Mail


Vito Mancuso “Perchè Gesù amava i poveri”

stampa la pagina

«È impossibile dare una sola interpretazione del Discorso delle Beatitudini di Gesù. Di certo, la predilezione per gli ultimi era dovuta alla loro capacità di accettare un regno nuovo».

Tra le parole più famose e più importanti di Gesù vi sono le beatitudini, di cui però possediamo due versioni differenti e non poco discordanti. Secondo il Vangelo di Matteo infatti esse sono otto e vennero pronunciate da Gesù dopo essere salito “sul monte” all’inizio del celebre “discorso della montagna”; secondo il Vangelo di Luca invece sono quattro e vennero pronunciate “in un luogo pianeggiante”. Come andarono realmente le cose? Non lo sapremo mai. Possiamo però arrivare almeno a stabilire quali furono le parole autentiche di Gesù? … 

Il Gesù di Matteo è più spirituale e meno politicamente inquietante rispetto a quello di Luca. Per lui i poveri dichiarati beati sono i poveri “in spirito”, mentre per Luca sono i poveri e basta, materialmente tali: “Beati i poveri”. Questo Gesù giunge a minacciare i ricchi per il solo fatto di essere tali: “Guai a voi ricchi!”, parole che il Gesù di Matteo si guarda bene dal pronunciare. La seconda beatitudine, che in Matteo è “beati quelli che hanno fame e sete della giustizia”, in Luca è molto più cruda e materiale: “Beati voi che ora avete fame”. Il contrasto si attenua nelle altre beatitudini, ma il bilancio complessivo è chiaro: per il Gesù di Luca la povertà materiale è spiritualmente feconda e la ricchezza è un ostacolo invalicabile, per il Gesù di Matteo invece ciò che è decisivo non è la dimensione materiale ma quella spirituale: è della giustizia che occorre essere affamati, non basta certo lo stomaco vuoto. 

Nel suo vangelo Luca insiste sulla dimensione socio-politica fin dall’inizio, visto che nella composizione poetica attribuita alla madre di Gesù detta tradizionalmente Magnificat presenta espressioni di questo tipo: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”. Carlo Maria Martini definì Luca “provocatore”, aggiungendo persino che è “uno di sinistra” (“ein Linker”, come si legge nell’edizione originale tedesca di “Conversazioni notturne a Gerusalemme” del 2008, espressione cancellata nell’edizione italiana pubblicata da Mondadori). Ma chi tra i due evangelisti ci trasmette più autenticamente il Gesù storico? Gesù era più conservatore come in Matteo o più progressista come in Luca? 

L’evangelista più antico, Marco, riporta un detto (ripreso dagli altri due sinottici) che presenta una filosofia della storia assai cupa: “I governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono”. Avere il potere ed essere un oppressore per Gesù era quindi la stessa cosa. La scena delle tentazioni sia in Luca sia in Matteo si muove nella stessa prospettiva perché rivela che per Gesù il successo politico e materiale richiede una sottomissione a Satana. Il quarto vangelo sostiene a sua volta questa visione visto che definisce Satana per ben tre volte “il capo di questo mondo”. Ne viene che non era Luca a essere “di sinistra” ma lo era Gesù, per cui non vi possono essere dubbi sul fatto che le beatitudini di Luca siano più vicine a quelle originarie, forse del tutto coincidenti. 

Cosa pensare allora delle beatitudini di Matteo? A mio avviso esse rappresentano una versione più raffinata e spiritualmente più matura che scaturisce da un’analisi più attenta sia della rivelazione biblica nel suo complesso sia della effettiva logica che muove la storia. Sul tema povertà-ricchezza la Bibbia ha una visione ambivalente: da un lato i profeti considerano negativamente la ricchezza, dall’altro lato i libri storici e sapienziali la giudicano un dono di Dio. Ecco per la prima prospettiva il profeta Isaia: “Guai a coloro che aggiungono casa a casa e uniscono campo a campo, al punto da occupare tutto lo spazio, restando i soli abitanti del paese” (Isaia 5,8; un detto che oggi fotografa alla perfezione l’illegale espansione dei coloni israeliani nei territori palestinesi). Ed ecco invece quanto si legge in Proverbi 10,22: “La benedizione del Signore arricchisce”. Siamo quindi in presenza di una palese contraddizione: da un lato la ricchezza è condannata in quanto frutto di ingiustizia, dall’altro è lodata in quanto segno della benedizione divina. A mio avviso Matteo colse tutto ciò e per questo giunse a modificare la versione originaria delle beatitudini. 

Non bisogna però pensare che in questo modo egli tradì il pensiero originario di Gesù, ma che semmai lo integrò alla luce della complessiva rivelazione biblica e di altri detti gesuani (si pensi per esempio alla parabola dei talenti o a quella delle mine). Ma soprattutto occorre considerare che la predilezione di Gesù per i poveri (così accentuata da Luca, attenuata da Matteo e del tutto assente in Giovanni) non è da intendere né come un innaturale amore per la miseria, né come solidarietà di classe date le origini umili di Gesù, né tanto meno come un’incipiente lotta di classe che farebbe di Gesù uno dei primi socialisti della storia. Tutto il suo insegnamento infatti, compresa la predilezione per i poveri, va riferito alla sua idea fondamentale: quella del regno di Dio e della sua venuta imminente. Rivolgendosi alle folle, Gesù osservava che i poveri erano insoddisfatti del loro status e per questo desiderosi di cambiamento, per cui prestavano la più grande attenzione al suo annuncio di un cambiamento radicale della storia. Parlando con i ricchi, invece, Gesù si imbatteva in persone soddisfatte della loro condizione e quindi ben poco desiderose di cambiamenti. Per questo egli prediligeva i poveri: non per motivi sociopolitici né per solidarietà di classe, ma per la maggiore apertura al suo annuncio e la conseguente disponibilità al cambiamento di vita. 

Il che è esattamente quanto comprese in profondità l’evangelista Matteo quando decise di aggiungere “in spirito” alla prima beatitudine: chi appartiene veramente al regno di Dio, infatti, è chi vive per qualcosa di più importante di sé, è questi il vero “povero in spirito”. È solo nello spirito, infatti, non certo nelle tasche, che si gioca la relazione della nostra anima con l’eternità.

Vito MancusoLa Stampa 12 dicembre 2025


«Ti è piaciuto questo articolo? Per non perderti i prossimi iscriviti alla newsletter»

Aggiungici su FacebookSegui il profilo InstagramSegui il Canale di YoutubeSeguici su Twitter



stampa la pagina

Archivio blog

Mostra di più