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Enzo Bianchi L’amore scandaloso di Dio

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È un Enzo Bianchi particolarmente ispirato quello che firma L’amore scandaloso di Dio, il nuovo libro che esce il 17 marzo da San Paolo e ha per tema la parola-chiave del Giubileo, ossia la misericordia. Già, perché alla solida competenza biblica che lo contraddistingue, il priore di Bose, stavolta più che mai, abbina una scrittura agile e sovente provocatoria. Il libro, infatti, vuol essere un appello a una conversione personale e collettiva alla misericordia, sulla scia di quanto insistentemente chiede papa Francesco.
Il testo parte dalla Scrittura e subito, nelle prime pagine, Bianchi spiega, commentando brani del profeta Osea: «Dio confessa che in lui, nel suo cuore, c’è un sentimento che lo vince, che gli va contro, ed è la misericordia che vince sulla giustizia. Egli è Santo, è Altro da noi, per questo non esegue la giustizia come gli umani: la santità di Dio è innanzitutto misericordia, che si fa sempre anche perdono». E aggiunge: «In un’ermeneutica profonda, la santità di Dio è misericordia, e infatti la santità può splendere dove c’è il peccato, cancellando e perdonando con la sua forza il peccato». In questo suo essere “eccessivo”, quello cristiano si rivela essere «un Dio diverso da quello che pensano gli umani, è un Dio altro, capovolto, “al contrario”».

UN AMORE “ECCESSIVO”
Naturalmente, osserva Bianchi, Dio è giusto, «ma il suo amore misericordioso prevale sulla giustizia». E spiega: «Si è più volte accennato al contrasto tra giustizia e misericordia, ma in verità dovremmo dire che si tratta di un falso problema, che nasce dai nostri schemi umani. (…) Noi facciamo fatica a comprendere ciò che non è umano, ma la giustizia di Dio è al di la di ogni logica di retribuzione e di merito. Noi arriviamo a pensare che la misericordia possa essere un correttivo alla giustizia, ma proprio Dio come giudice degli uomini non è un esecutore della legge, bensì il legislatore stesso. La giustizia di Dio è oltre la giustizia della legge».
Un Dio del genere, il Dio che pienamente è stato rivelato da Gesù, volto della misericordia del Padre –sottolinea Enzo Bianchi – non può non disorientare, addirittura scandalizzare. Persino i credenti. «Dobbiamo confessarlo: ciò che di Gesù ancora oggi scandalizza non sono le sue parole di giudizio, le sue parole severe, a volte dure; non scandalizza neppure il suo operare, perché si riconosce il suo “fare il bene”. No, ciò che scandalizza è la misericordia, interpretata da Gesù in un modo che è all’opposto di quello pensato dagli uomini religiosi, da noi!».
Ed ecco la rasoiata: «Dobbiamo riconoscerlo umilmente: in tutta la storia della Chiesa la misericordia ha scandalizzato, e per questo è stata poco esercitata. Quasi sempre è apparso più attestato il ministero di condanna piuttosto che quello della misericordia e della riconciliazione. Basterebbe leggere la storia con attenzione, soprattutto quella dei Concili, per vedere con quale sicurezza lungo i secoli si è usata la parabola della zizzania, pervertendola. In essa Gesù chiede di non sradicare la zizzania, anche se minaccia il buon grano, e di attendere la mietitura e il giudizio alla fine dei tempi. E invece nella Chiesa si è indicato il nemico, il diverso come zizzania, autorizzando il suo sradicamento, fino alla sua condanna al rogo. O si guardi alle nostre storie personali: quanto ci è difficile perdonare, fare concretamente misericordia, lasciarci commuovere da chi è nel bisogno, fino a fare per lui il bene».

LA MISERICORDIA CI URTA

Il paradosso – osserva il priore di Bose – è che «il messaggio della misericordia non è capito da quanti si sentono giusti, in pace con Dio, mentre invece è compreso e atteso da chi si sente nel peccato, bisognoso del perdono di Dio. I credenti “religiosi” di ieri e di oggi hanno difficoltà a sentirsi fratelli e sorelle dei peccatori, delle peccatrici, perché nella loro vita non hanno commesso peccati “gravi” (…). È stato così durante il ministero di Gesù, è stato così nella storia della Chiesa, è così ancora ai nostri giorni, quando siamo interrogati da papa Francesco proprio sulla nostra capacità di misericordia».
Ancora: «Spesso siamo disposti a fare misericordia se c’è stata punizione, castigo di chi ha fatto il male (e diciamo che questa è giustizia!), se il peccatore è stato sufficientemente umiliato e solo se chiede misericordia come un mendicante. In ogni caso, stabiliamo dei precisi confini alla misericordia (…). Ecco il nostro tradimento del Vangelo, ecco come la misericordia ci scandalizza».


Delitto e castigo la tentazione di noi credenti
di Enzo Bianchi in “la Repubblica” del 15 marzo 2016

Dobbiamo confessarlo: ciò che di Gesù ancora oggi scandalizza non sono le sue parole di giudizio, le sue parole severe, a volte dure; non scandalizza neppure il suo operare, perché si riconosce il suo “fare il bene” (cfr. Mc 7,37; At 10,38). No, ciò che scandalizza è la misericordia, interpretata da Gesù in un modo che è all’opposto di quello pensato dagli uomini religiosi, da noi! A volte sembra che la misericordia sia invocata da Dio, sia augurata e facile da mettersi in atto, e invece — dobbiamo riconoscerlo umilmente — in tutta la storia della chiesa la misericordia ha scandalizzato, e per questo è stata poco esercitata. Quasi sempre è apparso più attestato il ministero di condanna piuttosto che quello della misericordia e della riconciliazione. Basterebbe leggere la storia con attenzione, soprattutto quella dei concili, per vedere con quale sicurezza lungo i secoli si è usata la parabola della zizzania (cfr. Mt 13,24-30), pervertendola. In essa Gesù chiede di non sradicare la zizzania, anche se minaccia il buon grano, e di attendere la mietitura e il giudizio alla fine dei tempi. E invece nella chiesa si è indicato il nemico, il diverso come zizzania, autorizzando il suo sradicamento, fino alla sua condanna al rogo. O si guardi alle nostre storie personali: quanto ci è difficile perdonare, fare concretamente misericordia, lasciarci commuovere da chi è nel bisogno, fino a fare per lui il bene, omettendo di compiere ciò che avevamo pensato contro di lui...
Di più, se è vero che la parola misericordia sembra indicare nella nostra società un sentimento che manca di vigore e di verità — per questo si arriva a dire: «La misericordia, troppo facile!» —, quando poi essa è praticata in modo autentico, in realtà turba, desta obiezioni. Questo perché la misericordia è temibile più della giustizia: «È un ripudio del male in nome della condivisione di un amore». Il messaggio della misericordia scandalizza, non è capito da quanti si sentono giusti, in pace con Dio (e per i quali Gesù non è venuto: cfr. Mc 2,17), mentre invece è compreso e atteso da chi si sente nel peccato, bisognoso del perdono di Dio. I credenti “religiosi” di ieri e di oggi hanno difficoltà a sentirsi fratelli e sorelle dei peccatori, delle peccatrici, perché nella loro vita non hanno commesso peccati “gravi”, quindi si mettono dalla parte dei giusti, di quelli che possono vantarsi di qualcosa presso il Signore: vantarsi di non aver sbagliato gravemente.
È stato così durante il ministero di Gesù, è stato così nella storia della chiesa, è così ancora ai nostri giorni, quando siamo interrogati da papa Francesco proprio sulla nostra capacità di misericordia: misericordia della chiesa, misericordia di ognuno di noi verso chi ha sbagliato o chi ha bisogno del nostro amore. Spesso siamo disposti a fare misericordia se c’è stata punizione, castigo di chi ha fatto il male (e diciamo che questa è giustizia!), se il peccatore è stato sufficientemente umiliato e solo se chiede misericordia come un mendicante. In ogni caso, stabiliamo dei precisi confini alla misericordia, perché pensiamo che certi errori, certi sbagli, certe scelte avvenute nel male e non più riparabili debbano essere punite per sempre dalla disciplina ecclesiastica: per alcuni errori dai quali non si può tornare indietro non c’è misericordia, dunque la misericordia non è infinita, ma può essere concessa solo a precise condizioni...
Ecco il nostro tradimento del Vangelo, ecco come la misericordia ci scandalizza. In altre parole, la sequenza “delitto e castigo”, titolo del celebre romanzo di Fëdor Dostoevskij, è sedimentata dentro di noi, è incastonata nella nostra postura di credenti, di uomini religiosi, come sigillo di una giustizia retributiva che si manifesta come punitiva e meritocratica; ma dovremmo interrogarci se tale modo di pensare ed esprimersi sia conforme al Vangelo di Gesù Cristo! Perché non riusciamo a comprendere che la santità di Dio non splende quando non c’è peccato nell’uomo, ma quando Dio ha misericordia e perdona? Perché non riusciamo a comprendere che l’onnipotenza, la sovranità di Dio si mostra soprattutto perdonando, come attesta l’orazione colletta della 26a domenica del tempo per annum: «Deus, qui omnipotentiam tuam parcendo maxime et miserando manifestas...»? Solo alla luce di questa santità di Dio, di questa sua onnipotenza, si può vivere come strumento di buone opere il «non disperare mai della misericordia di Dio».
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