Gianfranco Ravasi "Dimenticare è perdonare"
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
«Dio fece il primo giardino, Caino la prima città». Lo scrittore inglese del ’600 Abraham Cowley, rimandava alla Bibbia per segnalare un dato di cui siamo ancor oggi testimoni: le nostre metropoli hanno talora qualche parco spelacchiato ma soprattutto piazze ove si spaccia droga, condomini asfissianti, violenze nascoste e brutalità visibili.
In quest’Anno Santo la dimensione sociale è esplicita: come stiamo vedendo da tempo, si celebrano incessantemente Giubilei delle più diverse categorie, si svolgono pellegrinaggi, si richiamano doveri di solidarietà e di carità, si invita al perdono e all’accoglienza. In questa nostra riflessione mettiamo al centro un tema che abbiamo talora evocato, quello della violenza: essa scandisce i telegiornali, trionfa nelle guerre, si annida come una vipera nei social e nella moderna comunicazione.
La pagina di Caino e Abele (Genesi 4,3-15) è la prima delle tante insanguinate presenti nella Bibbia, che non è un trattato asettico di teologia, ma il racconto della storia umana. In essa due sono i protagonisti: Dio e noi con la nostra libertà di scegliere il bene o il male. Caino e Abele incarnano anche le tensioni sociali dalle molteplici tipologie odierne: il primo fratello rappresentava lo status sedentario-urbano, il secondo quello nomadico-pastorale. Dalle diversità che generano sospetto e paura, odio e rigetto, ecco fiorire la pianta velenosa del delitto.
Di fronte a questa situazione, che costantemente si replica nella vicenda umana, il testo biblico è costruito secondo due atti che si trasformano in una lezione per il comportamento morale di tutti. Il primo intervento divino nei confronti del criminale è necessariamente segnato dalla giustizia: «La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Sii, allora, maledetto lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano». La base della vita comunitaria è la giustizia e anche noi dobbiamo stare dalla parte di Abele e schierarci con le vittime della violenza e della prevaricazione.
C’è, però, un secondo atto che Dio compie. Di fronte all’espiazione e alla conversione di Caino che riconosce il suo delitto – «troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono» – scatta la misericordia divina. Il colpevole non è perduto per sempre, come vorrebbe l’infamia della pena di morte. Il Signore tutela Caino dalla spirale infinita della vendetta violenta, imponendogli «un segno perché nessuno, incontrandolo, lo colpisca».
È importante che in quest’Anno Santo si celebri, perciò, a dicembre il Giubileo dei detenuti. Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, caro anche a papa Francesco, immaginava che nell’oltrevitao i due fratelli si incontrassero. Ecco la finale di quel racconto: «Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e chiese di essere perdonato. Ma Abele rispose: Tu mi hai ucciso, o io ho ucciso te? Non ricordo più: stiamo ora insieme come prima! Caino, allora, concluse: Ora so che mi hai perdonato davvero perché dimenticare è perdonare».