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Rosanna Virgili "Chi sono io per giudicare"

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Costruttori della Pòlis
a cura di Rosanna Virgili



  1. La vera Giudea
  2. La forza dell’inerme
  3. Un culto d’amore
  4. Autorità e libertà
  5. Chi sono io per giudicare
  6. Il bacio santo

Quinta Meditazione

Chi sono io per giudicare
(Romani 14)
Introduzione

La parte parenetica della Lettera ai Romani viene a compiersi nel capitolo 14 e nei primi versetti del capitolo 15. Quanto ivi l’Apostolo raccomanda è di estrema importanza per la vita della Chiesa. Peccato che pochi siano stati – nei secoli passati - quelli che gli hanno dato ascolto! Nelle parole di Paolo v’è un tenore teologico e uno stile ecclesiale che colpiscono; v’è una libertà dalle cose secondarie e uno sguardo su quelle essenziali che rendono altissimo il livello morale del suo discorso. L’orizzonte delle sue esortazioni è quello di una Chiesa da far crescere e non sciupare per nessuna ragione, poiché per essa il Signore ha dato Sé stesso.

Per leggere e comprendere

Le Comunità cristiane delle origini erano formate da due grandi componenti culturali: quella giudaica e quella etnica. Anche a Roma molti dovevano essere quelli che provenivano dalla fede mosaica e che si trovavano insieme a quanti non conoscevano le tradizioni degli ebrei osservanti ed erano cresciuti nel culto degli idoli. In una situazione del genere non era facile evitare problemi, specialmente a tavola! V’erano, infatti, cristiani che seguivano precise diete alimentari non per motivi di prestanza fisica o di salute – come potrebbe essere oggi per noi – ma per motivi strettamente religiosi. Quelli che provenivano dal giudaismo erano stati educati a un rigore estremo non solo nella dieta ma anche nel modo di prendere cibo e in compagnia di chi. Il libro del Levitico elenca con acribia le carni che si possono consumare e quelle che no, ponendo dei paletti di purità rigidissimi tra le une e le altre. Tra i gentili v’erano, invece, alcuni che escludevano il consumo delle carne in maniera assoluta e si nutrivano solo di fagioli. È possibile che lo facessero anche per evitare il rischio di mangiare le carni degli animali sacrificati alle divinità pagane. Paolo ritiene ogni tipo di attenzione di questo genere come il segno di una “debolezza” da parte dei cristiani. Per lui è chiaro quanto ha ben spiegato nella Prima Lettera ai Corinti e cioè che tutto si può mangiare, comprese le carni sacrificate agli idoli, visto che gli idoli non sono nulla! (cf 1Cor 8). Non solo ma Paolo sa bene che: “i cibi sono per lo stomaco e lo stomaco per i cibi. Dio però distruggerà questo e quelli” (1Cor 6,13), per cui ciò che si mangia non ha davvero alcuna importanza in vista della vita eterna. Lo stesso vale anche per altre tradizioni cui i cristiani sono legati: alcuni osservano la festa in giorni particolari, altri il digiuno sempre secondo un calendario tradizionale. Anche su questo Paolo non ha dubbi: tutto ciò non ha alcuna incidenza reale sulla vita cristiana, poiché: “se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore” (14,8). Ciò nonostante nessuno giudichi l’altro per il suo comportamento! Nessuno deve disprezzare chi è diverso da sé e mostri delle debolezze. Al contrario ognuno accetti le debolezze degli altri, pensando che non c’è nessuno che possa dirsi completamente libero. Se per qualcuno è importante celebrare una festa, ciò che conta è che lo faccia per il Signore. Ogni cosa può essere occasione di comunione se è fatta nella stima vicendevole e nell’umiltà. Similmente sul cibo: lascia pure che il tuo fratello prenda il cibo che sente buono per sé, e tu non giudicare la sua persona per questo poiché egli è “un servo” di Dio e non uno che deve obbedire a te. Nella vita sociale e comunitaria è essenziale l’idea che “nessuno vive per sé stesso” e che noi dobbiamo cercare “ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole”. Non dobbiamo irrigidirci nell’imporre le nostre ragioni perché l’unica ragione della vita cristiana è la fraternità. Per questo Paolo conclude supplicando i romani a: “Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo! Tutte le cose sono pure; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne né bere vino né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi” (14,19-21).


Domande per attualizzare

La tentazione di considerarsi i veri cristiani, rispetto a tutti gli altri, è vecchia quanto la Chiesa! Paolo deve combattere per persuadere i neo-credenti a mettere le loro diversità e i doni che lo Spirito ha fatto a ciascuno di loro, per il “bene di tutti”. Rompere la comunione vuol dire fare a pezzi il corpo stesso di Cristo! Se la vita cristiana è una liturgia eucaristica, tale unione dev’essere effettiva, tangibile, autentica. Cosa si può fare, oggi, perché la Chiesa sia fedele? Quanto incidono il moralismo, la supponenza dottrinale, l’ignoranza arrogante, nell’indebolimento della comunione? Chi siamo noi per giudicare i nostri fratelli? Dio solo può farlo. Quanto la tentazione di “scomunicare” in base a futili motivi, fa ancora parte dell’atteggiamento del cristiano? E quante creature che sono in cerca di Dio vengono, in questo modo, deluse e allontanate?

Preghiera di comunione

Il Signore è il mio pastore: nulla mi manca.
Egli mi fa riposare in verdeggianti pascoli,
mi guida lungo le acque calme.
Egli mi ristora l'anima,
mi conduce per sentieri di giustizia,
per amore del suo nome.
Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte,
io non temerei alcun male,
perché tu sei con me;
il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza.
Per me tu imbandisci la tavola,
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo;
la mia coppa trabocca.
Certo, beni e bontà m'accompagneranno
tutti i giorni della mia vita;
e io abiterò nella casa del SIGNORE
per lunghi giorni.
(Salmo 23)
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