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Rosanna Virgili "Il futuro negli occhi dei Profeti"

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“Gli avari non credono nella vita futura, poiché per essi il presente è tutto, e questo stesso concetto diffonde una luce orribile sul mondo odierno, ove più che mai il denaro domina leggi, politica e costumi. Istituzioni, libri, uomini e dottrina cospirano insieme a scuotere la fede in un’altra vita, fede su cui da diciotto secoli si basa l’edifizio sociale.
Tuttavia ci troviamo quasi al medesimo punto, poiché l’avvenire che ci attendeva al di là del requiem fu trasportato nel presente. Giungere per fas et nefas al paradiso terrestre del lusso e delle gioie vanitose, pietrificare il cuore e macerarsi il corpo nell’ansia di beni passeggeri, come un tempo si soffriva il martirio per acquistare beni eterni, ecco l’idea di tutti, l’idea stabilita e concreta in ogni luogo, persino nelle leggi, le quali domandano all’uomo: Cosa paghi? Invece di dirgli: “Cosa pensi”?... Se una dottrina simile si diffonderà dalla borghesia al popolo, che ne sarà del mondo?”
(H. de BALZAC, Eugénie Grandet, [trad. di Grazia Deledda], Newton Compton, Milano 1994, pp.83-84).

a Vicenza il 25 maggio 2018

IL FUTURO NEGLI OCCHI DEI PROFETI

“Ecco faccio una cosa nuova
Proprio ora germoglia
Non ve ne accorgete?”
(Is 43,19)

______________

Futuro, futurismo e profezia

Nei primi anni del secolo scorso si accendeva un incendio nell’arte e nella letteratura, nella scienza e nelle ideologie: la miccia veniva dall’Italia, specialmente quella tra Firenze e Milano, città da cui si propagò in tutto il mondo occidentale. Era il sogno di un futuro che diventava presente, di un mondo nuovo che rendeva concreti gli assoluti; di una nuova civiltà che portava paradisi in terra (1).

A Milano. presso le Edizioni di Filippo Tommaso Marinetti, Aldo Palazzeschi pubblicava, nel 1910, L’Incendiario, una raccolta di poesia, tra cui suonavano i seguenti accenti: “Uomini che avete orrore del fuoco / poveri esseri di paglia!”. E non soltanto qui, ma in tutti gli altri versi, v’era “un incendio”, per definizione dello stesso autore.
Si potrebbe far la storia di quegli anni, che trasformarono il FUTURO in FUTURISMO, la storia dell’arte, della letteratura, ma anche quella civile: “avendo come filo conduttore i titoli di libri, le testate di riviste, che alludono alla fiamma, al fuoco, all’incendio, all’ardere, al bruciare. Il fuoco come illuminazione, come ardore, come purificazione del mondo, il fuoco come espressione di un’ispirazione artistica, una passione storica, una promessa di rinnovamento” (M.Veneziani).

Curiosamente il fuoco è anche la metafora e il simbolo biblico della PROFEZIA: dal roveto ardente di Mosè, al carro di fuoco di Elia, al fuoco chiuso nelle ossa di Geremia. Il fuoco significava, per quegli uomini straordinari, l’incontro con Dio che è incandescente, poiché brucia la persona e cauterizza la sua bocca, abilitandola a farvi passare la Parola e la Presenza di Dio stesso (2). Il fuoco è, infatti, anche il simbolo della potenza della parola profetica, capace di bruciare i retaggi del passato per accendere esplosioni di vita nel futuro.

Quale significativo accostamento si potrebbe, però, fare tra gli annunci e gli avventi di “futuro”, come quelli del futurismo di un secolo fa e il profetismo biblico? E soprattutto: quale chiave potrebbe fornire la scrittura profetica biblica per comprendere l’atteggiamento verso il futuro che ha l’Occidente oggi, nei primi decenni del duemila? La sensibilità verso il futuro è, infatti, fortemente mutata.

Due secoli a confronto

Agli inizi del Novecento il FUTURO era la rivoluzione, la libertà, la seduzione della scienza, della meccanica, della tecnica; la nuova concezione della vita si basava su di una smisurata fede nel futuro e nel progresso tecnologico, fatto di dinamo, di bombe, fotografie, flash, ciminiere, motori a scoppio.
I vecchi valori (la lentezza, i radicamenti nella tradizione, l’interiorità e l’autorità), visti ormai come segni di superstizione ed ignoranza, venivano sostituiti da quelli della velocità, del dinamismo, della forza materiale, dello slancio vitale, dell’irruenza e la violenza dei più forti.

Ma il secolo della giovinezza, si traduceva, ahimè, di decennio in decennio, in un secolo breve, fino a capovolgersi e diventare, in Europa, quello della vecchiaia: dopo la metà del Novecento l’età media comincia ad allungarsi, i giovani cominciano a non sposarsi, le coppie a non dare molti figli. Cresce una società di anziani e pensionati, che diventano più numerosi dei bambini e che – fatto ancor più grave! - non vede più, per i propri nipoti, la sana eredità di un futuro, di quel futuro che essi – sopravvissuti alle due guerre mondiali - avevano avuto e pensato per sé stessi.

Il ritornello che sentiamo ripetere tutt’oggi e che ha aperto, nel nostro Paese, il ventesimo secolo, segnala la fine dell’ASSOLUTO del futuro; il mainstream si esprime in una sentenza: “non c’è futuro per i giovani”.
A decretarlo sono i vecchi, mentre a subirlo sono i bambini.
Il futuro rimane come sogno soltanto negli occhi dei migranti, dei figli dei poveri, mentre sparisce da quelli dei ricchi.

Le derive del futuro: utopia e distopia

Già negli anni Trenta, quando i totalitarismi europei erano in piena esplosione, autori come Aldous Huxley (3), anticipavano l’idea di un mondo caratterizzato da un totalitarismo soft, dominato non più da regimi militari, ma dalla “dittatura” di un pensiero unico, tendente a schiacciare le libertà individuali e artefice di una società mostruosa, nella quale tutto è programmato, financo le nascite.
Egli già immaginava una cultura in cui si volesse estirpare il dolore, la sofferenza del vivere, diffondendo l’uso di droghe per tenere anestetizzati i cittadini, con ogni tipo di divertimento. Prevedeva, insomma, un “totalitarismo” estremamente insidioso, che avrebbe conquistato i nostri tempi e nel quale ci siamo venuti, effettivamente, a trovare.

Ma la cosa più inquietante è osservare come anche il nostro totalitarismo soft – non solo quelli dei regimi fascisti e comunisti del passato – sarebbe nato da quell’entusiasmo del futuro che segnava l’inizio del Novecento!

Come resistere, dunque, alle derive così pericolose di un ideale di FUTURO che, invece di liberare, tende lacci di schiavitù mortale?

Huxley ripropone una specie di mito, quello del buon selvaggio (il Selvaggio Jhon de: Il mondo nuovo), e Orwell quello dell’uomo comune (4).In ambo i casi l’unica resistenza alle derive futuristiche verrebbe dall’iniziativa di qualche buon uomo, di uno o più singoli, mentalmente liberi, capaci di sviluppare una coscienza critica che gli permetta di contestare e fermare il potere devastante del Grande fratello.

L’ottimismo della distopia orwelliana viene oggi massacrato dall’invasione pluri-potenziata e pluri-moltiplicata del web: un grande fratello dalla potenza incomparabilmente superiore a quella di ogni esercito, o ezzo di propaganda politica, immaginabile prima della seconda metà del Novecento.
La dialettica che ha per oggetto il futuro si ingabbia tra dis-topia ed ou-topia. Difficile uscirne. Per questo oggi il futuro fa paura.
La tecnologia fa paura (quando, invece, la tecnica prometteva un futuro stupendo, limpido, libero dalle superstizioni…); ma anche le scienze fanno paura, tant’è vero che vengono ancora molto trascurate negli insegnamenti scolastici curricolari; le possibilità della manipolazione genetica fanno paura, la diversità fa paura, i legami con gli altri fanno paura, le migrazioni fanno paura, i sistemi finanziari fanno paura, l’ignoto e la novità fanno paura (5).
Il futuro è avvertito come una novità non attesa, non desiderata, non costruita “da mani d’uomo”, ma che si abbatte quasi fatalmente, con la velocità delle cose virtuali, sui poveri esseri umani il cui limite è la carne; il futuro è un ignoto verso cui l’Occidente non prova più anelito, né curiositas.
Piuttosto che presentarsi come un COMPIMENTO, il futuro si presenta come un’ INTERRUZIONE: della MEMORIA (la tradizione); della LOGICA (il nesso causa-effetto); dell’ETICA (le due vie del bene e del male, l’uso morale della volontà).

La paralisi educativa

L’effetto più vistoso di questa piena impasse del futuro è l’ECLISSI della Memoria e la rinuncia alla responsabilità EDUCATIVA degli adulti. Cosa resta del padre? Cosa resta dell’adulto? Cosa resta dei genitori? Cosa resta del maestro? Le CONOSCENZE / I VALORI / le TRADIZIONI (del passato) non sono più OGGETTO DI TRASMISSIONE. I nonni tacciono sui propri, mentre si adattano ai “costumi” dei figli. Cosa resta degli anziani? Se è vero che: “Questo non è un Paese per vecchi(6) e la “cultura” della TV spazzatura ha colonizzato anche le menti della terza e quarta età, cosa resta della SAPIENZA degli adulti? Quale eredità possono ancora lasciare? Una volta sepolto il passato, come far risorgere il futuro?

Quale vantaggio dalla lettura dei profeti?

I profeti annunciano il futuro a partire dalla memoria del passato, ma quando il passato è perduto, quale annuncio è ancora possibile? Eppure estremamente interessante è vedere quali grandi risorse si annidano nei testi dei profeti biblici. Peccato che essi non entrino spesso nel dialogo e nella ricerca intellettuale, confinati come sono, ancora, nelle sacrestie.
A un certo punto, infatti, nei Profeti biblici, la MEMORIA diventa FEDE ed APRE ad un FUTURO di TRASFORMAZIONE. Ma come accade questa conversione? E quando avviene il mutamento della stessa parola profetica?
Per rendercene conto dobbiamo segnare due tempi: il tempo dell’ordine e il tempo del caos. I due tempi sono tra loro articolati e si possono riscontrare anche nell’attualità in cui viviamo.
Nei tempi dell’ordine (etico, politico, sociale) la profezia insiste sui fondamenti della vita comune e raccomanda l’osservanza della Legge, delle regole civili e religiose, perché si possa ottenere un futuro. A questo proposito ha ragione Leonardo Boff quando dice che: “Il profeta, in senso biblico, non è in primo luogo quello che prevede il futuro. È colui che analizza il presente, identifica tendenze, generalmente devianti, ammonisce e perfino minaccia. A partire dalla captazione delle tendenze, fa previsioni per il futuro. In fondo, egli afferma: se continuerà questo tipo di comportamento da parte dei dirigenti del popolo, fatalmente succederanno delle disgrazie. Queste sono conseguenza delle violazioni delle leggi sacre. E a questo punto proiettano scenari drammatici in funzione pedagogica: condurre tutti alla ragione e all’osservanza di ciò che è giusto e retto davanti a Dio e alla natura”.
Moltissimi sono i testi profetici in cui proprio in virtù dell’analisi sul presente, gli occhi dei profeti riescono a “vedere” cosa si articolerà a tale presente nel futuro prossimo o remoto, secondo il nesso logico di “causa-effetto”, nonché di “delitto-punizione”.

Tempi di un ordine passato

Quella profetica è una forma di sapienza che si radica, come abbiamo già detto, sulla memoria del passato, maestra dell’etica biblica. “Abbiamo seminato vento e ora raccogliamo tempesta”! Un ragionamento quasi scontato per un’umanità d’altri tempi, ma evidentemente inadatto alle nuove generazioni d’Occidente che sembrano non avere più nemmeno la percezione che ad una causa corrisponda un effetto. Uno dei princìpi principe della logica aristotelica sembra essersi, infatti, eclissato.
La velocità dei mutamenti e la mancanza di tempo per la riflessione non permettono più l’esercizio di quest’ultima e neppure di perseguirne lo scopo, cioè quello di capire che ad una azione corrisponderà un effetto, positivo o negativo che sia.
A questo semplice, ma sostanziale schema mentale che sta venendo meno, si aggiunge il fenomeno della psico-apatia, cioè la mancanza di coscienza del bene e del male e quindi l’indifferenza delle azioni che ciascuno può porre. L’una vale l’altra, il giudizio è sospeso, più ancora abolito per il semplice fatto che quei “muri” di riferimento che i Profeti, invece, possedevano, giacciono a terra abbattuti: che si tratti di Dio o della Legge.
Dio si è, oggi, ridotto ad un piacere privato del singolo, una velleità che dipende dalla discrezione dell’individuo; la Legge – anche quella cosiddetta “naturale” viene sottovalutata: la sua potenza non appare più così evidente e i suoi “codici” sono ormai decodificati e i suoi dati pronti per essere rimescolati nei laboratori degli scienziati.
Venendo meno la direzione in cui volgere le proprie azioni muore anche la necessità della volontà: esse sono destinate a scomparire insieme.
Un altro elemento – che non può non essere, a sua volta, essenziale alla decadenza della profezia più classica – quella che abbiamo definito dell’ordine - è la de-costruzione del tempo come divenire, quindi come quell’elastico teso tra il passato e il futuro che trovava, nel presente dei profeti, il kairòs per l’intervento divino certamente, ma anche per la decisione umana che appariva, lo stesso, decisiva.
L’assoluto del presente ha inghiottito passato e futuro, che erano le coordinate delle parole (etiche) dei profeti. Assolutizzare il presente significa – in termini teologici – realizzare l’èscaton, il tempo della fine. E tale, infatti, è la percezione che in Europa si vive, intercettata dallo stesso Papa Francesco: “Una Europa un po’ stanca, pessimista, che si sente cinta d’assedio dalle novità che provengono da altri continenti” (Discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo 25 Novembre 2014).
Il “già” ha divorato il non-ancora, e si presenta davvero “infinito”, impossibile da fruire alle piccole creature mortali, quindi non solo non c’è più nulla da aspettare, ma non c’è più spazio per l’attesa. Ed è per questo che la gente si oppone ai mutamenti, si chiude ed esclude. Vuole fermare l’alluvione di presente; recintare la “proprietà”, restringendo il più possibile il perimetro della propria esistenza. La gente non vuole il futuro, ma che si conservi un presente più gradevole possibile, più garantito, più stagnante che mai.
Ecco perché quella parola profetica di cui parla Boff non ha più efficacia nei nostri confini europei contemporanei. Il nostro profeta Francesco ogni giorno apre porte d’accoglienza e finestre di speranza rivolgendosi agli scartati, ai migranti, ai peccatori, ai poveri. Ma il suo messaggio non trova la reazione che meriterebbe. Ogni apertura comporta un futuro diverso e condiviso, mentre noi legittimiamo un mondo dove i contratti hanno sostituito i patti e si dà per scontato che nessuno fa niente per nessuno, ma tutti agiscono per la cautela degli interessi (materiali) individuali.

In mezzo al caos

Così vediamo abbattuto anche il più grande pilastro della profezia classica: il valore della comunità. Senza quest’ultimo nessun’etica profetica biblica è possibile, poiché la profezia nasce quando nasce il popolo, anzi, fu essa stessa che gli diede idea, forma ed anima. La profezia auspica e costruisce una società, un’umanità di fraternità, di benessere comune, di comunione. Stabilisce patti ed Alleanze. Per questo le parole della profezia classica non possono oggi esserci d’aiuto!
Fortunatamente la Bibbia contiene, però, DIVERSE PROFEZIE, differenti testi, poiché essa è scritta quasi esclusivamente per aprire porte di futuro. Ci sono profeti che sorgono nei momenti delle trasformazioni radicali. Quelli cui Dio dice: “Ecco, ti costituisco sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e demolire, distruggere e abbattere, edificare e piantare” (7) , sconcertando persino il vocato all’inedita missione.
Sono questi i profeti che possono aiutarci, preziosi da meditare nel milieu in cui ci troviamo. Che possono indicarci un metodo per rivolgerci ancora al futuro. Che possono accompagnarci a vedere dove avverranno le sue resurrezioni.

Una parola duttile e trasformatrice

La potenza della parola profetica sta nel dare anima ad ogni mutamento della storia di Israele, di partecipare ad ogni nascita e morte del santo popolo di Dio.
Le parole dei Profeti seppero trasformarsi alle trasformazioni della storia e generare trasformazioni. E quando i canoni di un linguaggio cadevano i Profeti sapevano “captare” suoni nuovi che stavano arrivando e provavano a decifrarli per sistemarli in un altro universo di senso e di realtà. Ignoto ancora anche a loro, ma in cui credevano, entravano e conducevano.
Quando gli eventi della storia diventano enigmatici – come oggi li avvertiamo noi – occorre cambiare linguaggio e i profeti lo fanno, trasformando quegli stessi enigmi nella sintassi delle loro parole. Ed ecco lo stile apocalittico, incomprensibile ai profani, almeno quanto il linguaggio informatico non sia oggi per i non nativi. I profeti si ammodernano, sanno perdere e prendere ciò che arriva.
Ma non passivamente. Quanto più il caos copre la luce di ogni possibile senso, tanto più la persona del profeta reagisce, si fa duttile e spugnosa per poter assorbire e penetrare nel futuro di questo presente. E chi non credeva alle visioni, ma era stabile sull’equazione – razionale - di causa-effetto; o su quella etica di delitto-punizione, ora vede che questi canoni non bastano più e che c’è un’eccedenza incontrollabile. Il cosmo si è infranto. Ed anche il mondo, la città e il corpo. “Vuoi essere maschio o femmina”? si chiederà ai bambini. Non c’è più confine e quindi non c’è più paletto morale e neppure antropologico. Siamo in un mondo fatto di vento…un mondo “neo-spiritualista”.
Tale rarefazione alita nell’environment del libro di Ezechiele. Il profeta è in esilio, Gerusalemme sta per essere distrutta e con essa la Residenza di Dio; la sua Gloria lascerà presto il Tempio e abiterà presso i fiumi stranieri… il primo “esiliato” è il Nome di Dio; la prima a mutare è la Sua Presenza: non più inaccessibile allo sguardo, non più Sacra, Separata, Solida e Sicura nella cella del Santo; non più Arca, né Codice di pietra.
“Ci fu un rumore al di sopra del firmamento che era sulle loro teste (…) apparve qualcosa come una pietra di zaffiro in forma di trono e sopra una figura dalle sembianze umane. Da ciò che sembravano i suoi fianchi mi apparve splendido come metallo incandescente e dai fianchi in giù mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore simile a quello dell’arcobaleno fra le nubi in un giorno di pioggia. Così percepii in visione la Gloria del Signore” (Ezechiele 1,25-28).
Dio si fa squarcio di luce passata al cristallo di Newton: sembrava soltanto chiarore, ma era di sette colori, prima li nascondeva nella sua Veste bianca, ora il Cielo è nudo e composto di membra diverse, mentre abbraccia la terra.
Ci sarà un altro Dio, vede Ezechiele; accedervi (la visione della Merkavah) è un’impresa gravosa, perché nessuno ancora Lo conosce. Il profeta usa cifre e suggestioni tratte dal mondo naturale (il firmamento, le pietre preziose, il fuoco, il metallo, l’arcobaleno) per dare paragone al Dio del futuro. Il Suo nuovo “Corpo” uscirà dal futuro e non più dal passato. Il tempo di ri-capitolare si compie. Sopraggiunge quello dell’in-cipienza.
Allora conosceranno che io sono il Signore” Egli dirà spesso nel testo del profeta. Lo conosceranno da un altro kòsmos, quello che ancora deve formarsi e non più da quello che è stato. Ezechiele è un ingegnere, oltre che un agronomo ed un matematico: si diverte a “disegnare” – virtualmente - il nuovo Paese dove si potrà conoscere la nuova Alleanza di Dio. Dalla visione dei suoi occhi uscirà la nuova Sua “presenza”, così come una nuova geografia del Paese (cf. Ezechiele 40-48).
Il futuro è la forma che esce dagli occhi dei profeti: come burro che si forma nel vaso di latte!
La “cosa nuova” che Dio fa e che il profeta realizza germoglia pian piano, con arte, non senza sapienza e quindi memoria. Il passato vi ha gettato, però, il suo “resto”: quel che è necessario per avere un seme da veder fiorire, arandogli intorno il terreno, preparandogli un nuovo giardino.

Il futuro come processo

Qualcuno ha detto in questi giorni dinanzi alle novità della politica italiana: “facciamo largo al nuovo che avanza”. Così fanno anche i profeti, ma essi non intendono il futuro come una fatalità; né uno spazio da occupare, piuttosto come una responsabilità da applicare per innescare PROCESSI.
Ed ecco il libro della speranza che innesca il processo del futuro seguendo lo sguardo di Dio; esso prende il volo nelle pagine più potenti e attuali del profeta Ezechiele.
Un processo che non può essere generato da nessun singolo individuo orwelliano, ma, come lo spartito di un concerto, chiede il concorso di tutti e si sviluppa con un METODO fatto di un ottavario. Otto elementi che - come fossero strumenti musicali ad eseguire un concerto - troviamo descritti nei capitoli 33-37 del grande testo profetico.

Un concerto di metodo


  • Il primo elemento è la PAROLA (di Dio nella bocca del profeta): si chiama RESPONSABILITÀ (8) : l’uomo di Dio è responsabile del destino di tutti, dei giusti e dei malvagi:
“Quando sentirai dalla mia bocca una parola tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: “Tu morirai” e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io chiederò conto a te” (33,8).

Si tratta della responsabilità di chi ha voce nella società: i ministri della democrazia, i cittadini comuni, i giornalisti, i giudici, gli intellettuali, gli opinionisti, i predicatori, i professori, i maestri, i genitori: non si è responsabili solo del proprio destino, ma anche di quello degli altri, parenti o conoscenti, indigeni o stranieri, perché tutti, amici e nemici, fanno parte di un “unico corpo”.

Corrompere la giustizia, diffondere, o rilanciare, le fake news non sono soltanto comportamenti dannosi per la VERITÀ astratta delle cose, né soltanto per chi ne fosse vittima, ma perché mettono in atto un declino di responsabilità verso chi vede, ascolta e legge. Dire e cercare la verità è assunzione e consapevolezza della corresponsabilità che si trova nelle cose che accadono. La verità è un dovere sociale.
La parola di verità crea la FRATERNITÀ; la menzogna la rompe. Il futuro non può avviarsi sulla menzogna, ma ha bisogno di nutrirsi di una parola, sincera, onesta, rispettosa delle persone, costruttiva.


  • Il secondo elemento di metodo di questa cosa nuova che è il futuro (dagli occhi dei profeti) è la FIDUCIA: coinvolge la comunità umana, ma anche la Trascendenza. Dio è l’elemento di trascendenza che pone un limite all’uomo, che dice lo scarto tra l’uno e l’altro, tra l’io e il “tu”, tra l’uomo e suo fratello; lo stesso che c’è tra il passato/presente e il futuro, tra la nascita e il travaglio. Se mancasse la Trascendenza, il mondo sarebbe possesso di pochi sottoposto ad una logica selettiva:
“Com’è vero che io vivo, io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva. Convertitevi dalla vostra condotta perversa. Perché volete perire o casa d’Israele?” (33,11).

Nel presente entra l’interrogativo di Dio rivolto all’umanità divisa e violenta, che devasta la storia umana: Perché tanto male, perché tanta morte? Un futuro migliore ha bisogno di un DIO che ponga questa domanda. Che chieda conto delle stragi (tutte inutili, ma non altrettanto indifferenti), delle vite di ogni creatura… che percuota le coscienze invincibili, che faccia provare vergogna a chi non prova vergogna.


  • Il terzo elemento è: GUARIRE il “paese”, nella prospettiva che diventi EREDITÀ. Risponde alla domanda: chi potrà ereditarlo?
Quale metodo indicato per sperare di avere un futuro per godere la bontà del mondo?
“Abramo era uno solo ed ebbe in possesso la terra e noi siamo molti: a noi è stata dunque data in possesso la terra (…) Così dice il Signore: Voi mangiate la carne con il sangue e vorreste avere in sorte la terra? Voi vi appoggiate sulle vostre spade, compite cose nefande, ognuno di voi disonora la donna del suo prossimo e vorreste avere in possesso la terra? (…) Sapranno che io sono il Signore quando farò della loro terra una solitudine e un deserto, a causa di tutti gli abomini che hanno commesso” (33,24-26.29).

La voracità e l’egoismo insanguinano il paese. I suoi abitanti (alcuni) si autolegittimano ad esserne gli unici eredi. Lo fanno usando gli eserciti (la spada); l’abuso di potere (corrompendo ed abusando delle istituzioni); appropriandosi (anche con il sostegno del diritto senza giustizia!) della parte dell’altro (= la moglie disonorata…) coltivando e esercitando l’odio e il disprezzo degli altri.
È interessante che come indice di una società divisa e violenta, ingiusta e ferita, sia posto un comportamento che riguarda le donne! (cf. anche 2Samuele 3,8).

La serie delle denunce profetiche si applica oggi facilmente alle MAFIE, ai nuovi COLONIALISMI (si pensi all’Africa “comprata” dalla Cina), al disprezzo ecologico che DEVASTANO il Paese/mondo, negando ai figli l’EREDITÀ nel futuro.

Forte è la minaccia che viene da Dio: quella stessa devastazione che essi hanno procurato, pensando di trarne un vantaggio, si rivelerà una nemesi immanente. Resta la Sua speranza, quella di un Dio che crede ancora in tale umanità, ché possa trarre insegnamento dalla rovina e cambiare, in futuro, direzione.


  • Il quarto elemento è TUTTO il POPOLO che è chiamato ad ASCOLTARE la parola del futuro, e a crederci in maniera costruttiva. Purtroppo così dice il Signore ad Ezechiele:
“I figli del tuo popolo parlano di te lungo le mura e sulle porte delle case (…) in folla vengono da te si mettono a sedere davanti a te (alla TV o ad internet!), ma poi non le mettono in pratica, perché si compiacciono di parole, ma il loro cuore va dietro al guadagno. Ecco tu sei per loro come una canzone d’amore, bella è la voce e piacevole l’accompagnamento musicale. Essi ascoltano le tue parole, ma non le mettono in pratica” (33,30-33).

Quando l’esercizio della politica diventa, per il popolo, l’assistere ad uno spettacolo, cliccare un “mi piace” alla faccina dell’uno o dell’altro, come si stesse al mercato, inutile diventa anche la profezia! Politica vuol dire mettersi in gioco per servire tutta la Comunità e non affidare a un avvocato i propri interessi. Pensiamo all’importanza delle scuole di formazione politica, il cui auspicio viene anche dai Vescovi italiani, più volte reiterata nella persona del loro Presidente, Cardinal Bassetti:

“Dove sono le nostre intelligenze, dove sono le nostre passioni? E non è nostalgia, ma una chiamata a una piena intelligenza del tempo che viviamo e di nuova passione per il buono, il bello e il vero. Per la giustizia in un Paese sempre più segnato da solitudini, diseguaglianze e risentimenti, ma ancora e sempre capace di cristiana e civile solidarietà. Per questo è tempo di rinnovare la pedagogia politica che da anni, anche attraverso una miriade di piccole e grandi scuole di formazione al servizio politico, le Chiese diocesane offrono a tutti coloro che, oggi come ieri, hanno imparato che la fede senza le opere – l’impegno per il bene comune – è morta. Il punto è qui. E il dovere”. (Discorso di apertura dell’Assemblea dei Vescovi Italiani 2018).


  • Il quinto elemento essenziale sono i PASTORI che dovrebbero pascere il popolo. Essi sono imprescindibili, nel bene e nel male. Qui il futuro è legato a una denuncia dura sul passato/presente del loro governo:
“Così dice il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele che pascono sé stessi. I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grosse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza”. (34,2-4)

E ancora si legge in Ezechiele:

“Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate le mie pecore, vanno errando le mie pecore su tutti i monti e su ogni colle elevato, le mie pecore si disperdono su tutto il territorio del paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura” (34,6).

L’arte di governare è considerata fondamentale, perché un popolo abbia un futuro. Qui c’è una DECISIONE da parte del profeta: essi debbono smettere di pascere sé stessi, lasciando il popolo perire, ammalarsi, languire, disperare. Quello futuro è un compito POLITICO per rimettere le persone al centro dell’impegno di chi governa. Nella nostra attualità le parole di Papa Francesco all’Europa sono toccanti e altamente significative:

“Riconoscere che l’altro è anzitutto una persona significa valorizzare ciò che mi unisce a lui. L’essere persona ci lega agli altri, ci fa essere COMUNITÀ. La Comunità è il più grande antidoto agli individualismi che caratterizzano il nostro tempo, a quella tendenza diffusa oggi in Occidente a concepirsi e a vivere in SOLITUDINE. Si fraintende il concetto di libertà, interpretandolo quasi fosse il dovere di essere soli sciolti da qualunque legame, e di conseguenza si è costruita una società sradicata priva di senso di appartenenza e di eredità”. (Discorso ai partecipanti alla Conferenza (Re) Thinking Europe 28 Ottobre 2017).
Il messaggio di Francesco all’Europa è chiaro e magnifico: essa deve concepirsi come una FAMIGLIA DI POPOLI, esprimersi come un luogo di solidarietà (e non di uniformità!); essere un’officina di DIALOGO, nella costante impresa di un cammino di umanizzazione.

Il tema del governo riguarda anche la CHIESA: ai pastori Dio ha affidato il Suo popolo ed essi non hanno il permesso di abusarne. Qualora anche i Vescovi e chi esercita l’autorità nella Chiesa pascessero sé stessi, mandando in rovina la Sposa di Cristo, Egli stesso si rimetterà come Pastore, come modello di re che dà la vita e riapre il futuro al suo popolo.

Il testo di Ezechiele è esemplificativo e promuove una Chiesa che non sia parassitaria, non sostituisca, cioè, i propri funzionari al suo legittimo Signore; al contrario: “Una Chiesa che sappia cercare e ascoltare e condividere la vita della gente. Che impari che la fede si trasmette in dialetto e si celebra cantando la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante di Dio” (Evangelii Nuntiandi, 48).

Una Chiesa profetica che sappia porre Gesù al centro e che generare donne e uomini santi; una Chiesa circolare, capace di riconoscere i carismi ed intrecciarli in una rete di ministeri che vadano a formare il Corpo stesso del Signore. Una Chiesa che diventi, tutta insieme, testimone d’Amore, di Gioia, Speranza, Vangelo.


  • Il sesto elemento di metodo per innescare il processo di futuro sono le
RELAZIONI che da IDOLATRICHE dovranno mutare in FECONDE.

Occorre riconoscere l’incapacità di GENERARE figli e futuro a causa della mercantilizzazione di ogni relazione, comprese quelle affettive.
Un ambito di emergenza anche per la Chiesa che si auto-definisce mater et magistra. Partendo dalla sua responsabilità magisteriale ci chiediamo in che modo essa possa oggi assolvervi, se non nella testimonianza di autentiche relazioni. L’unica possibile magisterialità può derivarle dalla testimonianza della fraternità, della stima vicendevole, della dignità di ciascuno e dell’amore e la comunione tra le persone che la formano, l’interazione e la cooperazione delle sue parti e tra i suoi “membri”. Un compito che costringe a ripensare ai rapporti tra chierici e laici, uomini e donne.

No a una Chiesa di zitelli. Solo una Chiesa al femminile potrà avere atteggiamenti di fecondità, secondo le intenzioni di Dio, che ha voluto nascere da donna per insegnarci questa strada di donna (...).“L’importante è che la Chiesa sia donna, che abbia questo atteggiamento di sposa e di madre. Quando dimentichiamo questo, è una Chiesa maschile, senza questa dimensione, e tristemente diventa una Chiesa di zitelli, che vivono in questo isolamento, incapaci di amore, incapaci di fecondità. Senza la donna, la Chiesa non va avanti, perché lei è donna. E questo atteggiamento di donna le viene da Maria, perché Gesù ha voluto così (…) La virtù che distingue maggiormente una donna è la tenerezza, come Maria che diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia: prendersi cura, con mitezza e umiltà sono le qualità forti delle mamme. Una Chiesa che è madre va sulla strada della tenerezza. Sa il linguaggio di tanta saggezza delle carezze, del silenzio, dello sguardo che sa di compassione, che sa di silenzio. E, anche, un’anima, una persona che vive questa appartenenza alla Chiesa, sapendo che anche è madre deve andare sulla stessa strada: una persona mite, tenera, sorridente, piena di amore” (Papa Francesco, Omelia Santa Marta 21 Maggio 2018).

L’ingresso dei laici e delle donne nel processo verso il futuro della Chiesa è urgente ed indispensabile. Ci auguriamo che vengano fatte delle scelte concrete, perché questo accada. Pena ne sarebbe quel futuro stesso.


  • Il settimo elemento di metodo è il CUORE: si deve procedere al trapianto del cuore!

“Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo.

Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati, io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi un cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” “Porrò il mio spirito dentro di voi e i farò vivere secondo le mie leggi (…) abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo ed io sarò il vostro Dio” (36,25-28).

Da un cuore egoista a un cuore plurale, da un cuore di robot – autonomo, ottuso, funzionale e artificiale - a un cuore di carne, aperto, integro, INDIVISO, estroso a poliedrico come la Grazia! Il cuore di carne è fragile, ma capace di giocarsi in amore, di chiedere e stringere legami d’amore, di com-passione, di misericordia, di umiltà, perdono. Esso vive di stupore e si nutre di libertà. Esso può desiderare e volere il bene dell’altro e amare il suo prossimo come sé stesso.


  • L’ottavo elemento è il CORPO: un corpo nuovo, sinfonico, non più somma di ossa e di membra, ma SOGGETTO VIVENTE SPIRITUALE (Ez 37). Un corpo che viene RI-COSTRUITO con la potenza della parola, dello Spirito e della profezia:
“La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare accanto ad esse da ogni parte. Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite. Mi disse: figlio dell’uomo potranno queste ossa rivivere? (…) Egli mi disse: profetizza su queste ossa e annuncia loro: ossa inaridite, udite la parola del Signore (…) ecco io faccio rientrare in voi il mio spirito e rivivrete. “Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò su di voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore. Io profetizzai (…) sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa che si accostavano l’uno all’altro ciascuno al suo corrispondente. Guardai ed ecco apparire sopra di esse i nervi, la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era spirito tra loro.

Ed egli aggiunse: profetizza allo Spirito, figlio dell’uomo (…) Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi, un esercito grande, sterminato”.

“Mi disse: queste ossa sono tutta la casa di Israele. Ecco essi vanno dicendo: le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti. Perciò profetizza e annuncia loro: vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe (…) Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò”. (Ez 37,1-14).

Una descrizione come quella di Ezechiele fa pensare a un evento di transumananza, dove avvengono delle trasformazioni irreversibili e ignote, eppure redentive.

“Nulla può essere conservato se non nella trasformazione. Ogni giorno ci è chiesto di rimettere in gioco tutto. L'umano è un cantiere aperto e inconcluso. In tutti gli ambiti della attività umana assistiamo a un mutamento profondo, al passaggio da un tipo di umanità ad un altro, ad una transumanza. In un panorama di mutazioni epocali, scientifiche e antropologiche, è ancora rinvenibile lo Spirito e dove?” (Ivan NICOLETTO, Transumananze).

Il CORPO può e deve subire MUTAMENTI dovuti allo Spirito. Non c’è da scandalizzarsi. Si tratta di nuove INCARNAZIONI di VITA, FATTE PER AMORE e per la VITA. A quali forme di umanità esse danno vita? A Persone di relazione, di comunione, aperte alla vita eterna.

Il profeta, Figlio dell’Uomo che: “Profetizza allo Spirito” acquista un ruolo COSTRUTTIVO/trasformativo nei momenti dis-trutti e dis-truttivi.

Il Profeta ri-pensa; ri-nnova; ri-corda. In questo modo egli TRASFORMA il “paese”, non lo restaura! La nuova terra promessa sarà fatta di una DIFFERENZA: non vi abiteranno soltanto le Dodici tribù dei figli di Israele, ma anche gli STRANIERI avranno la loro parte. Quella del Profeta Ezechiele è una RESILIENZA CREATIVA.

LA FIDUCIA NEI FIGLI

Geremia era – forse - vecchio quando le parole di Dio risuonarono nei suoi orecchi: Cosa vedi Geremia? E nel caos di una pentola piena di liquido bollente che era inclinata a distruggere il suo popolo, l’infanzia non sopita nella sua anima gli faceva rispondere: “Vedo un ramo di mandorlo” (Ger 1,11).

Lo sguardo dei profeti al futuro non è quello di chi cerca di capire le forme nel buio di una palla di vetro, ma quello che innesta un arco tra le nubi aprendo un processo di futuro, in cui risuonano le sillabe della PROMESSA: “Hai visto bene – replica Dio a Geremia – perché io veglio sulla mia Parola per realizzarla” (Ger 1,12).

Parola che è anello di fiducia ed amore, tra figli e genitori, tra uguali e diversi, tra gli uni e gli altri, tra l’immanenza e la trascendenza, tessuto dei sette colori della PACE.

“Egli convertirà il cuore dei padri verso i figli…” (Malachia 3,24): è l’ultimo versetto della collezione profetica del canone cattolico, cui succederanno i Vangeli.

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“Quando la donna lo vide lo abbracciò e lo tenne stretto.
Oh, gli disse, come sono contenta di vederti.
Ogni tanto la donna gli parlava di Dio.
Lui ci provava a parlare con Dio, ma la cosa migliore era parlare col padre,
e, infatti, ci parlava e non lo dimenticava mai.
La donna diceva che andava bene così.
Diceva che il respiro di Dio è sempre il respiro di Dio,
anche se passa da un uomo all’altro in eterno”

(C. McCARTHY, La strada, Einaudi, Torino 2014 (3) ,217).

1) Si pensi agli “assoluti in terra” di Karl Popper.
2) Cf. Isaia 6,6-7: “Uno dei serafini volò verso di me, tenendo in mano un carbone ardente, tolto con le molle dall'altare. Mi toccò con esso la bocca..”.
3) Autore del romanzo: Il mondo nuovo (1932).
4) Si veda il suo capolavoro pubblicato nel 1949: 1984.
5) Come fenomeno di sconcertante novità anche Gesù fece paura ai suoi contemporanei; “Da Nazareth può forse venire qualcosa di buono?” si chiedeva Natanaele in Giovanni 1,46.
6) Dal libro di Cormac McCARTHY (2005) al film dei fratelli COHEN (2008).
7) Geremia 1,10.
8) “La consapevolezza di dover rispondere del proprio operato e, di conseguenza, l’impegno nell’operare che deriva da questa consapevolezza. Nella parola onere (lat: pondus), viene, invece, accentuata l’idea di impegno, di carico anche gravoso che l’assunzione di una responsabilità può comportare” (Il Nuovo Zingarelli. Vocabolario della Lingua Italiana 2018).

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