Enzo Bianchi "La fatica di piangere"
Noi pensiamo abitualmente che gli occhi siano quelle feritoie del nostro corpo che permettono l’esercizio di uno dei cinque sensi, la vista. Osservazione vera ma insufficiente, perché gli occhi non sono solo destinati a vedere ma anche a comunicare: sono infatti eloquenti. E tra le possibilità di comunicazione c’è il pianto. È significativo che anche gli occhi dei non vedenti possono piangere.
Le lacrime compaiono inumidendo l’occhio, il quale gravido a un certo punto le lascia colare ed esse scendono sul viso e lo attraversano.Le lacrime sono misteriose, la loro sorgente è nascosta, eppure quando spuntano hanno il potere di destare sentimenti, ispirare gesti in chi ne è testimone, dicono qualcosa che è più performativo di una parola. Piangere è il gesto universale che può esprimere tanti e diversi sentimenti: dalla disperazione alla gioia e all’esultanza. La saggezza popolare si esprimeva non a caso con brevi frasi: “Piangi che ti fa bene! ... Piangi che ti aiuta a resistere! ... Piangi che Dio conta le tue lacrime!”. Ma oggi si piange poco, facciamo fatica a permettere che gli altri ci vedano in pianto, anzi spesso anche nel dolore abbiamo gli “occhi secchi”.
Socrate, secondo Platone, era critico sulle lacrime dei suoi amici che assistevano al suo suicidio: solo Fedone piangeva! E nel mondo latino Marco Aurelio, il sapiente imperatore, propone l’apatia, l’atarassia come arte che vince il pianto. No, le lacrime sono la manifestazione dei sentimenti umani. In realtà la secchezza degli occhi, oggi attestata, fa parte di un’anestesia generale, l’indifferenza che nasce dall’abitudine a vedere lo spettacolo del male. Roland Barthes, nei suoi Frammenti di un discorso amoroso (1977), si chiedeva: “Chi scriverà la storia delle lacrime? ... Da quando gli uomini hanno smesso di piangere? Che ne è della sensibilità?”.
Eppure dovremmo saperlo: Sunt lacrimae rerum (Eneide I,462), cioè siamo immersi nelle lacrime di tutte le cose perché tutte le creature piangono... e molti, infiniti sono i motivi per piangere: dal dolore fisico a quello psichico, dal venirci incontro della morte alla caduta e al fallimento di una vita, oppure per la fine dell’amore che speravamo durasse per sempre.
Dovremmo ritrovare la certezza che nessuna lacrima andrà perduta, allora ritorneremo a piangere.
Nella grande tradizione cristiana esistono anche le lacrime del pentimento. Oggi di fronte al male commesso si rifugge dalla responsabilità, si ha paura di portare una colpa. L’ossessione della colpevolizzazione ha fatto sparire il senso della colpa. Eppure il riconoscimento fino al pianto, è un’esperienza decisiva per percorrere il cammino del cambiamento. Ma oggi solo se il male che facciamo è conosciuto proviamo vergogna, altrimenti non assumiamo nessuna responsabilità.
E non dimentichiamo: l’essere umano quando è orgoglioso non piange, quando è cattivo non piange, quando è indifferente non piange.