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Manicardi - 12 maggio 2013 Ascensione del Signore

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Fonte: monasterodibose
domenica 12 maggio 2013
Anno C
At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28; 10,19-23; Lc 24,46-53


Secondo il vangelo l’ascensione di Cristo è accompagnata da una benedizione (Lc 24,51: “Mentre Gesù benediceva i discepoli, si staccò da loro e fu portato verso il cielo”) e secondo la prima lettura da una promessa (At 1,11b: “Gesù verrà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”): con l’ascensione, infatti, il Signore fa dono all’umanità della sua presenza in una forma nuova (benedizione) e non abbandona i suoi, ma verrà nuovamente per incontrarli (promessa).
La promessa e la benedizione dell’ascensione impegnano la chiesa nella storia a testimoniare la presenza del Risorto e ad attendere la sua venuta gloriosa. Testimonianza e attesa sono i riflessi ecclesiali e spirituali dell’evento dell’ascensione come promessa e benedizione.

Il racconto dell’ascensione negli Atti degli apostoli stabilisce una continuità tra la venuta gloriosa del Signore e il suo camminare storico (il verbo usato per dire l’andata di Gesù verso il cielo è lo stesso che indica il cammino che egli ha compiuto lungo le contrade della Galilea e della Giudea). L’Asceso al cielo è il Veniente ed è colui che passò tra gli uomini facendo il bene e guarendo: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, verrà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1,11). Venuta escatologica e cammino quotidiano di Gesù sono in stretta continuità: per conoscere, confessare e testimoniare il Veniente non occorre guardare in cielo, ma ricordare i passi compiuti da Gesù sulla terra. L’umanità di Gesù attestata dai vangeli è il magistero che indica ai cristiani la via da percorrere per testimoniare colui che, asceso al cielo, non è più fisicamente presente tra i suoi e verrà nella gloria.

L’ascensione è presentata da Luca come un distacco, una separazione di Gesù dai suoi. Ma si tratta di un distacco che prelude a una forma di presenza altra di Gesù presso i suoi. Presenza di cui i discepoli sono costituiti testimoni. E il testimone è creato dalle Scritture e dallo Spirito santo: per i discepoli si tratta di testimoniare lo “sta scritto” (cf. Lc 24,46-48) e di accogliere il dono dello Spirito (cf. Lc 24,49). Ecco la chiesa come memoria di Cristo tra gli uomini grazie alle Scritture e allo Spirito. Se etimologicamente il termine mártys (testimone) rinvia a una radice che tra i suoi significati ha anche quello di ricordare, questo ricordo non è però esaurito in una dimensione psicologica, ma riveste anche una dimensione teologale e spirituale. È ricordo che diviene presenza, attualità, storia, e questo nel volto dei santi, i quali danno un volto a Cristo nel tempo della sua assenza fisica, fino al suo ritorno. E in quanto testimonianza di Cristo è testimonianza del passato (colui che è venuto nella carne) e del futuro (colui che verrà nella gloria). È dunque profezia. Testimoniare è dare un volto a Colui che non è visibile. La testimonianza non è dunque quantitativamente misurabile, ma si situa sul piano ineffabile dell’essere: il volto è l’unica icona del divino. 

L’ascensione parla di un distacco che si apre su una nuova comunione: la fine di tutto diventa l’inizio di una storia nuova. La presenza sottratta diventa presenza donata attraverso la responsabilità del credente di dare testimonianza. Ciò che in termini teologici e spirituali è espresso dal vangelo dicendo che l’ascensione è una benedizione, in termini antropologici può essere tradotto (per quanto imperfettamente e solo per analogia) come elaborazione del lutto: colui che se n’è andato è veramente morto, non c’è più, non lo tocco più (“Non mi toccare”: Gv 20,17) e non lo vedo più (“Gesù sparì dalla loro vista”: Lc 24,31), ma la sua presenza vive in me, è interiorizzata. Anzi, la presenza di Cristo vive nella chiesa, e l’Eucaristia, luogo in cui passa e fiorisce lo Spirito, è il memoriale in cui i nostri sensi sono nuovamente posti di fronte alla sua presenza attraverso i segni del pane e del vino eucaristici, della Parola annunciata nelle Scritture, dei volti dei fratelli e delle sorelle radunati nell’assemblea. È il luogo che rinnova la testimonianza dei cristiani.

LUCIANO MANICARDI
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