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Lisa Cremaschi Padri Chiesa: Atanasio di Alessandria

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Atanasio di Alessandria

La chiesa d’occidente festeggia Atanasio tra i quattro grandi dottori dell’oriente cristiano e la chiesa greca lo chiamò il “padre dell’ortodossia”.
Quando Ario cominciò a predicare la sua dottrina che riduceva il Figlio di Dio a una pura creatura, una sorta di semidio di grado inferiore al Padre, Atanasio (295-373) era diacono e segretario del patriarca di Alessandria Alessandro e, in tale veste, lo accompagnò al concilio di Nicea (325); tre anni più tardi, alla morte di Alessandro, fu acclamato vescovo a furor di popolo. Già l’anno successivo alla sua nomina, Atanasio fece una visita pastorale nelle regioni sottoposte alla sua giurisdizione e si recò anche nel sud dell’Egitto, in Tebaide, per incontrare Pacomio e la sua comunità. Era convinto che il monachesimo poteva essere di grande aiuto per tutta la chiesa e mostrò un atteggiamento di benevolenza e di interesse per la vita monastica durante tutto il suo ministero. Durante la sua assenza da Alessandria, i vescovi meleziani tentarono di usurpare la cattedra episcopale e al suo ritorno inventarono ogni sorta di accuse per screditarlo presso l’imperatore. Atanasio dovette difendersi a Nicomedia, residenza imperiale, e poté rientrare nella sua diocesi con una lettera di Costantino che condannava i suoi accusatori. Ma intanto gli ariani diffondevano nuove calunnie contro di lui, tra cui quella di aver ucciso un vescovo ariano che era stato invece nascosto dai suoi seguaci. Condannato da un sinodo completamente dominato dal partito ariano, dovette fuggire; si recò a Costantinopoli per parlare direttamente con l’imperatore, ma fu accusato di sabotare in Egitto le ordinanze imperiali e di impedire l’esportazione di grano necessario per la capitale: Fu condannato all’esilio a Treviri; qui collaborò alla diffusione della vita monastica nella diocesi. Alla morte dell’imperatore Costantino, poté tornare nella sua diocesi, ma per poco tempo. Nel 339 i suoi avversari elessero vescovo un ariano e fomentarono gravi disordini in città.. Atanasio si rifugiò a Roma accompagnato da due discepoli di Antonio che impressionarono grandemente la comunità cristiana di Roma. Poté rientrare ad Alessandria soltanto nel 345; vi restò pochi anni. Costretto all’esilio per la terza volta si rifugiò nel deserto presso i monaci. Ritornato ad Alessandria nel 362 vi restò otto mesi; per la quarta volta dovette ripartire per l’esilio. Seguì un altro rientro e un quinto esilio nel 365; ma dopo alcuni mesi il popolo andò a prelevarlo nella località a non grande distanza da Alessandria in cui si era nascosto e lo ricondusse trionfalmente in città. Fu il ritorno definitivo e i sette ultimi anni della sua vita trascorsero in una relativa pace. Morì tra la notte tra il e il 3 maggio 373.
Strenuo difensore della fede di Nicea, dimostrò sempre grande misericordia nei confronti di chi aveva ceduto all’eresia per debolezza, intimorito dalle minacce degli ariani. Convinto che il monachesimo nascente poteva essere di grande aiuto a tutta la chiesa, mostrò un atteggiamento di benevolenza e di interesse per la vita monastica e chiamò diversi monaci al ministero episcopale. A un monaco che non voleva accettare l’ordinazione episcopale scrisse: “Non dire e non credere a chi dice che la carica episcopale è un’occasione di peccato ... Ovunque tu sia, lotta; la corona non dipende dal luogo, ma dalle opere” (Lettera a Draconzio 9)Redasse opere di carattere teologico o storico in polemica con gli ariani, compose alcuni scritti esegetici e spirituali, scrisse lettere dogmatiche o polemiche. Le Lettere festali, che in continuità con una tradizione alessandrina nata nel corso del III secolo, indirizzava alla sua chiesa poco dopo l’Epifania per annunciare la data di Pasqua; divennero anche uno prezioso strumento di catechesi ed esortazione spirituale. L’anno successivo alla morte di Antonio ne narrò la vita in uno scritto dedicato ai monaci d’occidente. Nelle sue opere teologiche Atanasio si ingegna a dimostrare la verità dell’umanità e della divinità di Cristo contro gli ariani; non è un genio speculativo, non costruisce un sistema teologico rigoroso. Atanasio è piuttosto un confessore, un testimone della fede. Al cuore della sua riflessione teologica vi è la conseguenza della vera umanità e divinità di Cristo: la divinizzazione dell’uomo. Il Figlio di Dio “si è fatto uomo perché noi diventassimo Dio” (L’incarnazione del Verbo 54). “Se non ha ricevuto dal Padre la sua divinità e la sua immagine essenziale, non deifica, essendo egli stesso deificato” (Lettera sui sinodi di Rimini e di Seleucia 51). La stessa Vita di Antonio, prima ancora di essere modello di vita monastica, è esempio di vita cristiana, di incarnazione della fede e dell’amore; Antonio è descritto come “uomo di Dio” che ha combattuto la buona battaglia della fede ed è trasfigurato, divinizzato.
Atanasio, a motivo delle sofferenze patite per la fede, è ancor oggi venerato quale martire dalla chiesa copta.

Per saperne di più: Atanasio di Alessandria, L’incarnazione del Verbo, a cura di E. Bellini, Città Nuova, Roma 1976; L’interpretazione dei salmi, a cura di L. Cremaschi, Qiqajon, Bose 1995; Id., Non disertare il ministero, a cura di L. Cremaschi, Qiqajon, bose 1995.

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