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Celebriamo colei che ha partorito il benefattore

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 La festa della dormizione della Madre di Dio nella tradizione bizantina
Manuel Nin

Tutte le liturgie delle Chiese cristiane hanno un senso catechetico molto evidente. E questo è sottolineato con chiarezza nelle liturgie dell’oriente cristiano: la liturgia è un insegnamento per i fedeli, impregnata com’è di elementi che istruiscono nelle verità della fede. In modo particolare questa catechesi attraverso la liturgia si ritrova nelle celebrazioni della Madre di Dio, di colei che accolse nel suo grembo il Verbo eterno di Dio.


È infatti la presenza della Madre di Dio a scandire i diversi momenti dell’anno liturgico delle Chiese di tradizione bizantina: la prima grande festa nel ciclo liturgico è quella dell’8 settembre, quando si celebra la sua nascita, e si chiude con la festa del 15 agosto, la Dormizione della Madre di Dio. Tutto il mistero di Cristo che si celebra lungo l’anno liturgico ha inizio dunque con la Natività di Maria e si conclude con il suo transito e la sua piena glorificazione. L’oriente cristiano, fin dall’inizio, ha contemplato Maria sempre inscindibilmente inserita nel mistero del Verbo incarnato. E le Chiese d’oriente, rivolgendosi alla Madre di Dio, sanno di rivolgersi a colei che intercede presso suo Figlio.

La festa del 15 agosto, che nei libri liturgici bizantini porta il titolo di Dormizione della Madre di Dio, inquadra il transito e la glorificazione della Vergine nel mistero pasquale di Cristo stesso ed è una delle feste più popolari tra i fedeli. Viene preceduta dalla “piccola quaresima della Madre di Dio”, un periodo di preghiera e di digiuno che inizia il primo agosto e in queste due settimane di sera si celebra l’ufficiatura della Paràklisis (parola greca che significa “supplica”, “invocazione”, “consolazione”), molto amata dai fedeli.

Nella versione più arcaica la Paràklisis risale al IX secolo e la sua celebrazione ha una struttura simile a quella del mattutino: la benedizione e le preghiere iniziali, la recita di due salmi (142 e 50) e il canto delle nove odi proprie della Paràklisis. Ognuno dei tropari delle odi inizia con l’invocazione: «Santissima Madre di Dio, salvaci» perché Maria, generando il Verbo di Dio incarnato, da lui ci porta la salvezza. Dopo l’ode sesta c’è la proclamazione del vangelo con il racconto della visitazione di Maria a Elisabetta. Dopo la terza e la sesta ode e alla fine della celebrazione, il sacerdote canta diverse litanie in cui fa memoria di tutta la Chiesa e di coloro per cui si prega in modo speciale.

Il testo delle odi intreccia invocazioni alla Madre di Dio e a colui che lei ha generato, Cristo. Tutta la preghiera è percorsa dalle affermazioni della incarnazione del Verbo, della divina maternità di Maria e della sua potente intercessione: «Ti prego, o Vergine, dissipa il turbamento della mia anima. Tu infatti, o sposa di Dio, hai generato il Cristo, l’autore della serena quiete, o sola tutta immacolata». I titoli con cui Maria viene invocata sono legati sempre alla sua divina maternità: (Madre di Dio, Vergine, Madre del Verbo incarnato, Madre divina) oppure connessi alla sua funzione e al suo ruolo nel mistero della redenzione: potente interceditrice, baluardo inespugnabile, fervida avvocata, fonte di misericordia, causa di letizia, fonte di incorruttibilità, torre sicura.

Diverse strofe delle odi sottolineano il rapporto stretto tra Cristo e Maria mettendo in rapporto il dono fatto da Maria e la fonte da cui il dono scaturisce, cioè Cristo stesso: «Metti la pace nella mia anima, o Vergine, con la pace serena del tuo Figlio e Dio. Guariscimi, o Madre di Dio, tu che sei buona e hai partorito il Buono». E in una delle strofe della terza ode troviamo tutto un gioco con i termini benefattore, bene e beneficio perché Maria generando Cristo ne assicura i doni da lui elargiti a tutti coloro che a lei si affidano: «Tu che hai partorito il benefattore, la causa di tutti i beni, fa’ scaturire per tutti la ricchezza dei suoi benefici, perché hai generato il Cristo, che è potente nella sua forza».

Diverse volte nel testo Maria è invocata col titolo di “sposa di Dio”, collegato sempre a colui che lei come sposa e madre genera, il Verbo incarnato. Lei salva dalle onde delle passioni perché partorisce il nocchiero della nave della Chiesa, e lei è fonte di compassione perché genera colui che è amico dell’uomo e ne ha pietà: «Tu che hai partorito il nocchiero, il Signore, placa il tumulto delle mie passioni e le violente ondate delle mie cadute, o sposa di Dio. Concedi, a me che ti invoco, l’abisso della tua amorosa compassione, tu che hai partorito il compassionevole». La verginità di Maria è poi descritta come fertile di doni per coloro che la invocano: «Non trascurare, o Vergine, quanti chiedono il tuo aiuto. O Vergine, tu riversi l’abbondanza delle guarigioni su quanti con fede ti celebrano, o Vergine. Tu guarisci le infermità della mia anima o Vergine, tu allontani gli assalti delle tentazioni, o Vergine».

A conclusione della celebrazione un ultimo tropario collega il canto della Paràklisis alla festa stessa della Dormizione: «Apostoli, qui radunati dai confini della terra, nel podere del Getsemani seppellite il mio corpo. E tu, mio Figlio e Dio, accogli il mio spirito. Dolcezza degli angeli, gioia dei tribolati, protezione dei cristiani, o Vergine, Madre del Signore, vieni in mio soccorso e dai tormenti eterni scampami. Ho te quale mediatrice presso il Dio amico degli uomini: che egli non mi accusi per le mie azioni davanti agli angeli; ti supplico, o Vergine, vieni presto in mio aiuto. Torre tutta intrecciata d’oro e città dalle dodici mura, trono che stilli sole, seggio del re, incomprensibile prodigio! Come puoi allattare il Sovrano?».
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