Gianfranco Ravasi «Gesù ha mai riso?»
Questa volta vorrei citare integralmente una lettera significativa che mi era stata inviata in passato e che poneva un interrogativo curioso. Ecco il testo.
«Cristo piange davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, di fronte alla città santa, freme e soffre quando s’avvicina la sua ora finale. Conosciamo i suoi sentimenti. I Vangeli ci informano sul suo sdegno che s’accende fino al punto di fargli impugnare una frusta. In sintesi, Gesù partecipa della natura umana amando, mangiando, provando tristezza e dolore. Ma si può dire che condivida con noi il riso e l’ironia? C’è qualche passo dei Vangeli in cui lo si oda ridere? Certo, partecipava volentieri ai banchetti, ma esiste una menzione del suo sorridere? Oppure il suo era sempre un volto severo come quello che ha rappresentato Pasolini nel suo Vangelo secondo Matteo?». «Leggo nei Vangeli che egli ha pianto, mai che abbia riso».Così scriveva in modo lapidario un autore medievale negando che le labbra di Cristo siano state sfiorate dal sorriso. Certo, se ci attestiamo sul verbo specifico del ridere – in greco gheláo – dobbiamo riconoscere che esso non ha mai come soggetto Gesù. Ridono, anzi, «deridono» (katagheláo) Gesù solo i lamentatori e le prefiche di professione nella casa di Giairo (Matteo 9,24), ironizzando sulla sua dichiarazione nei confronti della figlia del capo-sinagoga («Non è morta, ma dorme»). Ridono anche quelli che ora godono nei piaceri, in attesa che avvenga però il grande ribaltamento dei destini: «Beati voi che ora piangete, perché riderete […]. Guai a voi che ora ridete perché piangerete» (Luca 6,21.25). E nella stessa linea si muoverà la Lettera di san Giacomo: «Gemete, peccatori, sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso (ghélos) si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza » (4,9). Così stanno le cose se ci fermiamo al puro e semplice verbo «ridere ».
Tuttavia, dobbiamo ricordare che i Vangeli, com’è noto, non sono biografie complete e compiute della figura storica di Gesù di Nazaret, ma sono solo dei profili, illuminati dalla luce della fede. Che manchi qualche tratto dalla fisionomia umana di Cristo non significa automaticamente che esso non sia stato presente durante la sua esistenza terrena. I banchetti, appunto, possono essere una testimonianza indiretta dell’allegria vissuta anche da Gesù, tant’è vero che egli stesso dichiarerà di essere stato accusato di eccessiva libertà in questo senso: «È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve e dicono: Ecco, è un mangione e un beone, amico di pubblicani e di peccatori» (Matteo 11,19).
Potremmo supporre che il riso abbia fatto parte dell’esperienza di Gesù anche perché esso è una componente fondamentale – insieme alle lacrime – dell’essere uomini. L’Incarnazione, infatti, comporta l’assunzione dell’umanità da parte del Figlio di Dio nella sua integralità. A livello generale aggiungiamo una nota sul tema. La parola «Vangelo», come è risaputo, significa una «notizia buona», quindi gioiosa. Ebbene, il Vangelo di Luca usa per i vari personaggi che entrano in scena direttamente o nelle parabole una varietà di vocaboli greci di felicità, di allegria, di festa, persino di danza. Gesù stesso, quando pronuncia una stupenda preghiera innica («Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra…»), secondo l’evangelista «esulta di gioia nello Spirito Santo» (si legga Luca 10,21-22).