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Vangeli: storia o catechesi?

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Grazie agli studi storiografici ed esegetici, ci rendiamo sempre più conto che i Vangeli non sono tanto cronache storiche -almeno nel senso in cui intendiamo questa espressione-, quanto piuttosto catechesi emerse all’interno delle diverse comunità.

Con lo scopo di rafforzare la fede di quelle comunità e stabilire modelli di comportamento, gli autori dei testi non hanno avuto remore a mettere in bocca a Gesù affermazioni che non avrebbe mai potuto pronunciare, né hanno creato problemi a “inventare” episodi che potessero getta luce sulla situazione delle comunità alla fine del I secolo.

È quanto, secondo gli studi più rigorosi, accade anche con il testo di Matteo 15, 21-28. Chi fa una lettura letterale sarebbe tentato di attribuire a Gesù una sorta di “conversione” che lo avrebbe fatto passare da un atteggiamento esclusivista – “sono stato inviato solo alle pecore smarrite di Israele” – ad un altro più inclusivista e universale.

Tuttavia, sembra certo che nulla di tutto ciò sia avvenuto. Perché il problema a cui si riferisce il testo non si era posto tanto al tempo di Gesù, quanto sorse più tardi, quando alcune persone provenienti, non dall’ebraismo ma dal paganesimo, si sono interessate a far parte di quelle comunità che seguivano “la strada” del Maestro di Galilea. È lì che è sorto il problema e quello sarebbe il contesto in cui sarebbe nato il testo in questione.

I pagani – che di solito venivano chiamati “cani” – chiedono di entrare nella comunità. Dopo un dibattito che non doveva essere stato né facile né rapido, l’evangelista mette in bocca a Gesù la risposta -favorevole- dei capi della comunità. Con ciò l’evangelista ha cercato di dare autorità alla decisione appena presa.

Il superamento del letteralismo nella lettura dei Vangeli ci avvicina di più alla storia e, soprattutto, consente una lettura “simbolica” molto più ricca, che rende più facile cogliere la sapienza in essi racchiusa, proprio come qualsiasi libro sapienziale.

Al contrario, il letteralismo – l’assolutizzazione di qualsiasi testo (non importa se si tratta del Vangelo, della Bhagavad Gita o di Un corso in miracoli) – porta al dogmatismo e al fondamentalismo. E il dogma è contro la comprensione. Pertanto, il fatto di vedere un testo come intoccabile e cercare di giustificarlo a tutti i costi costituisce l’ostacolo più grande per aprirsi alla verità.

Tutti i testi sono solo “mappe” che vogliono puntare verso il “territorio”. La “cosiddetta” Sacra Scrittura non è altro che un “menù” in cui vengono proposti dei piatti, ma il menù non il “cibo” stesso. Il dramma avviene quando le mappe vengono presentate come il territorio stesso, e il menù come se fosse già il cibo, cioè come la verità assoluta. Certamente alcuni testi e alcuni menù sono più riusciti o elaborati di altri, ma non si possono assolutizzare. Perché il territorio o il cibo – la verità – non si possono possedere, si possono solo abitare o assaporare. Non possiamo possedere (avere) la verità, tale da poter fruirne in un testo “scritto”. Nessun testo può pretendere di possedere la Verità, sebbene nella nostra identità profonda, lo siamo già.

(Enrique Martinez Lozano)

Fonte: ApertaMente


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