Massimo Recalcati "Scuola. I valori da riscoprire"
La Stampa, 12 ottobre 2021
Adesso l'hanno riaperta. E' mancata a tutti. Alle famiglie e ai loro figli. Non sembrava possibile. La
Scuola non ha mai fatto tanto sentire la sua presenza come quando è stata assente. Accade
solitamente con i vecchi amori, quelli che si danno per scontati e che solo quando si assentano
fanno sentire tutta la loro importanza. Molto meno quando sono presenti. Allora suscitano solo noia.
Quando gli amori diventano abitudine, lo sappiamo, il desiderio fatalmente si spegne. Quando la
loro presenza è data per scontata, allora è autorizzata la distrazione, la trascuratezza, l'indifferenza e
persino l'incuria. Non è quello che è accaduto alla nostra Scuola?
Mai come nel tempo della pandemia, che ha imposto la sua necessaria chiusura per ragioni
sanitarie, la sua esistenza è stata così fortemente invocata. Eppure nel tempo ordinario che ha
preceduto l'emergenza dell'epidemia essa non è mai stata davvero al centro del dibattito culturale e
politico del nostro Paese. Come un vecchio e scontato amore abbiamo trascinato con noi la sua
esistenza, dandola per scontata. Il trauma del Covid ci ha davvero aperto gli occhi? Ci ha fatto
davvero vedere l'importanza insostituibile della Scuola non solo per la vita dei nostri figli, ma per la
vita del nostro intero Paese?
Non è così sicuro, anzi. La sola urgenza che è stata avvertita da tutti è stata quella della sua
riapertura fisica. Ma non è stata messa in risalto con sufficiente forza l'apertura come valore etico
che deve contraddistinguere la missione sociale della Scuola. Una Scuola chiusa è infatti una
contraddizione in termini, poiché l'apertura esprime l'essenziale della funzione culturale e civile
della Scuola: rompere i muri del pregiudizio, le barriere della discriminazione, valorizzare il
plurilinguismo, il dibattito tra le idee, consentire l'incontro di mondi differenti, sostituire alla
violenza e alla prepotenza la legge della parola, erotizzare il desiderio di sapere, essere un vaccino
efficace contro le spinte dissipative della giovinezza, aprire sia le teste che i cuori.
L'apertura della Scuola non può, infatti, essere ridotta ad un problema di sicurezza. Se dobbiamo
pensare ad un cantiere-Scuola è per ricollocare il tema della sua apertura nel suo più giusto piano
che non è tanto quello securitario, ma quello valoriale. Non si tratta solo di riportare i nostri figli a
Scuola e di riprendere la normale attività didattica. Certo, questo è un primo e necessario passo. Ma
il secondo altrettanto necessario passo sarebbe quello di cogliere l'occasione della ripartenza per
porre con decisione la Scuola e la sua funzione di custode dell'apertura come valore davvero al
centro del dibattito culturale e politico del nostro Paese. Non è forse questo un altro insegnamento
del tremendo magistero del Covid?
Un Paese senza ricerca, senza cultura e con una Scuola debole è destinato a perire. Ma allora perché
il dibattito sulla Scuola appare totalmente sequestrato dal tema della sicurezza? Non dovrebbe
essere questa invece la giusta congiuntura per affermare con forza la sua centralità per la vita del
nostro Paese? Una serie di problemi di fondo attraversano la nostra Scuola e attendono non solo e
non tanto una soluzione immediata dal fiato corto, ma un pensiero lungo capace di imprimere un
orientamento ampio dentro il quale si possano davvero trovare le giuste risposte - quelle dal respiro
adeguato - a questi problemi.
Non è allora questo il tempo per rivedere l'idea maligna che si è affermata negli ultimi anni che la
Scuola sia da pensare e da organizzare come se fosse un'azienda? Siamo sicuri che il peso sempre
più ingombrante della burocrazia non schiacci anche gli entusiasmi dei migliori insegnanti? Siamo
convinti davvero che una Scuola efficiente sia quella che nutre un sapere tecnico-specializzato e che
il criterio che ne deve valutare l'efficacia sia quello meramente produttivo? E' normale che una
Scuola che a parole è considerata come il centro di ogni possibile ripartenza abbia proletarizzi
drasticamente i suoi lavoratori?
Sono queste solo alcune delle innumerevoli domande che andrebbero poste per ripensare dai piedi
la nostra Scuola e la sua vocazione sociale. Se non ora quando? Bisognerebbe incalzare chi si
occupa da una vita di Scuola a mettere a disposizione la propria esperienza e che questa esperienza
sia riconosciuta dai nostri governanti come essenziale per provare a situare, non solo retoricamente,
la Scuola al centro del nostro futuro. Mai come oggi servirebbero degli autentici Stati generali della
Scuola, composti da soggetti che sanno di cosa si parla perché hanno dedicato la loro vita alla
Scuola. Anziché rincorrere in un inseguimento farsesco, nel lessico e nell'impostazione teorica, i
modelli anglosassoni della didattica che sembra assicurino un ideale compiuto di scientificità e di
efficientismo empirista, dovremmo invece rivolgere lo sguardo ai nostri grandi padri, alle radici più
classiche della nostra straordinaria cultura, dovremmo non dimenticare mai di essere seduti sulle
spalle di giganti. Perché come spesso accade un autentico sforzo di innovazione implica sempre una
ripresa originale della tradizione dalla quale si proviene.
Senza questo sforzo e senza questa ripresa finiremo per fare indossare alla nostra Scuola i panni
logori di un vecchio amore la cui presenza scontata demolisce il desiderio anziché generarlo.