Gli apocrifi: una teologia narrativa?
Questo articolo di Ursula Ulrike Kaiser è apparso su “Bibel und Kirche” (Bibbia e Chiesa), rivista di ricerca e di pratica biblica, diffusa in Germania, Austria e Svizzera. È un trimestrale di lingua tedesca e fornisce informazioni sulle discussioni in corso nel settore biblico. È stato pubblicato dalla KNA, Agenzia della Chiesa tedesca, il 20 agosto 2023. La traduzione è di Antonio Dall’Osto.
I quattro vangeli canonici raccontano l’operare di Gesù e la storia della sua vita, ma lasciano anche lacune nella vita del Redentore. Nei primi secoli, dopo la morte e la risurrezione di Gesù, i primi cristiani riempirono questi spazi vuoti. Una riflessione teologica in forma narrativa.
In ogni episodio ci sono delle lacune, cose che non vengono raccontate o che hanno bisogno di una spiegazione. Ciò stimola i lettori o gli ascoltatori ad un’ulteriore riflessione. A volte ne deriva una nuova narrazione inseparabilmente intrecciata con quella originale nelle menti dei destinatari e ha una sua efficacia.
Chiunque si trovi nell’imponente Basilica paleocristiana di Santa Maria Maggiore a Roma e contempla le magnifiche raffigurazioni in mosaico sulle pareti, può rimanere sorpreso. In alto, a sinistra, sull’arco trionfale, è raffigurata Maria che trae e lavora la lana rossa da un cesto alla sua destra, mentre l’angelo Gabriele le annuncia che sta per essere incinta di Gesù, il Figlio di Dio.
Spesso in queste scene dell’Annunciazione si vede Maria che legge la sacra Scrittura. Perché qui sta facendo anche dei lavori manuali? Se osserviamo, il testo biblico Lc 1,26-38, non dice nulla su ciò che Maria sta facendo quando Gabriele si presenta a lei con il suo sorprendente messaggio.
La scena invita, quindi, ad immaginare che cosa qui è lasciato sospeso. E ciò è avvenuto già prima che venissero realizzati i mosaici di Santa Maria Maggiore.
Un testo che, in seguito, divenne noto come Protovangelo di Giacomo (ProtevJac) e che risale probabilmente al 200 d.C. circa, mostra come Maria, una delle sette vergini scelte, stia lavorando per tessere un velo per il Tempio di Gerusalemme, quando Gabriele le appare. Anche il colore del materiale con cui lavora non è casuale, ma era stato prima tratto a sorte: puro cremisi e scarlatto. Almeno così racconta il citato Protovangelo (ProtevJac, 10-11), il quale contiene altri dettagli sulla vita di Maria prima e dopo l’Annunciazione.
Leggende e teologia
Si tratta senza dubbio di storie leggendarie, così come anche i racconti della nascita di Gesù nei Vangeli di Matteo e di Luca hanno dei tratti leggendari e non possono essere valutati storicamente in senso moderno. Se questo fosse l’unico accesso a un testo come il Protovangelo, allora potremmo rapidamente lasciarlo da parte. Ma anche una rappresentazione come quella citata all’inizio rimarrebbe per noi solo una realizzazione artistica accidentale.
C’è una storia più lunga dietro il lavoro di Maria sul velo del tempio. Il Protovangelo racconta di Maria che, dai tre ai dodici anni, cresce nel tempio di Gerusalemme (ProtevJac, 7.1-8.2) e lo scopo è preservarla da ogni impurità. Infatti – dal punto di vista del testo – solo in questo modo è concepibile che lei, creatura umana, possa diventare Madre di Dio. Questo è esattamente ciò che decretò il Concilio di Efeso nel 431 d.C., attribuendo a Maria il titolo di “genitrice di Dio” (Theotokos).
In definitiva, quella descritta nel Protovangelo sotto forma di racconto è una visione teologica. E proprio la forma del racconto continua tuttora a provocare la nostra curiosità, oltre ad essere un approccio molto singolare e spesso più facilmente comprensibile.
Il Protovangelo di Giacomo non è l’unico testo che tenta di colmare i vuoti biografici lasciati dalle storie di Gesù nei quattro vangeli canonici. Mentre l’obiettivo principale del Protovangelo è la storia di Maria dal suo concepimento fino alla nascita di Gesù, il cosiddetto Vangelo dell’infanzia di Tommaso (KThom) racconta gli eventi della vita di Gesù dai cinque ai dodici anni. Altri testi fanno luce sulle circostanze della morte e della risurrezione di Gesù o si interrogano con maggiore precisione sul ruolo delle donne al suo seguito. Offrono tutti una teologia in modo narrativo e testimoniano la grande forza iniziale delle storie della Bibbia che le hanno precedute, sia che diano lo spunto per un’ulteriore narrazione sia che forniscano nuovi e importanti motivi. Da un lato, i numerosi manoscritti sopravvissuti (almeno alcuni di essi) dimostrano che si trattava di un “modello di successo”, anche se spesso non erano molto apprezzati dalla Chiesa ufficiale e, in alcuni casi, venivano addirittura proibiti.
Dall’altro lato, lo testimoniano anche la molteplicità dei manoscritti e le numerose traduzioni già presenti nella tarda antichità e giunte fino al Medioevo. È impossibile immaginare la storia della pietà cristiana senza pensare a questi testi. Ancora oggi essi svolgono un ruolo importante quando, ad esempio, ogni anno, a Natale, mettiamo con naturalezza, accanto alla greppia, un bue e un asinello, che non sono menzionati esplicitamente né nel Vangelo di Matteo né in quello di Luca (ma cf. il cosiddetto Pseudo-Vangelo di Matteo, capitolo 14). Quindi, vale la pena intrattenerci su questi scritti significativi.
Sulla nascita e gli inizi di Maria
Anche in questo caso si può partire dalle decorazioni pittoriche presenti nelle chiese paleocristiane e medievali. A volte, c’è una rappresentazione della nascita di Maria che, a prima vista, si potrebbe scambiare per quella di Gesù se non ci fosse un letto in cui giace la madre e una levatrice che lava il neonato. Manca del tutto l’ambiente del fienile o della grotta.
In effetti, nella raffigurazione, la neonata è Maria con sua madre Anna, che si sta riprendendo da un parto miracoloso a soli sei mesi dall’inizio della gravidanza. Certo, questo periodo di tempo non può essere rappresentato in un’immagine, ma è descritto nel Protovangelo di Giacomo (5,2) come uno dei segni della speciale maturità di Maria. Il fatto che venga donata ai suoi genitori, Anna e Gioacchino, dopo un lungo periodo di infertilità, riprende un noto motivo biblico (similmente avviene per Sara e Abramo, Rachele e Giacobbe, Anna ed Elkana) e quindi enfatizza, in un altro modo, la particolarità di questa fanciulla. Nasce perché Dio lo rende possibile e perché lo vuole (ProtevJac, 2-4:4).
Inoltre, il Protovangelo di Giacomo racconta come Maria sia cresciuta in tutta purezza e separata tutto ciò che è profano, prima nella casa dei suoi genitori (6,1-7,2) e poi nel tempio (7,2-8,2). È logico che le rappresentazioni pittoriche corrispondenti mostrino la casa come ambiente protettivo per Maria alla nascita e facciano cominciare la sua vita con un bagno. (Il testo menziona solo la levatrice, quello che fa con un bambino appena nato, ma può essere dedotto dall’esperienza di vita e, ancora una volta, acquista un significato speciale per Maria.)
Quando deve essere tessuto il velo del tempio sopra menzionato, Maria è una delle sette vergini scelte dalla “stirpe di Davide”. Quasi incidentalmente si afferma per loro una discendenza davidica, mentre sappiamo da Mt 1,16 (cf. anche Lc 2,4) che tale discendenza viene attribuita solo a Giuseppe. L’autore del Protovangelo riconobbe molto giustamente che l’albero genealogico di Gesù, composto artisticamente in Matteo 1,1-17 con i suoi tre elenchi di quattordici membri, alla fine porta solo a Giuseppe, suo padre adottivo, e quindi non può giustificare in modo definitivo la filiazione davidica di Gesù. Poi egli racconta di Maria come discendente della stirpe di Davide, mentre l’origine di Giuseppe non è descritta in dettaglio.
I fratelli e le sorelle di Gesù
Il fatto che Gesù avesse fratelli e sorelle è ricordato in vari punti del Nuovo Testamento. Marco 6,3 (par. Mt 13,55) nomina specificamente quattro fratelli (il primo di essi si chiama Giacomo), mentre le sorelle rimangono anonime, come tante volte le donne nei testi di quel tempo. dopo la risurrezione di Gesù, Giacomo appare come un importante rappresentante della comunità di Gerusalemme (cf. Gal 1,19; 2,9; At 15,13-21 ecc.). Il fatto dei fratelli si accorda male con l’idea della verginità permanente di Maria. Il Protovangelo di Giacomo (9,2) racconta che Giuseppe era già vedovo quando prese con sé Maria. Le sorelle e i fratelli risultano così essere i fratellastri maggiori di Gesù e non rappresentano più un problema per la verginità di Maria. Giacomo serve anche al testo come autore (fittizio), particolarmente adatto e affidabile a causa dei suoi legami familiari con gli eventi riportati.
D’altra parte, nel Vangelo dell’infanzia di Tommaso, le cui prime versioni esistono presumibilmente già nel II secolo, incontriamo Giacomo con molta naturalezza come fratello di Gesù, il quale lo guarisce dal morso di un serpente velenoso mentre raccoglievano insieme la legna (KThom 16. Una storia simile riguardante Paolo in Atti 28,3-6 potrebbe aver fornito tale spunto). Coerente con il fatto che il Vangelo dell’infanzia, nel suo insieme, mostra poco interesse per Maria, in primo piano c’è il rapporto che Gesù, durante la sua crescita, ha con suo padre (adottivo) Giuseppe, e come è cresciuto da bambino tra i cinque e i dodici anni (cf. il Nuovo Testamento, Lc 2,41-52). In quanto padre putativo di Gesù, san Giuseppe ha un ruolo speciale da svolgere.
Da Marco 6,3 non solo apprendiamo qualcosa sui fratelli e le sorelle di Gesù, ma anche che Gesù era un carpentiere. Nel più antico dei quattro vangeli non sentiamo dire proprio nulla di un padre terreno di Gesù. Il ruolo maggiore, anche se ancora molto limitato, è svolto da Giuseppe nell’evento del Natale (Mt 1-2). In Mt 13,55 Giuseppe riappare indirettamente quando Gesù viene descritto dalla gente di Nazaret come «il figlio del carpentiere». Matteo indica così ciò che era consueto nell’ambiente di quel tempo e che si potrebbe dedurre da Marco 6,3, anche senza menzione esplicita: se il figlio era falegname, lo era anche il padre, dal quale il figlio abitualmente imparava il mestiere.
Il Vangelo dell’infanzia dipinge narrativamente questa situazione, anche se con un significativo capovolgimento di ruoli. Infatti, si racconta (KThom 13) come Giuseppe minacciasse di fallire nel suo laboratorio mentre costruiva un letto per un ricco cliente. Una delle sponde laterali era troppo corta. Gesù, all’età di otto anni, che è con lui nella bottega, gli chiede di mettersi da parte e, tirando la tavola alla giusta lunghezza dall’altro lato, salva Giuseppe dalla brutta figura. Il Vangelo dell’infanzia affronta anche il problema di ciò che un figlio di Dio potrebbe effettivamente imparare dagli insegnanti umani in tre episodi riguardanti la scuola.
Due insegnanti falliscono nel loro compito (KThom 6-8 e 14). Quando cercano di insegnare l’alfabeto a Gesù di cinque o otto anni, lui – annoiato dalle cose che già sa da tempo – fa loro delle contro- domande intelligenti a cui non sanno rispondere. Messi alle strette, percossero quello scolaro insubordinato. Il Vangelo dell’infanzia descrive poi come Gesù si arrabbi, smascheri pubblicamente l’ignoranza del primo insegnante e colpisca il secondo con una maledizione che lo fa cadere a terra da sembrare morto. Solo il terzo maestro (KThom, 15) ha successo, perché riconosce quale sapienza c’è in Gesù e quindi si mette nel ruolo dell’ascoltatore che impara. Solo così – vuole far capire il racconto del Vangelo dell’infanzia – si incontra Gesù in modo adeguato: se lo si ascolta e si impara da lui, e non viceversa. Dopo ciò, Gesù ha compassione del secondo maestro e lo ristabilisce in salute.
Anche Gesù deve imparare
Ma anche il Gesù del Vangelo dell’infanzia deve imparare qualcosa che nessun uomo può insegnargli: come gestire il suo potere divino. Le sconcertanti maledizioni e i miracoli punitivi, che a volte colpiscono anche altri bambini i quali si mettono nei guai giocando con Gesù (KThom 3-4), mostrano che la sua parola taumaturgica può, in linea di principio, essere tanto salvifica quanto distruttiva. Il fatto che il Vangelo dell’infanzia riflettesse costantemente su queste due opzioni in modo narrativo non incontrò solo approvazione.
La forza narrativa dell’immaginazione è forse andata troppo oltre e deve essere criticata teologicamente? Nella ricerca sugli apocrifi, fiorita nel XX secolo, questo riempimento narrativo delle lacune biografiche è stato spesso giudicato come una reprensibile “pia curiosità” e persino di cattivo gusto. Risulta pertanto indispensabile, per una corretta valutazione, non leggere il Vangelo dell’infanzia indipendentemente dalla storia di Gesù raccolta nei Vangeli canonici.Agli inizi essa è raccontata nei vangeli del Nuovo Testamento.
Questo Gesù non fa sua l’opzione del Vangelo dell’infanzia. Non maledice coloro che lo feriscono o che lo minacciano, ma, sebbene innocente, va incontro alla morte. Il fatto che questo cammino non sia scontato per un Figlio di Dio, ma estremamente significativo e salutare proprio per la sua singolarità, è sottolineato nel Vangelo dell’infanzia attraverso le sue “controstorie”.
Allo stesso tempo, il testo si mostra felice nell’inventare storie che possono irritare il pubblico di oggi riguardo all’immagine comune di Gesù. (Certamente hanno contribuito alla narrazione anche storie pagane di straordinari figli degli dèi: Eracle, ad esempio, già nella culla uccide i serpenti che Era aveva mandato per danneggiarlo). Alla fine, però, prevalgono quelle storie in cui Gesù impegna il suo potere miracoloso e la sua grande sapienza a beneficio degli altri. Allo stesso tempo, il testo soddisfa un bisogno di giustizia profondamente umano, ad esempio quando vengono pubblicamente denunciati quegli educatori che non sanno motivare gli studenti annoiati, ma sanno solo disciplinarli ricorrendo alle punizioni.
Il Vangelo apocrifo di Maria di Magdala
Anche a Maria Maddalena è attribuito un vangelo apocrifo. Analogamente alla preistoria e all’infanzia di Gesù, anche la fine della vita di Gesù e il periodo immediatamente successivo alla risurrezione offrono punti di partenza popolari per ulteriori narrazioni.
Se rivolgiamo lo sguardo alle donne che seguono Gesù, diventa particolarmente importante il momento in cui i discepoli fuggono quando Gesù viene arrestato. Perché solo allora hanno visibilità quelle donne che, senza dubbio, appartenevano già al gruppo dei discepoli, ma che, per lo più, furono oscurate dalla presenza maschile.
La più famosa di loro è Maria di Magdala. Nei quattro vangeli divenuti canonici, la si incontra per nome per la prima volta subito dopo la morte di Gesù, ad eccezione di Luca, che la menziona almeno brevemente in Lc 8,2.
Il fatto che il Nuovo Testamento riferisca così poco di questa donna, che è una delle prime testimoni della risurrezione in tutti e quattro i vangeli (ed è addirittura l’unica in Giovanni 20), ha senza dubbio messo le ali all’interesse e all’immaginazione narrativa. Essa svolge un notevole ruolo nei vari primi vangeli cristiani che non sono inclusi nel canone biblico.
Nel secondo secolo esiste addirittura un vangelo sotto il suo nome (EvMar). Particolarmente significativo è il rapporto teso tra lei e Pietro dopo la risurrezione di Gesù. Da una parte, Pietro invita Maria a riferire il suo ricordo delle parole di Gesù essendo la donna che «il Redentore amava più delle altre donne» (EvMar, BG 1, p. 10,1-6). Ma quando Maria racconta di una visione in cui Gesù le parlò, Pietro definì le sue parole una menzogna e allargò la critica più in generale: «Egli [Gesù] ha effettivamente parlato di nascosto con una donna di fronte a noi [discepoli] e non pubblicamente? Dobbiamo anche noi tornare indietro e ascoltarle tutte? Ha forse scelto loro più di noi?» (EvMar, BG 1, p. 17,18-22). Maria allora scoppia in lacrime, ma un discepolo di nome Levi la difende.
Anche qui vale quanto detto sopra circa la mancanza di contenuto storico di tali narrazioni, ma, dietro la finzione narrativa, sono indubbiamente riconoscibili vere e proprie rivalità per i ruoli di leadership nella comunità post-pasquale di coloro che seguono Gesù.
Da un lato, le lettere pastorali del Nuovo Testamento mostrano che non si è conclusa a favore delle donne la funzione di dirigente delle comunità. Dall’altro, ciò è reso evidente anche dal fatto che un testo come il Vangelo secondo Maria è giunto a noi solo in una versione copta incompleta e in due frammenti di papiri greci. Si può solo immaginare quanti di questi testi siano andati perduti per sempre.
Già nei primi tempi del cristianesimo, i racconti del Nuovo Testamento su Gesù, soprattutto con le loro lacune biografiche, invitavano a continuare a raccontarle sotto forma di nuovi testi e a chiarirne anche le incongruenze.
Questi testi, che non rientrano nel canone biblico, non offrono alcuna informazione storicamente utilizzabile, ma offrono invece una riflessione teologica in forma narrativa. Non di rado essi riprendono anche la pratica religiosa e gli sviluppi dottrinali e, a loro volta, influiscono su di essi.
- La prof.ssa Ursula Ulrike Kaiser insegna Nuovo Testamento all’Università Friedrich Schiller di Jena. I suoi principali interessi di ricerca sono: Scritti giovannei, Apocrifi del Nuovo Testamento e scritti copto-gnostici, interpretazione delle metafore paleocristiane, metodi di esegesi.