Il biblista J.L. Ska sottolinea come la violenza faccia parte della nostra realtà.
Bisogna tenerne conto. La incontriamo dunque anche nella Sacra Scrittura, in cui
cogliamo l’invito a scegliere la misericordia, che permette di trasformare la violenza
e l’odio in energia positiva, utile per il bene dell’umanità e del mondo.
In un contesto ove sentiamo di nuovo il suono delle armi, ciò che sembrava
scomparso dal nostro mondo occidentale sin dalla fine della Seconda Guerra
Mondiale, è più facile parlare di violenza che non di perdono e di misericordia.
È possibile, oggi, tenere un discorso sul perdono nelle rovine della Striscia
di Gaza o nei kibbutzim distrutti il 7 ottobre 2023? O parlare dell’amore dei
nemici (Mt 5,44; Lc 6,27) sui campi di battaglia ove si affrontano Ucraini e
Russi? Chi andrà a predicare il perdono nei villaggi africani devastati dalla
guerriglia? O nelle foreste sudamericane rovinate da un capitalismo selvaggio? È realistico pensare che alla violenza si possa porre fine con mezzi
puramente pacifici? Addirittura, il Mahatma Gandhi, il profeta per eccellenza
della non-violenza, si è rassegnato ad abbandonare la sua filosofia in alcuni
casi: “Quando c’è solo da scegliere tra la vigliaccheria e la violenza, io consiglio la violenza”.
Un altro profeta della non-violenza, Martin Luther King
esprime un’idea simile: “Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi; è
l’indifferenza dei buoni”. E come fare per combattere l’indifferenza? È un
dilemma che il presidente statunitense John F. Kennedy evidenzia benissimo:
“Quelli che rendono impossibili le rivoluzioni pacifiche rendono le rivoluzioni
violente inevitabili”. Tali riflessioni sembrano, di primo acchito, dare ragione
a persone che potremmo caratterizzare come ciniche, ad esempio l’artigiano
della celebre rivoluzione cinese, Mao Tse Tung: “Ogni comunista deve afferrare la verità: il potere politico nasce dalla canna di un fucile”. Un pensiero
simile è espresso da un altro personaggio poco conosciuto per i suoi sentimenti
umanistici, Josif Stalin: “Non si può fare una rivoluzione portando i guanti di seta”.
La violenza, dunque, è inevitabile? Abbiamo solo una scelta: cambiare
le cose con violenza o rassegnarci a subire la violenza?
Dio può essere complice dell’ingiustizia e della violenza?
Se ci rivolgiamo alla nostra tradizione cristiana e frughiamo nelle Scritture (1),
quale risposta possiamo proporre al nostro mondo lacerato da violenze di ogni
tipo, alcune molto visibili e altre molto meno, però altrettanto crudeli, brutali e
ciniche?
Di primo acchito, troviamo risposte molte diverse, anzi contraddittorie.
Inizio l’indagine leggendo alcuni salmi perché sono spesso - ma non sempre -
espressioni della pietà popolare.
L’incipit del Salmo 94, ad esempio, può sorprendere chi accomuna il messaggio della Bibbia con l’ideale delle beatitudini: “Dio delle vendette, o Signore, Dio delle vendette, mostrati nel tuo fulgore! Ergiti, giudice della terra, rendi ai superbi quello che si meritano!”
Concretamente, il salmo chiede a Dio di vendicare i giusti contro i criminali: “Schiacciano il tuo popolo, o SIGNORE, e opprimono la tua eredità. Uccidono la vedova e lo straniero, ammazzano gli orfani” (Sal 94,5-6). È difficile
non ammettere che assassinare vedove, orfani e stranieri, le tre categorie
classiche di personae miserae, non può che suscitare sdegno e sgomento. Il
sangue degli innocenti grida vendetta verso il cielo (cf. Gn 4,10) e non può
lasciare indifferenti. Lo stesso salmo afferma che Dio non può non intervenire
per ristabilire la giustizia: “Egli farà ricadere su di essi la loro malvagità
e li distruggerà per la loro malizia; il SIGNORE, il nostro Dio, li distruggerà”
(Sal 94,23).
Dio perdona o distrugge i malvagi? Il salmo mette Dio davanti alle sue
responsabilità: “Il trono dell’ingiustizia ti avrà forse come complice? Esso, che
trama oppressioni in nome della legge?” (Sal 94,20). Se Dio è il Dio della
giustizia, non può tollerare che i malviventi siano impuniti. È quello che
afferma, ad esempio, il profeta Naum: “
Il SIGNORE è un Dio geloso e vendicatore; il SIGNORE è vendicatore e pieno di furore; il SIGNORE si vendica dei suoi
avversari e serba rancore verso i suoi nemici. Il SIGNORE è lento all’ira ed è
molto potente, ma non lascia il colpevole impunito [...]” (Na 1,2-3).
Nel v. 3, il profeta Naum riprende affermazioni presenti nel Salmo 103,8
ribadendo che “Dio è lento all’ira” (2), poi “corregge il tiro” per aggiungere che la
bontà del Signore non esclude il castigo dei colpevoli. In definitiva, diversi testi
affermano in tutta chiarezza che Dio non lascia gli scellerati impuniti (Na 1,2).
Una sfumatura sarebbe da aggiungere a quello che abbiamo appena visto.
La “vendetta”, il “castigo” appartiene a Dio. Lo asseriscono anche i Salmi che
affidano la “vendetta” o la retribuzione a Dio solo. Dt 32,35 è il testo più
chiaro in merito: “A me la vendetta e la retribuzione, quando il loro piede
vacillerà! Poiché il giorno della sventura è vicino e ciò che li aspetta non
tarderà” (3).
Nondimeno, significa che Dio interviene negli affari umani come giudice,
e il giudice dovrebbe, per forza, castigare i colpevoli e difendere gli innocenti.
L’unica domanda che rimane è di sapere come si svolge il castigo. Qual è il
tipo di intervento divino nel corso degli affari umani? Domanda particolarmente difficile. Prima di rispondere, tuttavia, occorre parlare di altri aspetti
problematici della figura divina nell’Antico Testamento.
Un Dio violento?
“Va’, vota allo sterminio quei peccatori degli Amaleciti, e fa’ loro guerra
finché siano sterminati” (1 Sam 15,18) (4). Questo è l’ordine dato da Dio a Saul
prima di una campagna militare nel sud del paese contro gli Amaleciti, un
popolo che ha lasciato un pessimo ricordo per aver attaccato Israele nel
deserto poco dopo l’uscita dall’Egitto (Es 17,8-16; cf. Nm 24,20; Dt 25,17-19).
Il racconto di Es 17 si conclude su questa frase: “Il SIGNORE è in guerra contro
Amalek di generazione in generazione”. Dio “ha serbato rancore contro i suoi
nemici” (Na 1,2) per tutte le generazioni che separano Mosè da Saul. Il Dio di
1Samuele 15 è certamente più vendicativo di quello che incontriamo nel Salmo
103 che recita: [Il SIGNORE] non contesta in eterno, né serba la sua ira per
sempre (5). Egli non ci tratta secondo i nostri peccati, e non ci castiga in proporzione alle nostre colpe (Sal 103, 9-10).
Il Dio della Bibbia “serba rancore” (Na 1,2) o “non serba la sua ira per
sempre” (Sal 103,9)? Non è facile riconciliare Naum con il Salmo 103. Potremmo
ribattere che sono casi diversi perché 1Sam 15 parla di un nemico del popolo
d’Israele mentre il Salmo 103 parla dei fedeli, dei membri del popolo, però ciò
mette in questione l’imparzialità divina e sembra contraddire un’altra affermazione biblica quando dice che Dio “non ha riguardi personali” (5). Il Dio della Bibbia sembra pertanto usare due pesi e due misure nei suoi
giudizi perché non usa gli stessi criteri per il suo popolo e per le altre nazioni. Ricordiamo in questo contesto la domanda che Abramo rivolge a Dio in Gn
18,25: “Far morire il giusto con l’empio, in modo che il giusto sia trattato come
l’empio! Non sia mai! Il giudice di tutta la terra non farà forse giustizia?”. La
giustizia dovrebbe essere sempre imparziale e, prima di tutte, la giustizia
divina. Il giusto è giusto e l’empio è empio, che sia membro del popolo
d’Israele o no. “Giustizia e diritto sono la base del tuo trono, bontà e verità
emanano dal tuo volto”, dice il Salmo 89,14. Varrebbe solo per il popolo eletto?
Il Dio della Bibbia, tuttavia, è anche creatore dell’universo e la giustizia
universale è, potremmo dire, una sua prerogativa, come dice il Salmo 96,13:
“[Il SIGNORE] viene, viene a giudicare la terra. Egli giudicherà il mondo con
giustizia, e i popoli con verità” (cf. 98,9).
Un Dio biblico giusto?
Orbene, vi sono alcuni racconti biblici che possono creare difficoltà quando
si parla di un “Dio giusto”. Esodo 12, ad esempio, descrive la decima piaga che
colpisce l’Egitto perché il faraone rifiuta di affrancare gli schiavi ebrei e li
opprime ingiustamente. La piaga colpisce tutta la popolazione egiziana, e
anche il bestiame secondo Es 12,29: “A mezzanotte, il SIGNORE colpì tutti i
primogeniti nel paese d’Egitto, dal primogenito del faraone che sedeva sul suo
trono al primogenito del carcerato che era in prigione, e tutti i primogeniti del
bestiame” (6). Il testo non lascia alcun dubbio sul fatto che la morte dei primogeniti sia il frutto di un intervento del Dio d’Israele (YHWH). Un lettore moderno
potrebbe chiedersi, tuttavia, come mai Dio può ammazzare neonati innocenti. E
tutti gli Egiziani, anche i carcerati, erano colpevoli nello stesso modo perché
coinvolti nella politica oppressiva del faraone? Non si tratta di una punizione
collettiva e indiscriminata che sembra, per buone ragioni, difficile da giustificare interamente? Inoltre, perché colpire anche i primogeniti del bestiame che non c’entrano per niente nella faccenda. Gli animali, certamente, non
hanno oppresso gli Ebrei. Si può invocare lo stile iperbolico dei racconti
biblici, però anche la scelta dello stile può essere causa di disagio.
A proposito di Esodo 14, il “miracolo del mare”, il lettore può certamente
rallegrarsi della sconfitta subita dall’esercito più potente del tempo, quello del
faraone, che inseguiva un popolo indifeso appena liberato. Però, chi si prende
cura, nel racconto biblico, di andare a portare alle famiglie egiziane la notizia
di un marito, di un padre, di un fratello o di un figlio rimasto annegato per
sempre nel mare (Es 14,30)? Anche in questo caso, possiamo invocare lo stile
iperbolico ed “essenziale” di alcuni racconti biblici, però rimane anche vero
che la narrazione biblica è spesso unilaterale (7).
Nondimeno, il tema del dolore degli sconfitti non è sconosciuto dagli
scrittori biblici. Possiamo citare almeno Gdc 5,28 ove la madre di Sisera
aspetta invano il ritorno di suo figlio ucciso da Yael (Gdc 4,21; 5,26) e si chiede
perché tarda a tornare dal campo di battaglia. La letteratura greca, invece,
sviluppa a lungo tale tematica, ad esempio, nelle tragedie I Persiani di Eschilo
(472 a.C.) e Le Troiane o Le Troade di Euripide (415 a.C.). Già nell’Iliade di
Omero il poeta si sofferma sul dolore dei Troiani dopo la morte di Ettore e
dopo la loro sconfitta. I racconti biblici sono più sobri in merito (8).
Il Dio della Bibbia esige la violenza contro i popoli stranieri? Un altro caso problematico è la violenza richiesta da Dio al suo popolo nei
racconti di conquista, in particolare nei libri di Giosuè e dei Giudici (9). Le
istruzioni in merito si trovano in Dt 7,2: “Quando il SIGNORE, il tuo Dio, avrà
dato in tuo potere [i popoli presenti nella Terra Promessa] e tu li avrai scon-
fitti, tu li voterai allo sterminio; non farai alleanza con loro e non farai loro
grazia”. Le leggi sulla guerra in Dt 20 sono ancora più precise.
“Ma nelle città di questi popoli che il SIGNORE, il tuo Dio, ti dà come eredità,
non conserverai in vita nulla che respiri, ma voterai a completo sterminio gli
Ittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei, come il SIGNORE, il
tuo Dio, ti ha comandato di fare, affinché essi non v’insegnino a imitare tutte
le pratiche abominevoli che fanno per i loro dèi e voi non pecchiate contro il
SIGNORE Dio vostro” (Dt 20,16-18).
Possiamo dire che, secondo gli archeologi e gli storici, non vi sono tracce
di massacri di questo tipo, e che la teoria di una conquista militare e sanguinosa della Terra Promessa è stata ormai abbandonata dalla maggioranza
degli studiosi, e per buone ragioni (10). Rimane però il problema di discorsi divini
o di racconti considerati come ispirati e, quindi, come “parola di Dio”. Perché
attribuire a Dio o ai suoi fedeli discorsi di questo tipo se, in più, la realtà è
molto diversa? Non è sempre facile rispondere a tali domande.
Possiamo anche parlare della violenza di Dio contro il suo popolo, violenza
che si potrebbe chiamare “educativa” o “pedagogica” quando Dio punisce il popolo per la sua infedeltà. Le invasioni, la conquista del Regno del Nord nel
722 a.C. e la fine del Regno del Sud nel 586 a.C., con la deportazione delle
popolazioni, ne sono gli esempi più chiari. In questo caso, i testi forniscono
una giustificazione: la causa è il peccato del popolo e dei suoi dirigenti.
Possiamo, nondimeno, porre una domanda simile a quella di Abramo in Gn
18: il castigo divino colpisce solo i colpevoli o colpisce anche gli innocenti? E
come giustificare il castigo collettivo di tutta la popolazione? Da lì, probabilmente, l’insistenza sulla responsabilità personale in Ger 31,29-30; Ez 18,1-32.
Violenza divina gratuita? Il caso di Giobbe
Infine, vale la pena menzionare il caso di Giobbe che subisce una violenza
inspiegabile e paragona Dio a un nemico violento, ad esempio in Gb 16,12-14:
“Vivevo in pace ed egli m’ha scosso con violenza, m’ha preso per la nuca,
m’ha frantumato, m’ha posto per suo bersaglio.
I suoi arcieri mi circondano, egli mi trafigge i reni senza pietà, sparge a
terra il mio fiele.
Apre sopra di me breccia su breccia, mi corre addosso come un guerriero”.
Sono pochi i testi ove Dio è percepito come nemico, ma il libro di Giobbe
ne è il testimone più chiaro (11). Giobbe subisce la violenza divina senza capirne
la ragione. È innocente o, per dirlo in modo più semplice, non vi è proporzione
fra le colpe di Giobbe e la sua sofferenza. La legge della retribuzione non può
applicarsi al suo caso (Gb 16,16-17):
“Il mio viso è rosso di pianto, sulle mie palpebre si stende l’ombra di morte.
Eppure, le mie mani non commisero mai violenza, e la mia preghiera fu
sempre pura”.
La violenza di Dio subita da Giobbe non può essere causata dalla violenza
di Giobbe. Siamo tentati, in questo caso, di parlare di una violenza divina
gratuita. Il libro di Giobbe offre più di una pista di riflessione fruttuosa
nonostante tutte le difficoltà di un testo complesso, o forse a causa della sua
complessità.
Violenza e non-violenza nel Nuovo Testamento
Mi permetto una sola breve riflessione a proposito del Nuovo Testamento
perché, molto spesso o troppo spesso, si suole opporre Antico e Nuovo Testamento sul tema della violenza, in un modo molto simile a quello di Marcione.
Il Dio del Nuovo Testamento, il Dio di Gesù Cristo sarebbe solo quello della
bontà e della compassione: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è mise-
ricordioso”, dice Gesù di Nazaret secondo Lc 6,36. Non fa una piega il discorso
del Vangelo di Luca, tranne che non è sempre facile parlare di misericordia e
di perdono, come detto prima. Spesso si aggiunge che Gesù di Nazaret è stato
fedele fino all’ultimo al suo messaggio, in particolare nella sua passione e
morte sulla croce perché è stato non-violento in modo esemplare. Rimane però una domanda, e sono proprio le ultime parole di Gesù crocifisso prima
di morire nel Vangelo di Matteo e di Marco: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?” (Mt 27,46; Mc 15,34; cf. Sal 22,2) (12). Al “perché” di Gesù di
Nazaret il cielo non risponde, rimane muto, e Gesù di Nazaret muore con una
domanda senza risposta. I Vangeli, certo, parleranno della risurrezione e gli Atti
degli Apostoli diranno che “Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che
voi avete crocifisso” (Atti 2,36). È importante dire, tuttavia, che passiamo da
un mondo all’altro, e che la risurrezione ci fa proprio passare dal nostro
mondo al mondo definitivo. In questo nostro mondo, perciò, sarà difficile
trovare una vera risposta alla violenza? Occorre aspettare il passaggio in un
mondo diverso, quello che si scopre al di là della morte? Altra domanda
difficile.
La legge del taglione e i suoi limiti
In molti casi di violenza, si parla della legge del taglione (dal latino talis,
“tale”) che, in realtà, introduce un principio di equivalenza fra il delitto e la
sanzione: tale il delitto, tale la sanzione e, aggiungiamo, niente di più (13). In
genere, si oppone la legge del taglione veterotestamentaria all’etica neotestamentaria che esorta al perdono e alla generosità:
“Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi
dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia
destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti
la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo
per un miglio, tu con lui fanne due. Dà a chi ti chiede, e a chi desidera da te
un prestito non voltare le spalle” (Mt 5,38-42).
I contesti sono però molto diversi. La legge dell’Antico Testamento ha
come scopo di porre fine alle vendette sanguinose e interminabili causate da
lesioni e percosse. Inoltre, l’interpretazione letterale della legge è rarissima (14).
La legge stessa prevede che il padrone affranchi uno schiavo a cui avrebbe
leso un occhio o rotto un dente:
“Quando un uomo colpisce l’occhio del suo schiavo o della sua schiava e
lo acceca, darà loro la libertà in compenso dell’occhio. Se fa cadere il dente del
suo schiavo o della sua schiava, darà loro la libertà in compenso del dente”.
Alla violenza si risponde, certo, però non con la violenza. Il risarcimento
appartiene a un’altra categoria, un bene inestimabile, la libertà.
Il Nuovo Testamento, non dobbiamo dimenticarlo, è stato scritto in
una comunità molto ridotta, una minoranza all’interno della minoranza
costituita dal popolo ebraico in mezzo all’immenso Impero Romano. L’etica preconizzata dal Nuovo Testamento è da collocare in un contesto ove
la solidarietà era assolutamente indispensabile alla sopravvivenza del
gruppo e, perciò, si doveva fare il massimo per evitare delitti e conflitti e,
inoltre, combattere ogni desiderio di vendetta.
Conclusione: come reagire davanti alla violenza?
Se rimaniamo nell’Antico Testamento, penso che vi siano quattro piste
principali per cercare una risposta alla violenza sapendo, però, che l’Antico
Testamento è più spesso descrittivo che non prescrittivo. Indica direzioni da
prendere piuttosto che soluzioni definitive e totalmente soddisfacenti.
1. In molti passi essenziali si fa viva una profonda sete di giustizia e di
equità, ad esempio in Amos 5,24: “Scorra il diritto come acqua e la giustizia
come un torrente perenne!”. La giustizia è paragonata a un torrente perenne
e non può essere uno wadi temporaneo e ingannevole. In una regione ove la
siccità è un problema endemico, l’immagine è significativa.
2. Il mondo creato era non-violento e il mondo futuro, nei tempi messianici,
è un mondo non-violento. Nel primo racconto della creazione (Gn 1,1-2,3), tutte
le creature sono vegetariane e, quindi, non si sparge mai sangue (Gn 1,29-30).
Tutto cambia dopo il diluvio (Gn 9,2-3). Ciò significa che, all’origine, e alla radice
delle cose, non c’è violenza. Essa appare in seguito, in seconda battuta.
D’altronde, alla fine dei tempi, la violenza sparirà completamente e l’universo
sarà di nuovo non-violento: “il leone mangerà il foraggio come il bue” (Is 11,7).
La nostra speranza è di vedere un mondo ove le spade diventano aratri e le
lance, falci (Is 2,1-5; Mi 4,1-5), e ove ciascuno può sedere sotto la sua vigna e il
suo fico (1Re 5,5; Mi 4,4). Ed è il mondo che siamo chiamati a costruire ogni
giorno.
3. Infine, la rivolta provocata dalla violenza e l’ingiustizia partecipano
alla rivolta di Dio stesso contro il mondo caotico. Vi sono diversi testi che
descrivono la “battaglia cosmica” di Dio contro mostri che simboleggiano il
caos, la violenza scatenata, le forze delle tenebre e della morte: Is 27,1; 51,9-10;
Am 9,3; Gb 3,8; 7,12; 9,13; 26,13; 40,25-26; Sal 65,8; 74,13-14; 89,10-11; 93,3-4;
104,7.26; 107,29; 148,7. E, quindi, la vera risposta alla violenza e al male è di
combattere contro la violenza e il male, partecipando alla lotta cosmica e alla
nascita della nuova creazione.
4. Il racconto del diluvio è significativo in più di un punto di vista, per
quanto riguarda il problema della violenza. In effetti, la narrazione spinge
fino alle sue ultime conseguenze gli effetti della violenza sul nostro universo,
almeno nella versione chiamata “sacerdotale”. La causa del diluvio è proprio
la violenza che regna fra tutti gli esseri viventi (Gn 6,11) e Dio decide di cancellare tutti gli esseri viventi dalla terra per questo motivo (Gn 6,13). Ciò significa
che la violenza, secondo il racconto biblico, può mettere a repentaglio l’esistenza
di tutti i viventi del nostro mondo. Sappiamo che vi è una via di salvezza, vale
a dire il “giusto” Noè (Gn 6,9). D’altronde, lo stesso racconto si rassegna per dire
che la malvagità non scompare del tutto dopo il diluvio e non torniamo, quindi,
al mondo ideale e utopico, il mondo non-violento di Gn 1,1-31:
“[...] il SIGNORE disse in cuor suo: «Io non maledirò più la terra a motivo
dell’uomo, poiché il cuore dell’uomo concepisce disegni malvagi fin dall’adolescenza; non colpirò più ogni essere vivente come ho fatto [...]” (Gn 8,21).
La malvagità fa parte della natura umana nel mondo post-diluviano, e
fino ad oggi. Qual è allora la soluzione? Notiamo che la reazione divina segue
il sacrificio offerto da Noè: “
Il SIGNORE sentì un odore soave; e il SIGNORE disse in
cuor suo [...]” (Gn 8,21). Per alcuni specialisti, in particolare René Girard, il
sacrificio è il rituale che permette di incanalare la violenza e, quindi, di esercitarla in un modo accettabile e positivo (15). Non si può sopprimere la violenza, però
si può utilizzarla in modo accetto da tutti e per scopi utili. Il sacrificio è uno di
questi modi, così come la macellazione di animali per scopi alimentari (cf. Gn
9,1-3). Vi sono regole, tuttavia, ed è essenziale: non si può consumare il sangue
(Gn 9,4). La violenza inerente alla natura umana può trovare uno “sfogo” solo
se è regolata e se si rispettano le regole. In questo modo, la violenza è integrata
e “umanizzata”, cosicché una forza di distruzione serve al benessere della
società. Vi sono oggi altre forme di regolazione della violenza, e della sua trasformazione in energia positiva, ad esempio l’arte e lo sport. La letteratura, il teatro
e il cinema possono essere modi di smascherare la violenza nascosta nell’anima
umana e di rivelarne tutte le conseguenze. Già i filosofi greci avevano evidenziato la funzione “purificatrice” (catarsi) del teatro: “Tragedia, dunque, è
mimesi di un’azione seria e compiuta in sé stessa [...] in forma drammatica e
non narrativa; la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e
terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni” (16).
In molti mestieri, si esercita una certa “violenza” controllata per trasformare
la materia e renderla utile. Addirittura, il chirurgo, in un certo modo, trasforma
e sublima una certa forma di inconsapevole crudeltà per curare e, in alcuni
casi, salvare la vita. Da lì, ovviamente, la necessità dell’educazione e dell’istruzione.
Conclusione
La violenza, purtroppo, fa parte del nostro mondo e della nostra umanità.
È anche certamente presente nella natura e solo il mondo ideale che precede
il diluvio o il mondo che sorgerà alla fine dei tempi sono mondi ove la
violenza è sconosciuta. Il messaggio biblico, in questo contesto, si può riassumere in due parole: la violenza non si può cancellare, è meglio tenerne conto
seriamente e usarla, canalizzarla e trasformarla in energia utile per il bene
dell’umanità e del mondo.
Jean Louis Ska
Note:
1) Sulla violenza nella Bibbia esiste una bibliografia sterminata. Si veda, fra tanti altri, Jean-Daniel Causse-
Elian Cuvillier-André Wénin, Violenza divina. Un problema esegetico e antropologico (Edizioni Dehoniane, Bologna
2012); René Girard, La violenza e il sacro (Adelphi, 2, Milano 1980); Thomas Römer, I lati oscuri di Dio. Crudeltà e violenza nell’Antico Testamento. Tradotto da Fernanda Jourdan Comba (Piccola biblioteca teologica 57; Claudiana,
Torino 2024); Milvia Spadi-Roberto Vignolo, La violenza: Bibbia e cronaca in dialogo (Perle 3; G&BPress, Roma
2022); Debora Tonelli, Immagini di violenza divina nell’Antico Testamento (Scienze Religiose. Nuova serie 31; EDB,
Bologna 2014); Debora Tonelli-Gerard Michael J. Mannion. Exiting Violence: The Role of Religion ( MA: Walter de
Gruyter, Berlin-Boston 2024); André Wénin, Perché tanta violenza? Quando la Bibbia provoca e disarma (Parola di
Dio, San Paolo, Cinisello Balsamo [Milano] 2011); Idem, Salmi censurati. Quando la preghiera assume toni violenti
(Studi biblici, Edizioni Dehoniane, Bologna 2017).
2) Cf. anche Es 34,6-7; Sal 86,15; Ger 32,18; Na 1,3; Gioele 2,13; Giona 4,2.
3) Citato in Rom 12,19.
4) Cf. Jean-Pierre Sonnet, “Scacco al re (1Sam 15). Il racconto biblico come scacchiera della verità”, L’alleanza
della lettura. Questioni di poetica narrativa nella Bibbia ebraica (San Paolo, Roma: GBPress-Cinisello Balsamo
[Milano] 2011) 308-330. Sullo sterminio, si vedano, ad esempio, William L. Lyons (ed.), A History of Modern
Scholarship on the Biblical Word herem: The Contributions of Walter C. Kaiser, Jr., Peter C. Craigie, and Tremper
Longman, III (The Edwin Mellen Press, Lewiston 2009); Umberto Neri, Guerra, sterminio e pace nella Bibbia.
Catechesi biblica (Sussidi Biblici 88, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 2005).
5) Dt 10,17; 2Cr 19,7; Gb 34,19; Sap 6,7-8; cf. Atti 10,34; Rm 2,11; Ga 2,6; Ef 6,9; Col 3,25; Giac 2,1; 1P 1,17.
6) Si veda, ad esempio, Thomas Schneider, “God’s Infanticide in the Night of Passover: Exodus 12 in the Light of
Ancient Egyptian Rituals”, Not Sparing the Child: Human Sacrifice in the Ancient World and Beyond. Studies in Honor of
Professor Paul G. Mosca (Eds. Daphna Arbel et al.) ( Bloomsbury T&T Clark, London-New York 2015) 52-76.
7) Jean Louis Ska, “Esodo 14,1-31: passaggio del mare, passaggio dalla paura alla fede”, “Non temere”
(Parola, Spirito e Vita 63, Dehoniane, Bologna 2011) 27-45.
8) Simone Weil, L’Iliade o il poema della forza (Asterios Editore, Trieste 2019) insiste sul fatto che il poeta
omerico tratta nello stesso modo Greci e Troiani, in particolare quando si tratta del dolore: “A stento si sente che
il poeta è greco e non troiano” (80). Notevole è la descrizione del pianto di Andromaca dopo la morte di suo
marito Ettore (Iliade, XXII, 437-515). Per un paragone fra Bibbia e Iliade, si veda Rachel Bespaloff, Sull’Iliade
(Piccola Biblioteca 729; Milano: Adelphi, 2018) 77-109 (“Fonte antica e fonte biblica”).
9) Su questo tema, si possono consultare, ad esempio, Giuseppe Barbaglio, Dio violento? Lettura delle
Scritture ebraiche e cristiane (Commenti e studi biblici. Nuova serie, Cittadella, Assisi 1991); Pietro Bovati (et al.),
Il Dio violento nella Bibbia (Sussidi Biblici 116; San Lorenzo, Reggio Emilia 2012); Debora Tonelli, Immagini di
violenza divina nell’Antico Testamento (Scienze Religiose. Nuova serie 31, EDB, Bologna 2014).
10) Cf. Susan Niditch, War in the Hebrew Bible: A Study in the Ethics of Violence (Oxford: Oxford University
Press, 1993); Krzysztof Ulanowski (ed.), The Religious Aspects of War in Ancient Near East, Greece, and Rome
(Culture and History of the Ancient Near East 84, MA: Brill, Leiden-Boston 2016).
11) Sul libro di Giobbe, si possono consultare, ad esempio, Luis Alonso Schökel-José Luis Sicre Díaz,
Giobbe. Commento teologico e letterario. Edizione italiana a cura di Gianantonio Borgonovo (Commenti biblici,
Borla, Roma 1985); Gianfranco Ravasi, Giobbe (Borla, Roma 1979); Gianantonio Borgonovo, La notte e il suo sole,
luce e tenebre nel Libro di Giobbe. Analisi simbolica (AnBib 135, Pontificio Istituto Biblico, Roma 1995). Cf. anche
René Girard, L’antica via degli empi. Traduzione di Carla Giardino (Saggi. Nuova serie 14, Adelphi, 2, Milano
1994). Originale in francese: La route antique des hommes pervers (Grasset, Paris 1985).
12) Per più dettagli, si veda, ad esempio, Franco De Carlo, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc
15,34). I Salmi nel racconto della passione di Gesù secondo Marco (AnBib 179, Gregorian & Biblical Press, Roma 2009).
13) Cf. Es 21,24; Lv 24,19-20; Dt 19,21; Mt 5,38-42). Il principio del taglione è presente nella Legge delle XII
Tavole dell’antica Roma (451-450 a.C.): “Si membrum rup(s)it, ni cum eo pacit, talio esto“ se [qualcuno] ha rotto un
arto [ad un altro] e se non ha fatto pace con lui, che vi sia taglione” (VIII,2). Il principio viene citato, fra gli altri,
da Catone e Cicerone.
14) Si veda Leonardo Lepore, “Occhio per occhio, dente per dente”: la legge del taglione non è vendetta (Al di là
del detto 98, Pazzini Editore; Villa Verucchio, RN 2024).
15) René Girard, La violence et le sacre (Grasset, Paris 1972) = La violenza e il sacro (Adelphi, Milano 1980); si
vedano anche Claudio Tugnoli, Girard dal mito ai Vangeli (Tracce del sacro nella cultura contemporanea 16,
Messaggero, Padova 2001); Gianfranco Mormino, La violenza sacrificale e il suo superamento (Giangemi Editore,
Roma 2017) [eBook].
16) Aristotele, Poetica, capitolo VI.
Esodo n° 2 aprile-giugno 2025
Perdono,giustizia, riconciliazione
contributi di
Arcidiacono, Bachelet, Bolpin, Borraccetti, Cortella, Fattori, Maggi, Manicardi, Manziega, Noffke, Reginato, Rubini, Scrivanti, Ska, Stefani,Trabucco