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Francesco Cosentino “Verso quale Dio si rivolge il grido del povero?”

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don Francesco Cosentino 
Verso quale Dio grida il povero?
San Salvatore in Lauro – 27 novembre 2019


Ci interroghiamo questa sera sul grido della città e il tema mi fa venire in mente la storia del Profeta Geremia, chiamato fin dal seno materno a profetare proprio sulla città, nel momento in cui essa ha abbandonato il Signore.
Geremia è inviato per annunciare che, come un mandorlo fiorito, Dio ricostruirà una nuova Alleanza. Un profeta – come dovremmo essere anche noi e la Chiesa tutta – che non si stanca di annunciare che, anche dentro la storia ferita dal male, dal peccato e dalla violenza, Dio non si tira indietro e rimane sempre il Dio dell’Alleanza.

Geremia usa tante belle immagini di vita quotidiana: un vaso d’argilla nelle mani di un vasaio che lo modella e lo plasma e se non viene bene, comincia daccapo il suo lavoro, proprio a significare la pazienza con cui Dio si prende cura di noi; ma anche la cintura di lino, la brocca spezzata, e mi colpiva soprattutto l’immagine di un boccale colmo di vino. Il Signore dice a Geremia che gli abitanti della città, a iniziare dai loro governanti, si ubriacheranno e si frantumeranno, gli uni contro gli altri; il Cardinal Martini afferma che l’ubriachezza rende le persone “insensate, irresponsabili, stordite, incapaci di dirigersi, è l’immagine di una società che ha perso il senso dell’orientamento, il senso dei valori, delle cose giuste, della verità” .

Il primo grido della città è anzitutto questo: coloro che hanno creduto di possedere la luce sono stati sorpresi dalle tenebre; la città secolare, troppo sicura di sé e delle sue scoperte, del suo progresso e della sua organizzazione politica, è ferita dal male, dalla povertà, dall’ingiustizia, dalla violenza. In mezzo a essa, i poveri gridano perché soprattutto loro portano sulla propria pelle i segni di queste ferite.

Cosa dobbiamo fare noi come cristiani e come Chiesa? Nel Libro del profeta c’è un bellissimo parallelismo tra Geremia e Gesù: Geremia piange sulla città, proprio come Gesù piange su Gerusalemme. Significa che non dobbiamo ritirarci nelle nostre sacrestie e chiuderci nella lamentela per le cose che non vanno, giudicando il mondo e la sua cattiveria; al contrario, dobbiamo partecipare al grido di sofferenza che si leva dalla città, piangere con chi piange, essere sorgente di consolazione e di speranza, essere compartecipi del destino del mondo. Quindi, dobbiamo anzitutto ascoltare con il cuore e abitare con il cuore il grido della città.



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