Enzo Bianchi “Una chiesa che sa parlare al mondo”
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dicembre 2025
Una chiesa che sa parlare al mondo
di ENZO BIANCHI
per gentile concessione dell'autore
Ecco, dunque, un'ulteriore meditazione che vuole sottolineare come sia decisiva la speranza dei
cristiani nel cercare una Chiesa diversa e una Chiesa che sa parlare al mondo. Nella notte oscura che
stiamo attraversando, se non avessimo la speranza anche la nostra fede sarebbe fragile, debole.
Sono tramontati gli anni in cui scienza e tecnica ci promettevano di prevedere positivamente le
traiettorie geopolitiche, finanziarie, democratiche, sanitarie... Noi ora facciamo la faticosa
esperienza dell'impotenza rispetto alle situazioni contingenti della vita fragile, assalita dalla brama
di potere e dall'avidità della ricchezza. L'azione politica si mostra oggi molto difficile oltre che
confusa: c'è sfiducia generalizzata, volontà di prevaricazione, aggressività quotidiana. Sì, il nostro
mondo vive un'epoca caratterizzata da instabilità, volontà politiche non convergenti e frammentarie.
Ecco perché c'è chi ha detto: «La speranza è morta!». Ma la speranza non può morire se non
insieme all'umanità. E finché ci sono esseri umani ci saranno resistenti, ci saranno sentinelle e
vedette notturne capaci di sperare contro ogni speranza.
Molti non capiranno ma io per leggere, conoscere e dire qualcosa della speranza cristiana resto
convinto che occorre farlo a partire dal Vangelo, cioè da Gesù Cristo. Sì perché Gesù è la speranza.
È vero, noi abbiamo tanti passi del Vangelo che rimandano a parole di speranza dette da Gesù, ma
non sempre abbiamo il coraggio di dire che Gesù Cristo, oltre a dire parole di speranza, è in sé
stesso la speranza; più che dire parole di vita, è la vita! Ora, nei Vangeli, dove ci è consegnata in
Gesù Cristo l'unica immagine senza veli di Dio, noi ci accorgiamo che lui, che è disceso dal cielo
attraverso l'incarnazione e si è fatto umanissimo, uguale a noi in tutto, non ha mai ceduto alla
tentazione di vivere secondo una negazione illusoria della realtà. Egli, infatti, vedeva la difficoltà
che la condizione umana gli presentava senza eccezioni, tenendo una porta aperta alla possibilità di
essere sospeso da un evento di bene, da una forza buona che procedeva da Dio.
La speranza è una fessura, non la si vede sempre, ma occorre credere che c'è, e che è destinata ad
allargarsi, a diventare una finestra attraverso la quale passa la luce. Ovunque ci sia un uomo, una
donna, la speranza non può morire, salvo che avvenga un suicidio: prima della speranza, poi del
corpo! Eppure, basterebbe che una mano dall'alto o dal basso aprisse uno spiffero di luce che arrivi
fin dove c'è tenebra mortale per dare ragioni per continuare a tirare il fiato.
Tra noi ebrei e cristiani, poi, non si dovrebbe dimenticare che di fronte al Mar Rosso nessuno poteva credere di
poterlo attraversare a piedi asciutti, nessuno pensava di giungere all'altra riva, ma quando i figli d'Israele hanno
osato mettere il piede in mare e camminare tenendosi per mano si sono trovati all'altra riva e hanno cantato pieni
di gioia la Cantica del mare (cf Es 15). Ecco perché guardiamo a Cristo: «Cristo in voi, vostra speranza» (cf Col
1,27). Questa non è solo un'affermazione cristologica decisiva, ma testimonia che Gesù era la speranza di chi lo incontrava nella sua vita, lo ascoltava nella predicazione del Regno.
Basta fare riferimento al suo sguardo perché proprio nello sguardo di una persona è percepibile la
presenza della speranza. L'occhio che spera è un occhio aperto, sempre vigilante. Ecco perché, dove
vedeva un campo di grano maturo, Gesù percepiva l'immagine di una mietitura escatologica vicina;
là dove vedeva un gregge disperso sulle colline vedeva la sua comunità errante senza pastori; là
dove altri erano abbagliati dalle pietre del tempio, Gesù ne prevedeva la distruzione; là dove
avvenivano i solenni pontificali del tempio, lui vedeva una povera vedova che buttava nel tesoro del
tempio tutto ciò che possedeva. Nello stesso modo, dove i sacerdoti vedevano una prostituta, lui
sapeva vedere una donna capace di santità, dove gli uomini religiosi vedevano pubblici peccatori,
Gesù vedeva possibili discepoli, i primi ammessi al Regno...
Quante volte Gesù a chi si reca da lui dice, rimandandolo indietro: «Va', la tua fede ti ha salvato!». Parole
di vertigine, dove la speranza nella forza dello Spirito santo rifà un uomo, una donna, quale nuova creatura. Lo
sguardo di Gesù non è solo missionario, capace di elezione e di chiamata, ma soprattutto è sguardo di
misericordia, che desta speranza: distrugge tutto ciò che è tenebra e prigionia. Gesù si fa "colui che mostra la
strada" della speranza per tutti i suoi discepoli, e li porta a comprendere a poco a poco la speranza delle speranze,
la Risurrezione!
La speranza può rendere possibile ciò che agli uomini pare impossibile. Nell'ora dell'angoscia e della
desolazione, quando si è stati calunniati e ripudiati da tutti, quando si sono allontanati gli amici e sembra che
siamo stati consegnati dai nostri compagni dell'intimità alla distruzione, magari da chi ci ha tradito, il compagno
fedele che mangiava il pane con noi alla nostra tavola, possiamo protestare con Dio fino a scagliare invettive
contro di lui. Vediamo il suo volto come quello di un nemico, che non ci guarda, che ci getta nelle tenebre, che ci
assale come un orso... Perché Signore? Dove sei? Chi prega così si fabbrica un'immagine perversa del volto di
Dio e giustifica il suo pianto e la sua protesta. Ma proprio perché "è bene attendere in silenzio la risposta del
Signore", si deve invece imparare con pazienza a "stare fermi", ad attendere, perché Dio interverrà. Lo dicono
tutti gli oranti che sono passati attraverso la tribolazione dell'assenza di Dio. A poco a poco capiscono che non
era Dio a essere muto, come essi pensavano (una bestemmia!), ma che erano loro a essere sordi alla sua Parola.
E imparano che Dio parla nel silenzio, e che nel silenzio è vicino più che mai!
Durante la salita a Gerusalemme, per tre volte Gesù annuncia ai discepoli la necessità della passione e morte,
eventi strettamente legati alla Risurrezione, all'intervento del Padre, che richiamerà dai morti il suo Figlio
amato: «Il Figlio dell'uomo deve soffrire molte cose, essere crocifisso e risorgere il terzo giorno!». Speranza che i discepoli sentivano affiorare sulle labbra di Gesù, ma per ora non comprendevano. Ma con l'alba del terzo
giorno, l'annuncio Pasquale risuona per le donne discepole e da allora la speranza trionfa in un canto parallelo
alla Cantica del mare: «Cristo è veramente risorto ed è apparso a Simone!» (Lc 24,34).
Cristo appare l'unica e vera speranza dei discepoli e del cosmo intero. È lui la sorgente della nostra
speranza, che nella sua estrema impotenza è speranza della risurrezione dai morti. Se Cristo è
risorto dai morti, noi tutti risorgeremo dietro a lui. Questa è la speranza cristiana: la morte sarà
vinta, il Regno sarà aperto, abiteremo la Gerusalemme celeste nella comunione dei santi e Dio sarà
tutto in tutti! Questa speranza che la morte non sia l'ultima parola è la differenza cristiana rispetto
agli altri uomini: comunicare loro la speranza significa comunicare che l'amore da loro vissuto
vince la morte; di questo devono sempre essere consapevoli.
Questo mi pare l'unico debito, l'unico messaggio che noi possiamo offrire, se lo accolgono, ai non cristiani. E
offrirlo non solo annunciando l'amore, ma amando concretamente. Osiamo così poco amare! Così poco che
l'amore non è credibile, e dunque è incapace di vincere la morte. Ma la speranza è il dono dello Spirito santo: nella
sua kenosi nel cuore degli uomini apre una fessura di luce, apre le tenebre e lascia germinare la speranza di
risurrezione, di vita per sempre.





