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Catherine Aubin La vera vocazione dell’uomo

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La preghiera in piedi come luogo di resurrezione
L'Osservatore Romano 17 gennaio 2017

«Misericordia, che ne sarà dei peccatori?».
Questo grido di san Domenico rivela il dialogo personale, intimo e profondo tra Dio e il fondatore dell’Ordine dei Predicatori. Da questo incontro sgorga la sua preghiera, preghiera di fuoco, preghiera di luce.

Quando san Domenico pregava, i suoi fratelli erano rapiti e affascinati dalla sua vicinanza e dalla sua intimità con il Signore. In effetti tutto il suo essere manifestava la relazione estremamente viva che intratteneva con il Signore: parlava a voce alta, gridava, piangeva, gesticolava. Dopo la morte di san Domenico nel 1221, alcuni fratelli riunirono e illustrarono i loro ricordi, dando loro una forma letteraria e un’espressione iconografica. È così che si sono modellati i nove modi di pregare di san Domenico. Il documento letterario è illustrato da disegni che sono serviti a informare sulla sua preghiera continua. Vediamo Domenico in movimento. Tutti i suoi gesti quali l’inchino, la prostrazione, la posizione in piedi, ci trasmettono l’insegnamento di un santo sulla preghiera e sul ruolo del corpo. Ogni atteggiamento corporale corrisponde a un atteggiamento dello spirito e gli consente di dispiegarsi: i gesti danno forma a ciò che è nascosto e illustrano i moti del cuore. Per esempio, per il primo modo il gesto dell’inchino corrisponde all’umiltà. Nel quinto modo, il santo si è raddrizzato e alzato senza appoggiarsi a nulla, alla maniera di un profeta o di Gesù stesso. Il suo atteggiamento è quello della resurrezione, è in piedi nel suo corpo e nel suo cuore.

Per Clemente Alessandrino, la preghiera in piedi manifesta lo slancio dell’anima verso il Signore. Spiega che il corpo segue il movimento dell’anima: «La preghiera, osiamo dire, è un colloquio con Dio: possiamo anche parlare a voce bassa o persino rivolgerci a Dio in silenzio, muovere le labbra, un grido sgorga comunque dalla nostra anima e Dio non smette mai di ascoltare quel linguaggio interiore. Ecco perché alziamo la testa, leviamo le mani verso il cielo e restiamo in piedi durante le ultime parole dell’orazione comune: il nostro corpo accompagna così lo slancio del nostro spirito».
Rivolgersi a Dio stando in piedi rivela in modo invisibile la presenza dello Spirito che risolleva, che volge verso il Padre. Non è questa l’opera di salvezza del Figlio che ci viene trasmessa nei Vangeli? Pregando in piedi, san Domenico non ci manifesta la presenza del Cristo vivente e operante in lui? La preghiera espressa in tutto il corpo non è il segno visibile della potenza della resurrezione che opera in tutto l’essere?
Attraverso gli episodi della vita di Cristo, con i quali si compiono la salvezza e la deificazione dell’uomo, si manifestano l’eminente ruolo spirituale e il valore riconosciuto da Dio stesso al corpo umano. Cristo guarisce nei vangeli: salva rimettendo in piedi quanti giacciono a terra.
Gesù rimette in piedi la suocera di Simon Pietro: «La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli» (Marco 1, 30-31).
Gesù vede ai bordi della piscina di Betzaetà un uomo che giace su un lettuccio da 38 anni e gli dice: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina» (Giovanni 5, 8). Gesù con questo ordine, «alzati», gli chiede di sollevarsi, di raddrizzarsi dalla «sua curvatura su se stesso». Gesù non lo tocca, non lo prende per mano. L’uomo accoglie il dono di quella parola di Vita, guarisce grazie alla ritrovata fiducia nella sua identità, si alza e cammina. Gesù l’invita a volgere lo sguardo al Padre, a risvegliarsi, ad aprire gli occhi su ciò che lo anima nel profondo del cuore per camminare.
L’incontro con Gesù risolleva sia esteriormente sia interiormente. Gesù rialza toccando, parlando o guardando in un modo unico. Raddrizza chi è curvo con un fine ben preciso: perché quella persona riscopra il suo asse verticale, affinché non resti curva sotto il giogo o qualunque morsa e trovi la forza di donarsi e di servire. Alzarsi, tenere la testa alta, guardare avanti e camminare: è questa la vera vocazione dell’uomo. L’uomo è fatto per stare in piedi, ossia vivente: «La gloria di Dio è l’uomo vivente» dice sant’Ireneo, ovvero un uomo che fissa lo sguardo interiore su Dio per ricevere da Lui la sua vita.
Nel quinto, sesto e settimo modo di pregare, san Domenico è descritto e raffigurato in piedi. Ecco cosa dice il testo del quinto modo di pregare: «Quando era in convento, qualche volta il Santo Padre Domenico si poneva dinanzi all’altare, in posizione ben eretta, senza appoggiarsi né sostenersi ad alcunché». Poco dopo, nel settimo modo, si legge: «Spesso, invece, lo si vedeva, mentre pregava, protendersi tutto verso il cielo, come una freccia scagliata dritta in alto da un arco teso». San Domenico pregava in piedi, senza appoggiarsi a nulla, il corpo dritto e le mani rivolte verso il cielo, come una freccia: perché si protendeva così con tutto il suo essere? Qual è il senso nascosto di questa posizione tanto normale per ogni uomo?
San Domenico in piedi viene paragonato a un profeta. È un atteggiamento di attenzione e che si ritrova per esempio in Geremia. Il suo lamento si leva verso l’Onnipotente, che gli dà l’ordine di alzarsi e di tendere le mani verso di Lui: «Alzati, grida nella notte quando cominciano i turni di sentinella; effondi come acqua il tuo cuore, davanti al Signore; alza verso di lui le mani per la vita dei tuoi bambini» (Lamentazioni 2, 19).
La preghiera in piedi si addice anche a un dialogo con Dio, per esempio, in Ezechiele: «Mi disse: “Figlio dell’uomo, alzati, ti voglio parlare”. Ciò detto, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava» (Ezechiele 2, 1-2). «Allora uno spirito entrò in me e mi fece alzare in piedi ed egli mi disse» (Ezechiele 3, 24). La preghiera in piedi presuppone dunque rapporti di rispetto, di vicinanza e di fiducia tra Dio e l’uomo per stabilire un dialogo.
L’abitudine di stare in piedi per meditare la Parola di Dio san Domenico l’aveva adottata da Gesù stesso che, nella sinagoga, si era alzato per leggere. Il verbo utilizzato per esprimere la posizione in piedi è quello della resurrezione, surgere. Si ritrova nel Vangelo quando i due uomini accanto al sepolcro vuoto dicono alle donne che sono venute per imbalsamare Gesù: «Non è qui, è risuscitato, non est hic sed surrexit» (Luca 24, 6).
Per i primi cristiani stare in piedi è un segno di resurrezione. Di fatto nel giorno del Signore devono pregare in piedi secondo Tertulliano. Perché? Perché Cristo risorto si è alzato dal sepolcro il giorno di Pasqua, e così, stando in piedi per pregare, i cristiani partecipano con tutto il loro essere alla resurrezione di Cristo che li ha liberati dalla schiavitù del peccato e della morte. «Colui che è risorto deve necessariamente stare in piedi nella preghiera, perché colui che risorge si alza, e colui che è morto e risorto con Cristo sta in piedi». «L’usanza di non piegare le ginocchia nel giorno del Signore è un simbolo della resurrezione, con la quale siamo stati liberati, grazie a Cristo, dai peccati e dalla morte», scrive sant’Ireneo.
San Girolamo lo spiega dicendo: «È un tempo di gioia e di vittoria in cui non flettiamo le ginocchia e non ci inchiniamo verso terra, ma in cui, risorgendo con Cristo, siamo sollevati verso l’alto dei cieli». Nel suo Trattato sullo Spirito Santo (374-375) Basilio di Cesarea ricorda a sua volta l’importanza di pregare in piedi e soprattutto nel giorno della Resurrezione. Spiega: «Il primo giorno della settimana preghiamo in piedi ma non tutti ne conosciamo il motivo: non è solo perché, risorti con Cristo e dovendo cercare le cose dell’alto, richiamiamo alla nostra memoria, stando in piedi quando preghiamo, il giorno consacrato alla resurrezione, la grazia che ci è stata donata, ma anche perché quel giorno sembra essere in qualche modo l’immagine del secolo a venire».

A quale invisibile Presenza ci rimanda il corpo in piedi in preghiera? Per i Padri della Chiesa il portamento eretto nella preghiera è dunque essenzialmente una posizione che rimanda a Cristo risorto. Perché non si parla con un morto. La preghiera vissuta come luogo di resurrezione getta le fondamenta teologiche di una concezione della vita spirituale gioiosa e attraente. L’uomo che si alza per pregare mostra dunque la sua fede nella resurrezione e vive già una condizione di «creatura nuova» perché si rivolge a Dio come «a un amico». La preghiera cristiana è l’ambito di un’esperienza privilegiata della presenza di Dio fra noi, appello a vivere le premesse di una resurrezione che il corpo annuncia quando si raddrizza.

Si può notare il capovolgimento che si opera nella preghiera: Dio è spirito, si adora Dio in spirito e verità, ma Lo si può adorare solo in un corpo orientato in un rapporto di salvezza, in attesa della sua trasformazione totale in comunione d’amore. Il corpo reca il segno di Dio perché, nel crearlo, il Padre contemplava già il Figlio che avrebbe assunto la stessa carne. Uomo creato a immagine di Dio significa che il corpo dell’uomo è creato a immagine del Figlio che si è fatto carne, che è morto e risorto nel suo corpo. Per questo il Figlio restituisce al corpo tutta la sua dignità: malgrado i segni della sua disposizione alla morte, il corpo custodisce la vita divina come un tesoro potente in un vaso delicato.

Il corpo riacquista la propria dignità quando la fede nella resurrezione esiste fin dal presente. Ebbene, dalla fede nella resurrezione nasce il cristianesimo, dalla fede nella resurrezione della carne sorge l’intuizione della salvezza che coinvolge la creatura fatta di carne, mente e anima. Il corpo è a somiglianza di Dio perché è capace di contenere lo Spirito e di risorgere. «Se dunque, fin dal presente, i nostri cuori di carne sono capaci di ricevere lo Spirito, perché stupirsi se, al momento della resurrezione, conterranno la vita che darà lo Spirito?».
Pregando con tutto il corpo in diversi modi, il cristiano esprime sempre la stessa verità: la sua esistenza può essere interamente vissuta in Dio e divenire «segno della sua presenza». Dalla maniera corporale di pregare tra i santi si deduce un insegnamento sull’antropologia cristiana, quello dell’uomo che vive in relazione con il Dio vivente e vivificante. O, per dirla con le parole di Giovanni Paolo ii, il corpo rivela l’uomo, è un testimone della creazione, un testimone dell’Amore. Il corpo è un segno e persino un sacramento: consente di vedere l’invisibile. «Figlio della resurrezione» (Luca 20, 36) il cristiano è destinato a incarnare nel mondo lo splendore della nuova creatura e ad annunciare le realtà del Regno a venire manifestandole come già segretamente presenti.
Dunque la resurrezione è davvero il segreto ultimo della preghiera e del mistero della fede: il mistero di Dio che ci apre all’intelligenza dei misteri dell’uomo. «Colui che è stato iniziato alla potenza della resurrezione ha conosciuto il fine per cui, in principio, Dio ha creato tutte le cose».
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