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"Da dove veniamo?". Bruno Forte (Genova Palazzo Ducale 19 gennaio 2011)

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mercoledì 19 gennaio, ore 17.45
Genova - Palazzo Ducale
Sala del Minor Consiglio

Cristianesimo

Le diverse culture hanno sempre cercato di rispondere alla domanda "Da dove veniamo?".  
Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, inaugura il ciclo La creazione e le origini del mondo

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“La creazione e le origini del mondo” è il tema scelto quest’anno per gli incontri che si svolgeranno a Palazzo Ducale, a cura della Fondazione per la Cultura del Ducale in collaborazione con il Centro studi Antonio Balletto.
Il primo appuntamento si è avvalso del prestigioso intervento di S.E. Mons.Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, insigne teologo nonché autore di libri di preghiere e di poesia, membro del Pontificio Consiglio per la Cultura e della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo. La sua dotta lezione ha introdotto a uno sguardo sulla creazione dal punto di vista cristiano, a  cui faranno seguito altri interventi che apriranno alla comprensione dello stesso tema, osservato da altre visuali religiose, come induismo, buddismo, ebraismo e islam, per citarne alcune.
Il relatore ha presentato la sua analisi come un percorso a tappe all’interno di una chiesa: dapprima una sosta nel pronao e poi, attraverso due grandi campate, l’arrivo all’abside.
Per affrontare la grande domanda su noi stessi, che tutti si pongono prima o poi, credenti e non, ha paragonato questo punto di partenza al pronao degli antichi templi, o meglio, all’atrio dei gentili, lo spazio del tempio di Gerusalemme a cui tutti potevano accedere e ha ricordato come punto fondamentale la necessità di essere guidati piuttosto da una sapienza dell’amore che da un amore della sapienza. Mentre questo, infatti, non è che un esercizio intellettuale e aristocratico, l’altra è un qualcosa che ci coinvolge, che indica la presenza di un amore che precede le origini della storia. In questo senso, custode dell’inizio è il silenzio, perché nulla può dirsi di ciò che ci precede e ci supera. Dobbiamo dunque “essere pronti a porre domande che non troveranno risposta, tutti pellegrini davanti a un mistero”, consapevoli del fatto che la ragione non fonda se stessa ma rimanda a una rivelazione, come Schelling ben indicava col titolo del suo saggio: “Philosophie der Offenbarung”.
“Dobbiamo avvicinarci in punta di piedi all’inizio, percepire le agonie della vita che ci accomunano tutti, perché gli uomini sono diversi nel possesso ma accomunati nella povertà”. Siamo mendicanti, diceva Lutero.
Accostarci dunque alla Bibbia come a quel libro in cui troviamo l’apertura a un “novum” che ci viene da altrove, un pensiero “altro”. Nella Bibbia ci viene dischiuso un confine, al di là del quale troviamo un Altro che io credente riconosco come il Dio vivente, ma che interessa tutti, credenti e non credenti.
Dal pronao ci introduciamo allora nelle due grandi campate dove il relatore ha illustrato due tavole relative all’Antico e al Nuovo Testamento. Nella prima, vengono presentati gli aspetti biblici da sottolineare in riferimento alla creazione. Il pensiero della creazione è un racconto con lode al creatore, che non si distingue da altri racconti mitologici, ma: “dove sta il diverso?” si è chiesto il relatore, spiegando che nella Bibbia tutto è costruito a partire da un Dio presente, che rimanda a un prima, ed è questo che dà senso all’alleanza. C’è come una pre-storia, “Vorgeschichte”, che pone le premesse per l’alleanza. La creazione avviene in sei giorni, ma l’unica realtà di cui si dice che è santa, kadosh in ebraico, è il sabato. Dio santifica il tempo, perché tutto ha un senso dentro al divenire, al vivere nel tempo: noi siamo figli della storia perché Dio entra nella storia (mentre per il musulmano, per inciso, Dio sta in cielo). Dunque l’essere nella Bibbia è sempre un essere storico.
La creazione che culmina nel sabato indica che essa è orientata a un fine, al sabato eterno, che per i cristiani sarà la domenica, ottavo giorno nel quale tutto si compierà nella piena partecipazione al mistero pasquale.
Siamo orientati, quindi, a una patria, la “Heimat” della filosofia tedesca, a cui siamo destinati, che possiamo rifiutare, ma verso cui non possiamo non andare. A tutte le creature è stata data una dignità infinita perché, dice la Bibbia utilizzando significativamente l’ebraico “Tov”, ogni opera è bella e buona e la nostra bellezza è la nostalgia, che è in noi, del totalmente altro. Tutto questo, però avviene senza che si confonda Dio e il mondo, perché la creazione è un’azione, non deducibile né riducibile, del creatore che l’ha compiuta ex nihilo.
L’antropocentrismo, a volte interpretato come un eccessivo dominio dell’uomo sulla natura, è solo da intendersi nel senso che esiste una corresponsabilità nei confronti del creato, voluta da Dio che ha affidato all’uomo la cura e la salvaguardia di esso. Emerge, infine, dal racconto biblico della creazione, una straordinaria parità uomo/donna che va evidenziata: una piena unità tra i due sul piano della dignità.
La seconda tavola presenta poi la posizione cristiana rispetto alla creazione. La fede cristiana ne assume il racconto in quanto “tutto è stato creato per Cristo e in vista di Lui”, dunque la creazione non è avvenuta fuori di Dio ma in Dio, anzi “tutto avviene in Dio, in cui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”. Il cristianesimo introduce il molteplice nell’uno. La cosa veramente nuova è il superamento del cartesiano “cogito, ergo sum” in “cogitor, ergo sum”, cioè sono pensato, sono in Dio. Il mondo è oggetto dell’infinito amore del Dio che è Agape, che lo crea e lo ricrea. Non è un Dio panteisticamente presente in tutto, ma tutto è presente in Dio.
No dunque al nichilismo (negazione di ogni valore e verità), al manicheismo (dualismo bene/male), al monismo (mondo e Dio assimilati), ma tutto esiste ex nihilo e nulla esiste al di fuori di Dio. Nello stesso tempo si arriva al no ad ogni dualismo perché nessuno poteva contrapporsi all’atto radicale di libertà della creazione: da nulla Dio è stato motivato a creare, se non dalla gratuità.
Una posizione di apertura è stata poi espressa da Mons.Forte, nei confronti della teoria dell’evoluzionismo di Darwin, sulla quale già Giovanni Paolo II si era pronunciato positivamente.
Nulla vieta di credervi, infatti, essendo “più che plausibile”, come l’ha definita il relatore, purché venga sostenuta dall’atto d’amore iniziale. L’atto creatore, fin dall’inizio, è un atto intratrinitario nell’atto d’amore del Figlio e il mondo è in Dio, non è ad extra.
In conclusione, giunti per così dire all’abside nel percorso dentro la navata, il relatore ha messo a fuoco che la nostra vocazione è l’amore, vivere per l’Altro e per gli altri. L’infelicità più grande è non amare, non esserne capaci e non essere amati.
Con un’immagine Bruno Forte ha suggellato la sua avvincente relazione ricordando che “siamo, come un bimbo nel grembo materno, nel grembo di Dio. La notte del grembo ci circonda”. Come un bimbo non vede la madre ma la percepisce, vive in lei e lei in lui, così noi siamo in Dio ma non lo vediamo. La visione verrà al momento della nascita al cielo: il dies natalis, appunto.

Paola Radif


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