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Massimo Recalcati "La politica e il modello influencer"

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La Repubblica, 19 gennaio 2024 

Nel Novecento abbiamo conosciuto la massa come un corpo compatto e acefalo cementato dalle grandi ideologie totalitarie (fascismo, nazismo, stalinismo). 

L’appartenenza identitaria a questo corpo imponeva la rinuncia al pensiero critico in cambio di una appartenenza che solidificava l’esistenza sottraendola all’instabilità. Per Freud si trattava di una identificazione verticale a un Io ideale che prolungava sul piano collettivo l’idealizzazione individuale del padre edipico. La psicologia delle masse nel Novecento si costruiva interamente sulla nostalgia per il padre onnipotente dell’infanzia. La sua conformazione rigidamente gerarchica implicava che il posto apicale del padre fosse occupato dal Duce, dal Fuhrer o dal capo del partito; il suo sguardo ipnotico collegava il leader al potere senza freni del padre primigenio. La massa si strutturava come un suddito collettivo devoto che affidava a occhi chiusi la sua esistenza alla volontà titanica di un padre-padrone. 

Una chiara trasformazione della massa si produce con l’affermazione della cosiddetta società dei consumi a partire dagli anni Sessanta. Lo sguardo infatuato del leader e il carattere seduttivo della sua voce, vengono sostituiti dalle serie anonima delle merci, dei gadget, dagli oggetti-feticcio che i nuovi mercati mettono illimitatamente a disposizione. Si tratta di un nuovo totalitarismo che non fa più perno sulla nostalgia del padre e sulla sua trasfigurazione esaltata, ma sull’inedito potere idolatrico dell’oggetto. Pasolini ha sintetizzato questo passaggio attraverso le una doppia mutazione antropologica: quella del suddito nel consumatore e quella della società monoteista, istituita su di una gerarchia verticale con un solo vertice, in una società politeista fondata sulla diffusione orizzontale di quei nuovi dei che sono divenuti gli oggetti di consumo. L’effetto di questa doppia mutazione provoca lo sbriciolamento del corpo compatto della massa ideologica del Novecento. 

Il movimento più recente della globalizzazione ha prolungato e radicalizzato questa tendenza attraverso l’universalismo dei mercati e la crisi definitiva delle ideologie che avevano orientato le masse occidentali nel Novecento. Il nuovo totalitarismo dell’oggetto implica, infatti, la dissoluzione dell’identificazione verticale al capo e l’emergere di nuove forme di assoggettamento che non prevedono più la seduzione del padre-padrone ma l’illusione salvifica promossa dalla feticizzazione religiosa dell’oggetto di consumo. 

La novità degli ultimi anni è quella della proliferazione di un nuovo modello di leadership che non ha più alcun riferimento all’appartenenza ideologica ma che si innesta sulla doppia mutazione che Pasolini aveva segnalato a suo tempo. I nuovi leader politici sembrano avere adesso come modello gli influencer, i quali esercitano un potere di condizionamento su milioni di persone che però non riguarda più le grandi scelte sociali, le opzioni politiche o il conflitto tra diverse concezioni del mondo, ma che investono invece le forme collettive del consumo, ivi compreso quello elettorale. È il punto di massima convergenza tra le nuove leadership politiche e gli influencer: la ricerca spasmodica del consenso e la cura della propria immagine, il culto individualistico della personalità che sostituisce il riferimento più ampio ai valori collettivi, l’ammiccamento seduttivo ai contenuti e alle idee. Si tratta di una leadership disossata, evanescente che non ha più alcun rapporto etico con la parola poiché ne cambia la sostanza seguendo ogni volta la direzione del vento prevalente. 

La necessità vitale della raccolta del gradimento popolare prevale su ogni altra considerazione. Come gli influencer propongono i loro prodotti ponendo a garanzia la loro immagine lo stesso fanno le nuove leadership politiche. È una delle radici fondamentali del populismo contemporaneo che lo differenzia storicamente da quello che si è determinato attraverso i fascismi del Novecento. In questo caso non si tratta più dell’adunata paranoica contro il nemico ideologico, ma dell’appello al popolo contro la politica descritta come luogo di corruzione di degradazione della vita pubblica e come virus che avvelena la società. Se però il fenomeno degli influencer è in continua crescita, la potenza delle leadership politiche appare in costante declino come dimostra il fenomeno dell’astensionismo elettorale e più in generale quello decisamente cruciale della disaffezione di massa nei confronti della politica. A segnalare non solo la già nota atomizzazione delle masse, ma una divaricazione tra il mondo reale e quello divenuto paradossalmente virtuale della politica. La sua subordinazione ai grandi poteri economici rafforza questa tendenza infausta. Ma è evidente che il grande tema dell’evaporazione della politica non può essere risolto dall’appiattimento della politica stessa sul paradigma dell’influencer. Si tratta di una scorciatoia populista che promette solo sciagure. 


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