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Rosella De Leonibus "L'identità al tempo dei social network"

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rubrica Psicologia

«Penso a me stesso come un baule pieno di gente.» Fernando Pessoa 

Qual è uno degli elementi più importanti per la nostra psiche? Di certo è l’identità, quel costrutto in base al quale posso affermare “sono io!”. L’identità non è innata, si genera nella interazione con la figura materna nei primi mesi di vita, attraverso l’attivazione della funzione di specchio rispetto alle espressioni del volto materno. 
Passo passo si apprende la possibilità di tollerare la separazione, e si arriva alla percezione di sé come un essere ancora dipendente, ma separato. L’identità, quindi, nessuno la costruisce da solo. Si forma nella interazione bambino/genitori, è il frutto di una alterità che accoglie. Le percezioni che i genitori hanno del bambino sono gli elementi costitutivi della sua identità. La relazione di attaccamento è il tramite per cui il sé si rispecchia negli atteggiamenti genitoriali. “Io mi vedo come tu mi vedi”, sintetizzava il grande John Bowlby. 
L’identità, quindi, è una costruzione che ha gli altri come protagonisti. Ma oggi, nell’era dei new media, chi siamo? Quali sono gli organizzatori della nostra identità? Darci un nome condiviso sarebbe già una identità….Homo digitalis? Homo zappiens? Homo technologicus? 
La nostra identità oggi è caratterizzata da un certo spaesamento, dalla precarietà, da una quota di nomadismo, da sconfinamenti… E’ ormai improponibile una concezione dell’identità fissa, stabile e immutabile. C’è molteplicità nelle appartenenze, e le traiettorie esistenziali frammentate, le istanze psico-sociali contrastanti, fanno di ciascuno un essere in divenire, mai concluso, mai definitivo, peculiare e irripetibile. Accanto a tutto ciò, la normale scala evolutiva delle culture umane sta subendo una straordinaria accelerazione, e l’equilibrio tra componenti culturali e componenti biologiche sta cambiando, rispetto a quello conosciuto finora. La tecnologia ha un carattere autocatalizzante: più tecnologia c’è, più essa si sviluppa, più numerose sono le innovazioni, più è facilitata l’introduzione di altre innovazioni. 
La società dell’informazione trasforma le nostre rappresentazioni del tempo, dello spazio, dell’essere nel mondo, e la deterritorializzazione delle norme e dei comportamenti è evidente a tutti i livelli. 
I social network rispecchiano tutta la complessità del sistema sociale. Gestiscono relazioni, informazioni, l’attività delle persone, l’immaginario, i riferimenti culturali, i valori, gli affetti, le aspettative sul futuro. Determinano le scelte, l’immagine di noi stessi nel mondo, i desideri, gli equilibri esistenziali. 

NATIVI DIGITALI, LA MUTAZIONE ANTROPOLOGICA 

Post-umano non significa deumanizzato, significa di fatto questo: le reti interagiscono direttamente con la nostra psiche e contribuiscono a costruire una realtà dove tutto progressivamente si digitalizza, si esperienzializza, si dematerializza: stiamo spostando dentro i social network molte delle attività di stretta competenza biologica (tempo libero, intrattenimento, ricerca del partner…). Stiamo riconfigurando il concetto di reale, che non si può più così chiaramente opporre al virtuale. 
L’umano si modifica strutturalmente, potenziandosi e aprendo nuove possibilità per conoscere, divertirsi e raccontarsi, producendo nuove paure e disagi. Nasce una nuova tipologia umana, quella dei “digital natives”, che sono cresciuti dentro l’era digitale. Sono abituati a ricevere le informazioni in fretta. 
Preferiscono usare processi paralleli e multitasking. Preferiscono i video, le immagini e i grafici prima del testo invece che il contrario. 
Preferiscono l’ipertesto rispetto al testo, ragionano in rete, lavorano per condivisioni, seguono processi logici arborescenti, non lineari… I nativi digitali funzionano meglio quando sono connessi tra loro. 
Cercano gratificazioni istantanee e premi frequenti. Preferiscono imparare sperimentando e creando, piuttosto che per deduzioni e astrazioni... 
Di conseguenza si ristruttura il modo di pensare l’identità. 
Disseminata in molti spazi culturali che influenzano la nostra vita, si riorganizza l’orientamento nei sistemi di relazione con gli altri e nella vita emotiva. In questo nuovo contesto sfuma il senso del privato opposto al pubblico: si è presenti senza esserci e ci si rapporta a tutto in modo nuovo. 
Possiamo dare l’addio alla contrapposizione storica tra “realtà dura” e “realtà possibile” (quella dei letterati, dei poeti del cinema, della fiction). La cosiddetta “realtà virtuale” diventa l'ambito in cui risultano compresenti (virtualmente, ma non per questo con minore pregnanza di realtà), elementi che, nel sistema di pensiero precedente, risultavano distinti, differenziati, o anche contrapposti. 
L’informazione è entrata in quello che tendiamo a chiamare il reale, sovrapponendosi ad esso, secondo i paradigmi della “realtà aumentata”. 
L’identità avrebbe bisogno di confini, ma sono proprio questi i primi a sfumare, e la nostra diffusa impreparazione a gestire la privacy in modo strutturato, sommata alla vocazione dei network a generare e distribuire informazioni, rende sempre più labile il confine tra pubblico e privato. Il “personale” diventa “pubblico” e un’enorme porzione delle interazioni sociali, normalmente invisibili, viene memorizzata per sempre. Nasce un’estetica completamente nuova, che ha bisogno di un nuovo nome. 
Lo ha coniato Serge Tisseron, si chiama “estimità”, è la vita intima esposta in pubblico: confidenze liberatorie, esibizione, ricerca di conferme… L’estimità è la ricerca di una risposta pubblica a domande intime. Facebook, Instagram, Tik tok e molti altri social network diventano il palcoscenico dell’estimità (dal latino extra, fuori, superl. extimus, contrapposto a intimus, da intra, dentro). 
Chi sono io? In cosa mi riconoscete? Come posso fare a piacervi? Il luogo dell’estimità è lo spazio infinito e apparentemente neutro dei social network. 

L’IDENTITÀ IN UN CLICK 

Per la costituzione e l’esistenza di un io è necessario ricevere riconoscimento, a partire dal rapporto con le figure di accudimento. 
È normale affidarsi a percezioni, giudizi, stigmi e lodi altrui per sviluppare il proprio io sociale e mentale. Tuttavia, di quale identità parliamo? Quella fisica, fatta di corpo, percezioni, o quella mentale, la rappresentazione cognitiva di se stessi e del proprio mondo? 
Parliamo di quella affettiva, fatta di sentimenti ed emozioni, o di quella retorica o conversazionale, che si esprime dal sé verso gli altri mediante la comunicazione verbale? Talvolta queste aree si incontrano e collimano, talvolta rimangono confinate in universi paralleli, e le appartenenze multiple costruiscono le innervature identitarie delle persone. Più le appartenenze sono numerose e diverse, più l’identità sarà specifica, e da qui si aprono nuove frontiere nei rapporti di condivisione, di complicità, di intimità con l’altro. 
Ego – bonus, possiamo definire così le “coccole sociali” che ci inducono a passare più tempo on line e a ricercarle attivamente: per gli utenti assidui dei social network è maggiore rispetto a quelli occasionali. Tutto nasce nel nucleus accumbens e nell’area tegmentale ventrale; la riflessione su di sé e la comunicazione dei propri pensieri sono stimoli che portano a rivelarsi e attivano nel cervello le aree della ricompensa. Oltre a carezze narcisistiche, autorappresentazione e feedback, c’è il vantaggio del confronto sociale. L’euforia che si produce può sviluppare dipendenza dalle “coccole virtuali”. Il cervello può adattarsi a questa ricompensa e desensibilizzarsi verso altre gratificazioni più “costose” in termini di impegno per ottenerle. 
Sul Web, come facciamo di solito anche parlando e scrivendo, colleghiamo la nostra identità ad un sistema di riferimenti iconici tipici del gruppo cui apparteniamo. E quando le persone si connettono col nostro imput ci restituiscono un segno di accettazione da parte della comunità. E’ la funzione di specchio che cerchiamo disperatamente da bambini nei confronti degli adulti. Con questi fili virtuali elaboriamo il tessuto della comunità. 

Teniamo presente che dal punto di vista della rete la nostra identità vive su tre livelli: siamo dati, informazioni che i vari sistemi anagrafici gestiscono con il loro livello normativo implicito, ma siamo anche puro comportamento, informazioni che noi diamo su noi stessi sommate alle nostre capacità di raccontarci al mondo e interagire con esso. E infine siamo quell’insieme di conoscenze tecniche che ci consentono di utilizzare il medium e l’ambiente digitale per rappresentarci meglio e interagire efficacemente con gli altri. In questo quadro usciamo dalla possibilità di mantenere in mano nostra il possesso delle nostre identità e del valore costruito intorno ad esse perché, in ogni attività che svolgiamo in Rete, lasciamo un pezzo di noi e del nostro valore. L’ habeas data sarà irrinunciabile nella civiltà contemporanea, esattamente quanto lo è stato l'habeas corpus; si tratterà di arrivare a rispettare i dati esattamente come siamo stati educati a rispettare il corpo. 

INCONSCIO DIGITALE? 

La privacy infatti è uno dei grandi concetti che si stanno completamente riconfigurando in maniera seria con il digitale, perché buona parte delle nostre vite, delle scelte personali, persino la storia dei nostri acquisti e la nostra cartella clinica, condividono la natura digitale delle informazioni. Dal lato “materiale” già i dispositivi di videosorveglianza, i sensori, la tracciabilità dei nostri apparecchi, attraverso le reti telefoniche o connettive, potrebbero facilmente privarci del tutto di una dimensione privata. Nel Web, la nostra narrazione personale è rivelata dai nostri click, dai nostri siti preferiti e dalle connessioni ipertestuali. 
Ed ecco che l’estensione digitale della nostra identità non ha solo un’area accessibile, consapevole, diremmo. L’area di ciò che il web sa di me è incredibilmente vasta e precisa, il numero incredibilmente grande e il grande dettaglio di informazioni personali, più l’estrema velocità di diffusione, sommati alla incancellabilità, strutturano un’area oscura del web, piena di preziosi dati personali, che cresce con la diffusione dei new media, come un immenso inconscio digitale. Quello che oggi ci conosce meglio di noi stessi e ci profila, ci guida con i feed, con le proposte di acquisto e di appartenenza, quello che diventa il più grande agente di potere di questo inconscio collettivo, che va sotto il nome neutro, rassicurante, anonimo, di algoritmo. 

E poi non siamo che all’inizio di una mutazione antropologica profondissima, tutta ancora da comprendere e studiare, tutta da governare, con lucida cognizione, senza paura. Perché tutto ciò che è prodotto umano può essere utilizzato a favore dell’umanità, non per dominarla e asservirla. 

«… quella notte, quando tutti furono andati a dormire, Prospero rimase presso il mare, figura alta e solitaria, inargentata dal chiarore stellare. Prima il suo mantello magico, poi il suo libro magico, e per ultima la sua bacchetta spezzata in due, vennero lanciati tra le onde. Prospero non aveva più bisogno di loro, né dell’isola incantata. Grazie alla sua arte aveva fatto in modo che gli uomini vedessero dentro di sé e, attraverso la finzione, giungessero alla verità.» 
William Shakespeare – “La tempesta” 


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