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L’uomo e la sua costola: tradurre, tradire, tramandare

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L’uomo e la sua costola: tradurre, tradire, tramandare 
Rita Torti, 5 Ottobre 2021

Domenica 3 ottobre, in chiesa, ascolto questo brano del capitolo 2 della Genesi:

«Il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati […]. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l'uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo […]».

 
Tradurre

Il senso è chiaro: c’è un uomo (quello che nei versetti precedenti Dio ha plasmato con la polvere, animato con il suo soffio e posto nel giardino di Eden perché lo coltivi e lo custodisca); ma, pur essendo circondato da tante creature, quell’uomo è solo; allora Dio prende una sua costola e da quella forma una donna. L’uomo è contento, finalmente.

Io invece tanto contenta non la sono, perché sappiamo bene per cosa è stato usato questo brano, nella storia: sì, i due saranno una carne sola, ma uno è creato prima e l’altra dopo, a conforto e completamento, però l’“originale” è lui. Prima = più in alto; dopo = più in basso. Con tutto quello che ne consegue.

Tuttavia in passato ho letto saggi in cui questo brano è tradotto in un altro modo, e il senso cambia di molto. Avrò capito male? O magari le mie fonti alternative sono poco attendibili, oppure colpevolmente tendenziose?

Faccio una telefonata, e la risposta è senza ombre: tutti gli studi seri, mi conferma Ester Abbattista (che le Scritture ebraiche le traduce e le insegna), danno per assodato che quello che Dio plasma con la polvere del suolo e dà il nome alle creature non è un uomo, ma l’essere umano in quanto tale, senza alcuna connotazione sessuale. È l’umanità.

Tradire

L’uomo – il maschio – appare dopo, esattamente quando compare la donna; cioè dopo che Dio, mentre questo essere dormiva di un sonno quasi mortale, una specie di coma profondo, lo taglia a metà. E a questo punto sono due diversi, posti faccia a faccia, pari; proprio come nell’altro racconto della creazione (Gen 1), dove Dio «creò l’essere umano a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò».

E infatti non c’è traccia di costola, nel testo originale. Il termine ebraico che viene usato significa sempre, nella Bibbia, “lato”, “fianco” di un oggetto, e non è mai usato per una parte specifica del corpo; il fatto che solo qui sia reso con “costola” ci rivela non il significato di ciò che è scritto, ma il retropensiero del traduttore.1

Riassumendo: dire che c’era prima l’uomo che “faceva cose”, poi Dio gli prende una costola e ne fa una donna non è una traduzione. È un tradimento.

Lo sanno appunto i rabbini, lo sanno le persone che per professione studiano le Scritture ebraiche, ma lo sa anche la Pontificia commissione biblica, che ne scrive ai nn. 152-156 del documento «Che cosa è l’uomo?» (2020).      

Tramandare

Tuttavia a Messa ascoltiamo che prima fu fatto l’uomo e poi la donna; e la Messa non è un contesto comunicativo qualunque: è uno spazio fortemente performativo. Cioè, quello che si dice e si fa nella celebrazione pesa molto di più di ciò che si dice e si fa in altri luoghi in cui “si parla della Bibbia”. Chiede degli “amen” e raggiunge molte più persone.

Non solo. Questa traduzione/tradimento che rende “normale” la precedenza del maschio rispetto alla femmina (e quindi la secondità della femmina rispetto al maschio) influisce, in questa domenica, anche sul modo in cui si tende a percepire e a commentare il brano del Vangelo (Marco 10,2-16).

Ci si concentra infatti molto, di solito, su quanto Gesù dice riguardo all’indissolubilità del matrimonio («l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto»), sottolineando la bellezza del progetto originario («non sono più due, ma una sola carne»). Ma si sorvola sul fatto che nelle parole di Gesù c’è una critica radicale alla logica del dominio dell’uomo sulla donna, e che il progetto originale a cui egli rimanda non riguarda l’indissolubilità, ma l’assenza di dominio patriarcale del marito sulla moglie.

La questione è dunque quella del potere. E infatti questo dialogo con i farisei è collocato dall’evangelista fra il secondo e il terzo discorso che Gesù fa ai discepoli riguardo alla sua prossima crocifissione e morte (una fine tutt’altro che regale): tre annunci in cui ogni volta egli deve disinnescare le logiche di dominio che abitano la mente dei discepoli. È come se dicesse: guardatevi anche dal patriarcato, perché è incompatibile con il Regno.2

A me, devo dire, è andata di lusso. Perché chi presiedeva la celebrazione ha detto, nell’omelia, anche questo:

«L’annuncio contenuto nel modo di Gesù di essere uomo/maschio, dissonante rispetto alla cultura patriarcale e del tutto libero da posizioni di potere non ha affatto trovato – a tutt’oggi – forma vera e piena. Ne è prova anche come non riesca a diventare di pubblico dominio l’interpretazione corretta del brano della Genesi oggi proclamato; nato per affermare la parità di maschio e femmina nel disegno di Dio e divenuto spesso tramite – perfino nella traduzione – per tramandarne la disparità.

Questa è certo una chiamata urgente per la comunità cristiana di oggi e – in essa – in particolare per noi maschi; un appello che si leva, come urlo insopportabile, ad ogni femminicidio. Così scrivevo tempo fa in alcuni miei appunti dopo l’ennesima tragica notizia: “Quel gesto di sopraffazione esprime qualcosa che riguarda il ‘maschile’, dunque che riguarda intimamente anche me, e questo ‘qualcosa’ è insopportabile. È insopportabile nel suo esito tragico, ma ben prima è insopportabile nel suo esserne – di quel gesto – il campo di coltura”. Vorrei non venir meno a questa chiamata, non dimenticarmene mai».3

Ma in quante altre Messe, oggi, i discorsi sul matrimonio avranno affrontato il vulnus più diffuso e radicato nel rapporto fra uomini e donne?

In quante si sarà riflettuto sul fatto che, ingiungendo di «non separare», Gesù sta dicendo: non separate, con pensieri e gesti di dominio, quei due fianchi che per Dio sono contemporanei, pari nella diversità, messi uno di fronte all’altro e non uno sotto l’altro?4

In quante si sarà sottolineato – altra telefonata, questa volta con Lucia Vantini – che non c'è un uomo che devi addormentare per dare vita a una donna, ma c'è la vita che si differenzia nel sonno, perché quello della differenza sessuale è un mistero, indisponibile al patriarcato?

Probabilmente non tantissime.

E allora torniamo all’inizio, alla traduzione/tradimento del racconto della Genesi: se nella liturgia la sostituissimo con quella corretta potremmo iniziare a tramandare qualcosa di veramente importante. Una buona notizia, questa volta.

 

 

1 La “costola” è stata introdotta nella Settanta e nella Vulgata. Al contrario, per la tradizione rabbinica è chiaro che si tratta di un “fianco a fianco”; oppure di uno “schiena a schiena”, di un essere bifronte che Dio separa: Abbattista ne parla ad esempio in  La fede interrogata, p. 41, nota 45.

2 In due di queste occasioni, per farsi capire meglio, Gesù abbraccia i bambini che sono lì ad ascoltarlo, e spiega che bisogna essere come loro, come i bambini. 

3 Don Marco Uriati, parroco della comunità del Corpus Domini, Parma.

4 Cf. Ester Abbattista, Di domenica, una Parola. Brevi riflessioni biblico-teologiche sulle letture domenicali dell'anno B, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2017, pp. 121-123.

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