la grande battaglia della guarigione contro la malattia, della grazia contro il peccato, della libertà contro ogni forma di asservimento, della vita contro la morte; poi però, nell’ultima parte della sua esistenza – la passione
– non si manifestò più come onnipotente, pur continuando la sua battaglia contro il male, ma combattendo in un altro modo, e cioè prendendolo su di sé, caricandoselo sulle spalle insieme alla croce, affrontando la violenza con la nonviolenza, la menzogna (delle false accuse su di lui) con la verità, gli insulti con il silenzio, l’oltraggio con la pazienza, la condanna con l’innocenza, la prepotenza con l’impotenza, l’odio con il perdono – se è questo che volevate dire, allora il vostro era ed è un discorso profondamente cristiano, che potremmo formulare così: Dio è veramente onnipotente in quanto sa anche rinunciare alla sua onnipotenza (come ha fatto Gesù: Filippesi 2, 5- 11!), così come Dio è veramente Dio in quanto sa anche diventare uomo, è veramente santo in quanto sa anche «essere fatto peccato per noi» (II Corinzi 5, 21), è veramente Creatore in quanto vuole e può anche diventare creatura. Questo è il mistero del Dio nel quale crediamo, un mistero dal quale si sprigiona una grande luce.

Ecco allora la conclusione del discorso: Dio è onnipotente? Sì, nel senso che è amore, e la sua potenza non è altro che la potenza dell’amore. Con la sua vita e la sua morte Gesù ha dipinto al vivo dinanzi ai nostri occhi questo amore, e abbiamo visto che è un amore disarmato, cioè un amore che non tradisce se stesso imponendosi con la forza. In questo senso l’amore è «debole» o, se si vuole, «non onnipotente»: nel senso che non ha altra forza che la sua. O l’amore vince con l’amore, o perde. È «impotente» a vincere con la forza; può vincere solo con l’amore. Così l’onnipotenza di Dio si dimostra perfetta nell’«impotenza» dell’amore a tradire se stesso, diventando qualcos’altro che amore non è.

(1) Karl Barth, Esquisse d’une dogmatique, Delachaux & Niestlé, Neuchâtel-Paris 1950, p. 43.
(2) Dietrich Bonhoeffer, Lettere dal carcere, Bompiani, Milano 1969, p. 133.



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