Riflessioni sulle letture Natale notte (Manicardi)
domenica 25 dicembre 2011
Anno B
Is 9,1-3.5-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14
Is 9,1-3.5-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14
L’Eucaristia della notte di Natale celebra il Cristo risorto e veniente nella gloria facendo memoria della sua nascita nella carne. Se nella notte pasquale cantiamo che “Cristo è veramente risorto!”, in questa notte cantiamo che il Risorto è veramente venuto nella carne umana condividendo il cammino di ogni uomo. Dio si è fatto carne con la nascita, è divenuto corpo, il corpo fisico di Gesù di Nazaret, e ora questo corpo crocifisso e risorto lo attendiamo come corpo glorioso universale e cosmico, perché la sua salvezza raggiunga tutti gli uomini (II lettura) e la sua pace si estenda su tutta la terra (vangelo). Mentre contempliamo il “Dio-con-noi” (Mt 1,23), attendiamo il “Dio-con-loro” (Ap 21,3).
Annunciata profeticamente dalla rinascita gloriosa delle zone settentrionali d’Israele un tempo umiliate (I lettura), la nascita di Gesù a Betlemme di Giudea (vangelo) è l’evento storico che sta alla base della rinascita del credente che, in Cristo, rinnega l’empietà e vive con sobrietà e giustizia in questo mondo (II lettura).
Il mistero dell’incarnazione celebrato nella notte di Natale rinvia direttamente al mistero dell’amore di Dio. Il Dio che si fa uomo è simile a quel re che voleva sposare una ragazza poverissima e di infime origini e, per non umiliarla in alcun modo, si fece povero come lei divenendo anch’egli un servo e coronando così il suo sogno d’amore. Scrive Søren Kierkegaard a commento di questa storiella: “Questa è l’insondabilità dell’amore, il fatto di non diventare per scherzo, ma seriamente e veramente uguale all’amato… Ogni altro tipo di rivelazione sarebbe un’impostura per l’amore di Dio”.
La seconda lettura, cantando “la grazia di Dio apparsa tra gli uomini, che ci insegna a vivere con sobrietà in questo mondo attendendo la beata speranza e la manifestazione della gloria di Gesù Cristo” (cf. Tt 2,11-13), mostra il riflesso esistenziale dell’incarnazione per i credenti: si tratta di assumere la vita come vocazione e compito; la storia come responsabilità; la speranza del Regno come magistero anti-idolatrico.
Mentre l’imperatore Cesare Augusto, che godeva di titoli divini, dispiega il suo potere di controllo su tutti e ciascuno nel mondo ordinando un censimento della terra abitata, Dio manifesta la sua signoria sulla storia attraverso l’evento “invisibile” della nascita di un bambino che è il Salvatore, il Cristo Signore. In lui tutti gli uomini sono chiamati a rinascere e in lui tutto il mondo dovrà essere intestato, ricapitolato. Appoggiandosi su un’antica versione greca (detta Quinta) del Sal 87,6 Eusebio di Cesarea, nel suo Commento ai Salmi, scrive: “‘Nel censimento dei popoli, questi nascerà là’ (Sal 87,6). Chiaramente ha fatto riferimento al censimento durante il quale il nostro Salvatore e Signore è nato, come mostra l’evangelista dicendo (segue la citazione di Lc 2,1)”.
Al censimento che si propone di contare i sudditi dell’impero (per motivi militari e fiscali), si oppone il popolo di Dio, il popolo dei santi che solo Dio conosce e di cui nessuna grandezza storica, religiosa o profana, può farsi padrona. Il popolo dei redenti nell’Apocalisse è descritto come “moltitudine che nessuno poteva contare” (Ap 7,9) e il censimento del popolo di Dio ordinato da David nell’Antico Testamento viene condannato da Dio (cf. 2Sam 24; 1Cr 21). La forza della chiesa non sta nel numero dei suoi adepti, nei numeri esibiti che dicono forza e prestigio, né la chiesa è chiamata a schierarsi tra le forze attive e potenti nello spazio pubblico ponendo sul piatto della bilancia “i numeri” che può vantare. E questo non solo perché la massificazione implicita nella riduzione della persona a numero è sempre pericolosa, ma anche perché solo Dio scruta il cuore umano e conosce la fede dell’uomo, la quale abita una dimensione di mistero che non può essere violata.
Al suo nascere Gesù appare tra gli emarginati, tra le “vite di scarto”, tra coloro che non destano interesse e non contano. E non su di lui si manifesta la luce della gloria divina, ma sui pastori (cf. Lc 2,9): essi ne hanno bisogno per riconoscere la presenza di Dio nella povertà e debolezza della carne umana. E con loro, anche noi ne abbiamo bisogno.
Fonte: monasterodibose
Annunciata profeticamente dalla rinascita gloriosa delle zone settentrionali d’Israele un tempo umiliate (I lettura), la nascita di Gesù a Betlemme di Giudea (vangelo) è l’evento storico che sta alla base della rinascita del credente che, in Cristo, rinnega l’empietà e vive con sobrietà e giustizia in questo mondo (II lettura).
Il mistero dell’incarnazione celebrato nella notte di Natale rinvia direttamente al mistero dell’amore di Dio. Il Dio che si fa uomo è simile a quel re che voleva sposare una ragazza poverissima e di infime origini e, per non umiliarla in alcun modo, si fece povero come lei divenendo anch’egli un servo e coronando così il suo sogno d’amore. Scrive Søren Kierkegaard a commento di questa storiella: “Questa è l’insondabilità dell’amore, il fatto di non diventare per scherzo, ma seriamente e veramente uguale all’amato… Ogni altro tipo di rivelazione sarebbe un’impostura per l’amore di Dio”.
La seconda lettura, cantando “la grazia di Dio apparsa tra gli uomini, che ci insegna a vivere con sobrietà in questo mondo attendendo la beata speranza e la manifestazione della gloria di Gesù Cristo” (cf. Tt 2,11-13), mostra il riflesso esistenziale dell’incarnazione per i credenti: si tratta di assumere la vita come vocazione e compito; la storia come responsabilità; la speranza del Regno come magistero anti-idolatrico.
Mentre l’imperatore Cesare Augusto, che godeva di titoli divini, dispiega il suo potere di controllo su tutti e ciascuno nel mondo ordinando un censimento della terra abitata, Dio manifesta la sua signoria sulla storia attraverso l’evento “invisibile” della nascita di un bambino che è il Salvatore, il Cristo Signore. In lui tutti gli uomini sono chiamati a rinascere e in lui tutto il mondo dovrà essere intestato, ricapitolato. Appoggiandosi su un’antica versione greca (detta Quinta) del Sal 87,6 Eusebio di Cesarea, nel suo Commento ai Salmi, scrive: “‘Nel censimento dei popoli, questi nascerà là’ (Sal 87,6). Chiaramente ha fatto riferimento al censimento durante il quale il nostro Salvatore e Signore è nato, come mostra l’evangelista dicendo (segue la citazione di Lc 2,1)”.
Al censimento che si propone di contare i sudditi dell’impero (per motivi militari e fiscali), si oppone il popolo di Dio, il popolo dei santi che solo Dio conosce e di cui nessuna grandezza storica, religiosa o profana, può farsi padrona. Il popolo dei redenti nell’Apocalisse è descritto come “moltitudine che nessuno poteva contare” (Ap 7,9) e il censimento del popolo di Dio ordinato da David nell’Antico Testamento viene condannato da Dio (cf. 2Sam 24; 1Cr 21). La forza della chiesa non sta nel numero dei suoi adepti, nei numeri esibiti che dicono forza e prestigio, né la chiesa è chiamata a schierarsi tra le forze attive e potenti nello spazio pubblico ponendo sul piatto della bilancia “i numeri” che può vantare. E questo non solo perché la massificazione implicita nella riduzione della persona a numero è sempre pericolosa, ma anche perché solo Dio scruta il cuore umano e conosce la fede dell’uomo, la quale abita una dimensione di mistero che non può essere violata.
Al suo nascere Gesù appare tra gli emarginati, tra le “vite di scarto”, tra coloro che non destano interesse e non contano. E non su di lui si manifesta la luce della gloria divina, ma sui pastori (cf. Lc 2,9): essi ne hanno bisogno per riconoscere la presenza di Dio nella povertà e debolezza della carne umana. E con loro, anche noi ne abbiamo bisogno.
LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno B
© 2010 Vita e Pensiero
Fonte: monasterodibose