Luca Mazzinghi "Dalla Pasqua ebraica a quella cristiana"
Stasera ci immergiamo nell’Antico Testamento, perché la Cena del Signore si svolge in una atmosfera pasquale, anche se non era di per sé la celebrazione della Pasqua. Quindi capire la Pasqua di Israele, la Pasqua dell’Esodo, significa capire meglio l’Eucarestia e la Pasqua cristiana.
Il punto di partenza è il testo di Esodo del capitolo 12, che è il testo della 1° lettura del giovedì Santo ed è il fondamento della Pasqua ebraica: alla fine del testo la Pasqua ebraica viene definita MEMORIALE: “questo giorno sarà per voi un memoriale”, dunque non un ricordo di fatti lontani, ma significa rendere presente ciò che stiamo celebrando. Nel momento in cui l’israelita celebra la Pasqua rende vivo e presente l’atto di salvezza che ha vissuto al tempo dell’esodo dall’Egitto. La Pasqua è il vero atto fondatore di Israele, prima ancora della Legge; Israele ancora non ha la legge, deve ancora arrivare al Sinai, mentre la Pasqua è il suo vero atto di nascita.
Già qui ci accorgiamo che c’è subito un legame con la nostra celebrazione della Eucarestia, perché in ogni celebrazione eucaristica ripetiamo la parola del Vangelo “fate questo in memoria di me” , lo stesso concetto del memoriale della Pasqua di Israele, il rendere presente il fatto celebrato.
Il testo dell’Esodo 12 è un testo tardivo, che è stato scritto durante l’esilio babilonese, che riflette il modo in cui la Pasqua era celebrata da Israele in un certo periodo storico.
Il testo si apre ricordando che il Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d’Egitto “questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno.”
La Pasqua nel calendario ebraico primitivo era il primo mese dell’anno: il mese di Aviv (in ebraico primavera), era il mese che apriva l’anno civile e religioso di Israele. Il 14 del mese si celebra la Pasqua, perché gli ebrei usavano il calendario lunare e dunque la metà del mese è la notte del plenilunio, legata al plenilunio di primavera. Dunque la Pasqua è così importante che segna l’inizio dell’anno. Adesso non più, perché l’anno ebraico inizia in settembre con la festa che ricorda la Creazione.
Per analogia ricordiamo che noi fiorentini fino al Settecento, iniziavamo l’anno civile il 25 marzo perché era il giorno della Incarnazione del Signore.
Sempre nel testo dell’Esodo possiamo trovare una doppia dimensione della Pasqua: “parlate a tutta la Comunità di Israele e dite che ognuno si procuri un agnello per famiglia…”, quindi una dimensione comunitaria, che riguarda tutta la comunità di Israele, e una dimensione familiare, perchè di fatto si celebra all’interno di ogni singola famiglia.
Anche l’Eucarestia aveva questa doppia valenza nel Cristianesimo antico: da un lato era un atto comunitario, dall’altro si celebrava nelle case, non esistevano le chiese.
Poi il testo dell’Esodo elenca tutte le norme che riflettono l’origine antica della Pasqua, come festa di pastori nomadi e quindi una celebrazione legata a eventi tipici della pastorizia. I nomadi in primavera iniziavano la transumanza, cioè i greggi passavano dai pascoli invernali ai pascoli estivi e si mettevano in viaggio nella notte del plenilunio di primavera. Iniziavano il viaggio con un sacrificio propiziatorio, immolando un agnello perché il viaggio andasse bene. Tutto questo è entrato poi nella Pasqua che Israele celebra dal momento in cui esce dall’Egitto. La vittima deve avere delle peculiarità: deve essere un agnello o un capretto, maschio, in quanto nella mentalità biblica le femmine non sono abilitate al culto. Deve essere inoltre senza difetti, nato nell’anno, primogenito, e soprattutto deve essere separato, messo a parte fino al 14 del mese perché appartiene al Signore.
Quindi l’agnello è il cuore della Pasqua ebraica.
Leggendo i testi evangelici relativi alla Cena del Signore vediamo che non si fa alcuna menzione dell’agnello. L’agnello scompare del tutto. E’ un segno della discontinuità fra l’una e l’altra Pasqua: l’agnello scompare perché è sostituito da una persona, il Signore, che nel vangelo di Giovanni viene infatti chiamato “l’Agnello di Dio”.
C’è inoltre il rito del sangue che ricorda il gesto che i pastori compivano per tenere lontano lo sterminatore, quell’angelo malefico che avrebbe disturbato il viaggio dei pastori e che veniva tenuto lontano offrendogli il sangue dell’animale offerto in sacrificio. Gli altri elementi che vengono elencati (mangiare l’agnello di notte, coi fianchi cinti, cotto al fuoco, con pane non lievitato, erbe amare cioè non coltivate, senza fare avanzare la carne fino al giorno successivo, il bastone in mano, i sandali ai piedi) sono il segno che si sta per partire, che richiamano la festa dei pastori nomadi. Il testo dell’Esodo cambia lievemente il significato, perché qui non sono più pastori nomadi, ma sono gli Israeliti che stanno uscendo dalla terra promessa.
Il testo dell’Esodo ci aiuta anche a capire il senso del termine Pasqua: Pasqua in ebraico si dice Pesach e il libro dell’Esodo utilizza questo termine insieme al verbo Pasach che significa “zoppicare” o “saltellare”, ma qui inteso nel senso di “saltare” “passare oltre”: il Signore vede il sangue e passa oltre le case degli Israeliti; dunque la etimologia di Pesach viene da questo significato di “passare oltre”, risparmiare le case degli Israeliti, senza distruggerle. Il termine italiano Pasqua, non viene però da questa parola ebraica, ma dall’aramaico Pasca che poi passa al greco e latino con la stessa sonorità.
Quindi anche nella nostra Pasqua in cui la Eucarestia diventa centrale, c’è dietro una eredità che deriva dall’Antico Testamento.
Nell’Antico Testamento si parla 7 volte della celebrazione della Pasqua, in 7 passi diversi:
La 1° Pasqua raccontata nell’Antico Testamento è proprio quella raccontata nel libro dell’Esodo, la Pasqua iniziale, la prima che Israele celebra al momento della uscita dall’Egitto, quindi ricorda la libertà, la liberazione.
La 2° Pasqua la troviamo nel libro dei Numeri, dove viene raccontata la Pasqua che gli Israeliti celebrano nel deserto un anno dopo la partenza dall’Egitto, arrivati ai piedi del Sinai dove ricevono il dono della Legge, dopo il quale celebrano questa seconda Pasqua. Quindi questa Pasqua ricorda l’altro evento fondamentale della vita di Israele che è il dono della Legge.
La 3°Pasqua la troviamo nel Libro di Giosuè: Israele ha passato 40 anni nel deserto, finalmente è arrivato alla terra promessa, ha passato il Giordano e inizia a entrare nella terra promessa: in questo momento celebra la sua terza Pasqua: In realtà sono passati quaranta anni, ma è la terza Pasqua di cui la Bibbia ci racconta.
La 4° Pasqua è raccontata nel secondo libro delle Cronache dove si racconta ciò che fece il re Ezechia intorno al 721 a.C, anno in cui gli Assiri invadono il regno del nord di Israele e lo distruggono e deportano in Assiria tutta la popolazione del nord. Rimane solo il regno di Gerusalemme con il re Ezechia che coglie l’occasione per una riforma religiosa che segnò Israele. Come centro di questa riforma religiosa profonda si celebra la Pasqua: è una riforma di carattere monoteista, di fedeltà al Signore, tutto questo sigillato dalla celebrazione della Pasqua.
La 5° Pasqua: nel secondo libro dei Re c’è un’altra profonda riforma religiosa operata da Giosia che sigilla tutto questo con una nuova celebrazione della Pasqua.
La 6° Pasqua dell’Antico Testamento è nel libro di Esdra: Israele è stato in esilio, è tornato dall’esilio e verso il 398 Esdra, un sacerdote, fa un’ulteriore riforma religiosa che poi dà vita all’Ebraismo di oggi. Anche lui sigilla tale riforma con la celebrazione della Pasqua.
Tutto questo ci mostra come ogni celebrazione della Pasqua corrisponde a un momento importante della storia di Israele.
E’ un po’ come se vedessimo l’Eucarestia come il ritmo della nostra storia.
La 7° Pasqua l’Antico Testamento non la racconta ma l’annunzia: è la Pasqua che ancora deve essere celebrata, avviene nel libro del profeta Ezechiele e nel libro della Sapienza. Il profeta Ezechiele immagina come sarà la Gerusalemme futura in una visione ideale e descrive come sarà la Pasqua di un futuro che non è stato ancora scritto.
Dunque alla luce di questa 7° Pasqua, ogni Pasqua che noi celebriamo è in qualche modo l’anticipo di una Pasqua che ancora non c’è, è una profezia del futuro.
Applicando questo schema alla Eucarestia: questa è da un lato la nostra storia, è legata a eventi fondamentali della nostra storia, ma allo stesso tempo è profezia del futuro. Ogni eucarestia che celebriamo è immagine di qualcosa che ancora deve accadere.
Questa sequenza di Pasque dell’Antico Testamento ci mostra come ogni Pasqua sia un modello ideale degli atti di liberazione e salvezza che Dio ha compiuto nella Scrittura, un segno che accompagna gli eventi più importanti della storia di Israele. Ogni Pasqua rappresenta qualcosa che Dio ha fatto per noi. Così ogni Eucarestia rappresenta qualcosa che Dio ha fatto per noi e che farà ancora per noi.
Questo è importante per capire che la Pasqua e la Eucarestia non sono un rito chiuso in se stesso senza una dinamica interna, da fare secondo determinati schemi. Al contrario sono qualcosa di dinamico come la storia, ogni Pasqua è legata a un evento della storia che lo fa crescere e ne prepara un altro, aprendo a un futuro ancora non scritto.
Si può capire come mai nella tradizione ebraica la Pasqua sia qualcosa che avviene ogni giorno per me, per noi.
Testo dell’ebraismo antico, scritto da un rabbino (Rabbi Gamaliel) maestro di San Paolo: è quel rabbino che quando gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, vengono arrestati nel tempio, si alza e dice di lasciarli stare perché se questa cosa fosse venuta dagli uomini sarebbe morta da sé, se fosse venuta da Dio nessuno sarebbe riuscito a fermarli.
Nel suo scritto ci dice che celebrare la Pasqua e celebrare l’Eucarestia, significa considerare se stessi come usciti dal paese d’Egitto.
VEDIAMO ORA QUALE È IL SENSO DELLA PASQUA DI ISRAELE E QUALI SONO GLI ASPETTI DI QUESTA CHE ILLUMINANO LA PASQUA CRISTIANA E QUINDI LA NOSTRA EUCARESTIA.
Vediamo che quello che adesso diremo della Pasqua ebraica è vero anche per la nostra celebrazione eucaristica.
Un versetto del libro dell’Esodo cap. 12: “Notte e veglia fu questa del Signore per farli uscire dal paese d’Egitto. Questa sarà una notte di veglia in onore del Signore “. E’ un versetto che lega la Pasqua alla notte di veglia che gli Israeliti celebrano in onore del Signore.
Per capire meglio il senso della Pasqua si deve ricorrere a un altro testo della tradizione ebraica antica, che è tratto dalla tradizione giudaica che si chiama Targum. “Targum” è una parola aramaica che significa “traduzione”, e con questa si intende la traduzione della Bibbia ebraica in aramaico, questo perché tornati dall’esilio babilonese gli ebrei smettono di parlare ebraico e iniziano a parlare l’aramaico. Al tempo di Gesù, nessuno parlava più l’ebraico, ma l’aramaico, che era appunto anche la lingua parlata da Gesù. Quindi si cominciò a tradurre la Bibbia in aramaico per renderla comprensibile. Abbiamo 3 grandi traduzioni risalenti al III-IV secolo d.C. che in realtà riflettono il modo con cui la Bibbia era letta e tradotta all’epoca di Gesù. Il Targum è una traduzione molto peculiare, estremamente libera. Il targumista non si limitava a tradurre, ma parafrasava e commentava, mentre noi siamo molto fedeli quando si traduce. Il testo che don Luca ci ha riportato negli appunti è il Targum di Esodo 12, 42, cioè su un solo versetto il targumista scrive mezza pagina e riflette su quali sono le notti di Israele segnate dalla salvezza di Dio. Dunque la Pasqua diventa in sé la sintesi di tutte le notti più importanti della storia di Israele. Dunque la notte della Pasqua racchiude in sé l’intera storia del mondo, dalla notte della Creazione alla notte della fine del mondo. Intorno alla Pasqua ruota una intera storia del popolo di Israele e della intera umanità.
Dunque la Pasqua, quella ebraica ma anche quella cristiana, non è legata a una idea astratta di Dio, ma a una storia di salvezza; senza questa storia non c’è la Pasqua. La Pasqua è ricordo simbolico di tutte le notti in cui Dio è intervenuto per salvare il suo popolo.
VEDIAMO IN DETTAGLIO QUESTE NOTTI DEL TARGUM:
La 1° notte è la notte in cui Dio ha creato il mondo. Lo crea dal buio, infatti la prima cosa che fa: “Sia la Luce”. Dunque la Pasqua è anche ricordo della Creazione. Non è un caso che i testi profetici come Isaia, descrivano la Pasqua, il ritorno dall’esilio, il nuovo esodo, come una nuova Creazione. Quindi la Pasqua è anche storia della nuova Creazione, c’è un legame fra Pasqua e Creazione e questo lo viviamo anche noi cristiani: nella notte di Pasqua celebriamo la Veglia pasquale e la prima lettura è Genesi 1, la Creazione del mondo, la 1° notte. Come inizia la Veglia pasquale? Al buio, con la celebrazione della Luce. C’è dunque anche per noi un legame stretto fra Pasqua e Creazione: la nuova vita, la nuova luce, la luce che splende nelle tenebre. E l’eucarestia è il segno di un mondo rinnovato. Dunque legame fra Creazione-Pasqua e Eucarestia, vero per gli ebrei ma anche per noi cristiani. In fondo è la dimensione creazionale di ogni eucarestia: sono gli elementi del Creato che vengono offerti a Dio perché li faccia nuovi. Questo è un primo significato della Pasqua di Israele che si riflette sulla nostra Pasqua e sulla nostra Eucarestia.
La 2° notte: è la notte in cui Dio chiede ad Abramo di sacrificare il figlio Isacco (“esce e guarda le stelle…”). Isacco partecipa volontariamente al sacrificio e diventa lui stesso la vittima sacrificale finchè non viene sostituito dall’agnello che Abramo trova nel cespuglio. Quindi il secondo significato della Pasqua è la Pasqua come sacrificio. Pensando di nuovo alla Veglia Pasquale: la seconda lettura è Genesi 22, proprio questa. Praticamente seguiamo ancora lo schema dell’antico Targum ebraico nel leggere le letture della notte di Pasqua, nella I-II-III lettura (Genesi 1-Genesi 22- Esodo 12, Esodo 14 nel caso della Pasqua). Cosa indica nel mondo ebraico il sacrificio? Perché si sacrifica un agnello? Per due ragioni: il sacrificio e il sangue del sacrificio ha intanto un valore espiatorio, serve a ottenere il perdono della divinità, si ammazza un animale come sostituzione della vittima umana che meriterebbe la morte. E poi c’è un valore di comunione: con quella vittima bruciata, olocausto (=tutto bruciato), la vittima viene portata nel mondo divino, viene assunta al mondo divino. Quindi si sacrifica l’agnello per ottenere il perdono e la comunione con Dio. Questa idea di sacrificio passa nella Pasqua cristiana e di riflesso in ogni celebrazione eucaristica. La seconda lettura del giorno di Pasqua è I Corinzi, 5-7 “Cristo nostra Pasqua è stato immolato”, cioè di Cristo si dice quello che si diceva dell’agnello nell’Antico Testamento. E cosa avviene con questo sacrificio di Cristo? Le due cose che nell’Antico Testamento si pensava avvenissero con il sangue dell’agnello, cioè IL PERDONO E LA COMUNIONE CON DIO. La morte di Cristo crea il perdono dei peccati, questa volta definitivo e permanente, non più legato alla ripetizione del sacrificio, e la comunione con Dio anche questa permanente perché Cristo muore una volta per tutte. Quindi la Pasqua ha anche un valore sacrificale, quella ebraica e a maggior ragione quella cristiana. Quindi la radice ebraica della Pasqua cristiana è molto profonda.
La 3° Pasqua è quella dell’Esodo dall’Egitto: la Pasqua come ricordo della liberazione dall’Egitto. Non a caso la terza lettura della notte di Pasqua è il capitolo 14 dell’Esodo, il passaggio del mare. La Pasqua ha anche questa dimensione sociale, è festa di un popolo schiavo che diventa libero. Non è da intendersi come schiavitù del peccato, ma di schiavi veri, di un popolo che opprime un altro popolo. E’ importante non alterare questo aspetto perché altrimenti si perde la dimensione sociale della Pasqua; la Pasqua esige la libertà, per cui finchè ci sarà un popolo schiavo di un altro non ci sarà mai una vera Pasqua. Allo stesso modo l’Eucarestia presuppone uomini e donne liberi, non si può celebrare l’Eucarestia e mantenere un altro in una situazione di schiavitù. Pertanto se si celebra la messa ma stiamo con i governi più oppressivi, si odiano i migranti ecc, è una messa che non ha alcun senso o valore, anzi diventa un insulto a quello che il Signore ha inteso fare per liberare un popolo.
La 4° notte pasquale di cui parla il Targum sarà quando il mondo, giunto alla fine, verrà dissolto, ovvero in ogni Pasqua che Israele celebra c’è l’anticipo della salvezza futura. La Pasqua ha anche il valore profetico, quindi è anche il legame con la salvezza futura. Celebrare la Pasqua significa anticipare la salvezza futura. E così anche la Pasqua cristiana, in ogni Eucarestia, è anticipo della salvezza futura del mondo intero. Gli ebrei ci aiutano e ci ricordano che quando celebrano la Pasqua, dopo averla celebrata vanno a letto e prima di salutarsi dicono “L’anno prossimo a Gerusalemme”, nel senso che quest’anno siamo qua come schiavi, anno prossimo saremo liberi in terra di Israele; ogni Pasqua è l’anticipo della speranza della salvezza futura.
La Pasqua ebraica ha inoltre una profonda dimensione familiare: la Pasqua è festa di una comunità, ma ancora oggi non si celebra in Sinagoga ma in famiglia e il celebrante è il padre, il capo famiglia. Questa dimensione noi cristiani l’abbiamo persa, sempre meno spesso celebriamo la Pasqua a casa (“Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi…” al contrario di come dovrebbe essere). La Pasqua dovrebbe essere una festa della famiglia ed è un’idea profondamente ebraica sentirla come il centro della vita della famiglia e dell’anno.
Di fronte a questi testi dell’Antico Testamento che abbiamo analizzato per capire le radici della nostra Pasqua, il Cristiano è sottoposto a una doppia tentazione:
da un lato minimizzare i testi dell’Antico Testamento, fino al punto di dire che non ci interessano ed è una tentazione che la Chiesa ha sempre avuto. Oppure lo leggiamo in maniera allegorica, quindi la Pasqua ebraica come allegoria, simbolo della Pasqua di Cristo.
L’altra tentazione è l’opposto della prima, cioè quella di pensare di essere “ebrei cristiani” e trasferire senza alcun criterio i segni della Pasqua ebraica all’interno di quella cristiana. Come sempre la verità sta nel mezzo e bisogna avere una idea chiara dei rapporti fra Antico e Nuovo Testamento e fra Pasqua ebraica e cristiana, senza chiusure da un lato o aperture acritiche dall’altro.
Il rapporto fra la Pasqua ebraica e l’Eucarestia è un rapporto che ha un doppio criterio: da un lato c’è una forte continuità come abbiamo visto, dall’altra c’è una forte discontinuità: la Pasqua cristiana non è più l’uccisione di un agnello, l’agnello sparisce; non c’è più l’immolazione di un sacrificio, ma c’è il Signore che è l’Agnello di Dio, che è la discriminante vera.
C’è un punto in comune importante che è quello del MEMORIALE da cui siamo partiti: sia per gli ebrei che per i cristiani la Pasqua è attualizzazione della salvezza di Dio, quella dall’Egitto per Israele, quella dell’intero mondo ancora per Israele, ma quella causata da Cristo per i cristiani.
C’è una dimensione di ricordo e attualizzazione di un evento di salvezza.
E c’è anche una dimensione di attesa: per gli Ebrei la Pasqua è l’attesa della venuta del Messia, per i Cristiani è l’attesa del suo ritorno, della salvezza definitiva che Cristo verrà a portare.
RITO DELLA PASQUA EBRAICA
Si celebra in famiglia e il rito lo celebra il capo famiglia. Il rito è rimasto praticamente uguale ai tempi di Gesù.
La celebrazione pasquale si apre con la benedizione pronunziata sulla prima coppa di vino in segno di gioia, una benedizione che apre la sera della libertà.
Ci si lavano le mani (momento importante: in quel momento, all’inizio della celebrazione dell’ultima Cena del Signore, secondo il Vangelo di Giovanni, Gesù si toglie le vesti, si mette un asciugamano e lava i piedi ai discepoli ed è questo che li sconvolge; se avesse lavato loro le mani rientrava nel rito, invece modifica radicalmente il gesto che apre la Pasqua di Israele).
Dopo si assaggia un po’ di sedano intinto o nell’aceto o nel limone o nell’acqua salata, a seconda delle usanze locali. Questo ricorda l’amarezza dell’esilio, della schiavitù.
Dopo c’è il rito del pane azimo: viene portato in tavola il pane azimo, una parte di esso viene nascosto sotto la tovaglia per essere cercato dai bambini, che hanno un ruolo importante nella cena pasquale. A fine della cena i bambini dovranno cercare il pane azimo avanzato e sarà l’ultima cosa che si può mangiare prima di chiudere la cena.
Dopo aver benedetto il pane, (e la benedizione del pane ci ricorda la nostra eucarestia) c’è proprio il rito dell’Haggadah vera e propria: siamo a cena, ancora non si è cominciato a mangiare, salvo il vino, il sedano e un po’ di pane, e si leggono i testi biblici relativi all’uscita dall’Egitto e tutto questo è introdotto dalle domande dei bambini a cui il padre risponde raccontando la storia. Dunque i bambini sono il motore di tutta la celebrazione. E’ bello nella nostra messa del giovedì santo coinvolgere in qualche modo i bambini, per conservare questa tradizione che è molto biblica.
Dopo aver letto le letture si beve la seconda coppa di vino, di nuovo ci si lava le mani, si pronucia la benedizione sul pane che non è stato ancora mangiato e si mangia un po’ di quella salsa tipica fatta con mele grattugiate, noci e fichi e che ricorda la pasta dei mattoni, con cui venivano fatti i mattoni in Egitto, ancora in ricordo della schiavitù.
La cena poi prosegue con stile festoso e dai tempi di Gesù in poi non viene più mangiato l’agnello dopo che il Tempio fu distrutto dai Romani perché l’agnello per essere mangiato deve essere immolato nel tempio di Gerusalemme. Siccome il Tempio non c’è più, non si mangia più l’agnello da quasi duemila anni.
Poi si mangia ancora il pane azimo, si benedice e si beve la terza coppa di vino e
alla fine della celebrazione si canta il grande Hallel pasquale, i salmi dal 113 al 118
Poi è tradizione che la cena ebraica termini con canti che fanno i bambini fra cui quello molto famoso “Alla fiera dell’est, per due soldi un capretto mio padre comprò…”.
Il capretto è il popolo di Israele oppresso da popoli sempre più forti…ma infine l’Angelo della morte fa giustizia di tutti i nemici di Israele e salva il capretto.
I bambini attraverso i canti imparano i fondamenti della loro fede.
Parrocchia Santi Fiorentini 30 ottobre 2019