Enzo Bianchi "Ascoltare il silenzio"
Viviamo in una società rumorosa, siamo vittime addirittura dell’inquinamento sonoro e nel quotidiano siamo invasi dalle chiacchiere.
Ma ci sono anche silenzi negativi, mortiferi. Sono silenzi che rendono inquieti, incutono spavento, instaurano oppressioni, veri silenzi di morte, come abissi disperanti.
E dobbiamo confessarlo: esistono anche silenzi complici, pieni di viltà, che permettono che il male trionfi, e silenzi di ostilità, che penalizzano la comunicazione e possono diventare omicidi. Sono i silenzi più vergognosi, nascosti e inconfessati, neppure considerati nella loro ignominia, eppure consumati con un’indifferenza amara. E non dimentichiamo il mutismo della malattia psichica, quando il silenzio è rigetto di ogni comunicazione perché chi si è chiuso nel mutismo in realtà è imprigionato da grate che non vediamo e che restano un enigma.
Elias Canetti ha descritto bene il silenzio cattivo che si nutre di rabbia e di rancore fino al disprezzo dell’altro, fino a volerlo morto.
Sì, abbiamo questo grande potere di uccidere anche con il nostro silenzio che con un’ostilità sorda e muta toglie vita ed esistenza.
Elie Wiesel, nel suo Testamento di un poeta ebreo assassinato, scrive: “Nessun maestro mi aveva detto che il silenzio poteva diventare una prigione. Non sapevo che si potesse morire di silenzio come si muore di dolore, di fatica e di fame”.
Ecco, ci sono uomini e donne che conoscono e vivono questi silenzi e anche noi possiamo a volte nella vita esserne inghiottiti. Non è facile combattere queste potenze.
E qui va detto con chiarezza che l’altro è quanto mai necessario perché ci si salva insieme, ci si rialza insieme, si ricomincia a parlare se c’è un “tu” a cui rivolgersi.
Ai silenzi negativi solo un ascolto attento può essere di vero aiuto, risposta redentiva. Per questo oggi, in una società in cui l’ascolto è morto, frequenti sono i silenzi negativi. Ascoltare... Per essere autentico l’ascolto deve ascoltare i silenzi e il silenzio. Lo dico per esperienza, ma le ore notturne nel silenzio della cella, nella solitudine del corpo, insegnano ad ascoltare i silenzi disperanti e il silenzio che non è muto ma ha anch’esso una voce. Mettere in silenzio il nostro ego per ascoltare l’altro, far tacere i nostri pregiudizi per aprirci all’altro, abilitare l’orecchio del cuore ad ascoltare la voce tenue come un silenzio trattenuto che ci apre alla relazione. Se c’è un invito che oso fare agli uomini e alle donne è solo quello di praticare un tempo di solitudine e silenzio con continuità e perseveranza, come un ritmo della respirazione, accettando di attraversare silenzi a volte enigmatici, disperanti, altre volte capaci di esultanza. Allora anche gli enigmi diventano misteri.