Alessandro D’Avenia "Don Pino Puglisi non voleva essere definito prete anti-mafia."
Il 15 settembre di 30 anni fa, nel giorno del suo 56° compleanno padre Pino Puglisi fu ucciso dalla mafia con un colpo di pistola alla nuca.
Quando hanno chiesto al suo sicario, divenuto collaboratore di giustizia, il motivo dell’assassinio la risposta è stata: «Si portava i picciriddi cu iddu». Infatti don Pino aveva fatto aprire un centro accanto alla parrocchia di san Gaetano per permettere ai bambini e agli adolescenti del quartiere di giocare, studiare, stare insieme. Aveva chiamato il centro «Padre nostro» per scardinare dalle teste e dalle strade l’idea del padre come «padrino». Nel dialetto della mia città «u parrinu» è sia il padrino sia il sacerdote: un piccolo padre. Lui era proprio piccolo, aveva solo cuore e orecchie molto grandi, per ascoltare tutti, e un sorriso disarmante che incrociavo nei corridoi della mia scuola, un sorriso che accordava sempre, anche quando era stanco e preoccupato, alle nostre vite, che per lui, per quanto acerbe, erano vite su cui valeva la pena gioire, sempre. Al centro «Padre nostro», dove 3P portava gli studenti del suo liceo a dare una mano, i ragazzini del quartiere trovavano un’alternativa alla scuola della strada, che a Brancaccio aveva come maestri i picciotti mafiosi, eroi brillanti e da emulare con le loro armi e i loro soldi. La strada era il vivaio dell’esercito mafioso. Per questo 3P era pericoloso quanto Falcone e Borsellino, perché, con mezzi diversi, erodeva ciò di cui la mafia ha bisogno: il consenso. Don Pino faceva sperimentare ai giovanissimi l’unica cosa che dà il coraggio della libertà: la bellezza. Dove non c’è bellezza non c’è speranza di cambiare la realtà, la bellezza, fosse anche solo quella di un campetto di calcio in terra con le linee ben tracciate, è ciò che permette di sentire la differenza e poi di fare la differenza. E il potere non sopporta di essere messo in discussione perché la mancanza di consenso lo fa crollare, quindi il controllo del territorio è tutto. E così 3P con la sua preghiera, la celebrazione dei sacramenti, le gite al mare, i tornei di calcio, il doposcuola... era pericoloso. Non voleva essere definito prete anti-mafia, perché diceva che il suo compito era essere come Cristo, essere pro, anti nessuno, permettere a tutti di cambiare, anche a costo di rimetterci in prima persona. E Cristo finì male, proprio perché osò mettere in discussione il potere, religioso e politico, che opprimeva la gente e che, temendo di perdere il consenso, lo fece fuori come un delinquente. Cristo aveva detto «lasciate che i bambini vengano a me», il programma che don Pino ha realizzato sino all’ultimo giorno della sua vita, andando a chiedere alla sorda burocrazia statale che quella vita più bella e libera venisse mostrata non solo in un piccolo centro parrocchiale, ma in una scuola per i ragazzini del quartiere. Sapeva bene che è con l’educazione che si cambiano le cose, persino un quartiere in cui quegli scantinati non venivano sgomberati e quella scuola non veniva costruita perché politici e mafiosi erano conniventi. Poco prima che cominciasse quell’anno scolastico di 30 anni fa don Pino, provato dalla situazione che stava sostenendo tra minacce, vandalismo e percosse, aveva chiesto una riduzione di orario. Il preside lo convinse a mantenere le classi che aveva: gli studenti ne avevano bisogno. Ma quell’anno non varcò mai le porte di quella scuola che potete vedere accanto alla bella cattedrale normanna della città, dove è custodito il suo corpo in un sarcofago a forma di spiga. Per questo quando all’inizio di ogni anno scolastico leggo sulle pagine dei giornali la solita nauseante storia dei precari, delle migliaia di cattedre scoperte, del sostegno per i fragili che o non c’è o cambia continuamente, dell’edilizia scolastica inadeguata e brutta, penso a 3P che quella mattina del 1993, prima di morire, aveva bussato invano per l’ennesima volta alle porte del Comune per chiedere di aprire una scuola e proteggere i bambini dalla legge della strada. I lavori di bonifica degli scantinati sono stati fatti nel 2005, mentre la scuola media di Brancaccio è stata inaugurata a gennaio del 2000 e intitolata a 3P. Molte cose nel quartiere sono cambiate grazie alla sua eredità: tanti di quei bambini, ora adulti, portano avanti la sua opera. Altrettante non sono cambiate, perché le cose cambiano quando cambiano le persone e le persone cambiano solo quando sono amate, come dice il poeta Ezra Pound: «Ciò che sai amare rimane/ il resto è scoria/ Ciò che tu sai amare non sarà strappato da te/ Ciò che tu sai amare è la tua vera eredità» (Cantos, LXXXI).
«Ti è piaciuto questo articolo? Per non perderti i prossimi iscriviti alla newsletter»