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Manicardi 17 novembre 2013 XXXIII Tempo O.

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 Fonte: monasterodibose
domenica 17 novembre 2013
Anno C
Ml 3,19-20a; Sal 97; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19


Il messaggio escatologico di questa domenica comprende l’annuncio della venuta del giorno del Signore che sarà di giudizio per gli uni e di salvezza e guarigione per altri (I lettura) e un’esortazione alla perseveranza e alla vigilanza rivolta da Gesù ai suoi discepoli e, attraverso di loro, ai futuri credenti, affinché non si lascino prendere dalla paura e dall’angoscia della fine di fronte a eventi catastrofici e a persecuzioni (vangelo).
Lungi dall’essere segno di una pretesa imminente fine del mondo, questi eventi vanno accolti come occasione di martyría (Lc 21,13), di testimonianza. Nel testo evangelico odierno non si tratta della fine del mondo, ma di ciò che avviene “prima” (Lc 21,9.12), nella storia, che appare così il tempo della faticosa perseveranza.

Luca sottolinea la diversità di sguardo che Gesù da una parte e “alcuni” dall’altra portano sul tempio. Se questi sconosciuti e innominati ammirano la dimensione estetica delle “belle pietre” (Lc 21,5) del tempio e i doni votivi che lo adornano, Gesù ne vede con sguardo disincantato e lucido la fine prossima. Come il tempio (e il suo sistema di offerte e di santificazione), anche tutte le costruzioni e realizzazioni più sante e spirituali dell’uomo sono caduche, finite. Non sono esse a dover trattenere lo sguardo e l’attenzione, ma il Signore che viene e di cui esse vogliono essere solo un segno.

Nei tempi della storia il cristiano deve allenarsi al discernimento. Anzitutto il discernimento come opposizione all’inganno. Occorre infatti riconoscere i “molti” che si presenteranno come detentori della verità e portatori della rivelazione, che usurperanno il titolo solo cristologico “Io sono” (Lc 21,8) per indurre qualcuno a seguirli. Lo spazio religioso ed ecclesiale è anche scenario di inganni e di imposture che si manifestano anzitutto con la loro pretesa di verità assoluta e non discutibile. Il cristiano è chiamato a discernere e a saper dire dei no: il comando “non seguiteli” è altrettanto forte del comando dato altre volte da Gesù: “seguitemi”. Occorre sempre diffidare di chi pretende di sapere quale sia la volontà di Dio sulle persone e imporla loro. 

Inoltre si tratta di discernere guerre e sommovimenti storici, così come catastrofi e disastri naturali, senza pensarli come eventi annunciatori della fine del mondo (cf. Lc 21,9-11). Il discernimento qui è attiva lotta contro la paura e la potenza inibente del terrore (“Non vi terrorizzate”: Lc 21,9). E conduce all’umiltà di chi riconosce che il proprio tempo non è la totalità del tempo, che la propria vicenda non è la totalità della storia e che la propria fine non coincide con la fine di un tempo e di una storia che superano ciascun uomo.

La storia diviene così per il credente il luogo di esercizio della perseveranza e della pazienza. Persecuzioni e tradimenti, ostilità anche da parte degli amici e dei famigliari potranno segnare la vita di coloro che aderiscono al Messia Gesù, ma grazie alla sofferta perseveranza essi potranno custodire la loro anima (cf. Lc 21,19). Mentre esperimentano la fine di relazioni e fedeltà, mentre intravedono la loro stessa fine, essi possono conoscere la salvezza delle proprie vite e trarre come bottino, dalla battaglia che la vita e la storia impongono loro, la loro anima (cf. Ger 45,5).

Ci sono tempi difficili e bui in cui al credente è chiesto semplicemente di resistere, di rimanere saldo, di custodire l’interiorità, di mantenere la fede, di salvaguardare la propria umanità, di preservare la propria anima dal caos e dalla confusione. E questo sarà come chicco di grano caduto a terra che darà frutto. Scrisse Dietrich Bonhoeffer in tempi particolarmente duri e difficili, dal carcere di Tegel nel 1944: “Noi dovremo salvare, più che plasmare la nostra vita, sperare più che progettare, resistere più che avanzare. Ma noi vogliamo preservare a voi giovani, alla nuova generazione, l’anima con la cui forza voi dovrete progettare, costruire e plasmare una vita nuova e migliore”. La perseveranza che salva l’anima non è dunque nulla di intimistico, ma atto della responsabilità storica di chi osa pensare il futuro oltre e dopo di lui.

LUCIANO MANICARDI
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