Ronchi - 4 agosto 2013 XVIII Tempo Ordinario
E disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: «Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!». Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio.
«Crescere a più libertà, a più consapevolezza, a più amore, questo è il cammino della vita spirituale» (Giovanni Vannucci). E oggi il Vangelo traccia proprio alcuni passi di questa crescita. Dì a mio fratello che divida con me l'eredità. Chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi? Gesù rifiuta decisamente l'idea di fare da arbitro tra due fratelli in contesa. Perché Cristo non è venuto per sostituirsi all'uomo. Non offre soluzioni già predisposte, ma la sua parola come luce per i tuoi passi, lampada per il tuo sentiero, che devi scoprire e percorrere da te. Come dirà poco oltre: perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? È il tema delicato ed emozionante della libertà umana, di un Dio fonte di libere vite. In alleanza con lui, l'uomo non è più un semplice esecutore di ordini ma un libero inventore di strade, che lo conducano verso gli altri e verso Dio. Un uomo ricco aveva avuto un raccolto abbondante e diceva tra sé: Che cosa farò? Demolirò i miei granai e ne ricostruirò di più grandi. Non è un uomo avido o un disonesto il protagonista, non fa del male, non è cattivo, ma è «stolto», non ha la sapienza del vivere. Per due motivi: fa dipendere la sua sicurezza e il suo futuro dai suoi beni materiali, manca di consapevolezza che ricchezza promette ma non mantiene, non colma il cuore né il futuro; che il filo della vita ha il capo solo nelle mani di Dio. Non di solo pane vive l'uomo. Anzi di solo pane, di solo benessere, di sole cose, l'uomo muore. C'è poi un secondo motivo per cui quell'uomo è stolto, privo della sapienza sulla vita. È ricco ma solo: non c'è nessun altro attorno a lui, nessuno è nominato nel racconto; è povero di relazioni e d'amore perché gli altri contano poco nella sua vita, meno della roba e dei granai. Stolto questa notte dovrai restituire la tua vita. Per quell'uomo senza saggezza la morte non è un accadimento sorprendente ma il prolungamento delle sue scelte: in realtà egli ha già allevato e nutrito la morte dentro di sé, l'ha fatto con la sua mancanza di profondità, per non essere cresciuto verso più consapevolezza e verso più amore. È già morto agli altri, e gli altri per lui. Con questa parabola sulla precarietà Gesù non disprezza i beni della terra, quasi volesse disamorarci della vita e delle sue semplici gioie. Intende rispondere a una domanda di felicità. Vuoi vita piena? Non cercarla al mercato delle cose. Sposta il tuo desiderio. Gli unici beni da accumulare sulla terra per essere felici sono relazioni buone con le persone, relazioni libere e liberanti, una sempre maggiore profondità. Il segreto della vita buona sta nel crescere verso più amore, più consapevolezza e più libertà.
(Letture: Letture: Qoelet 1, 2; 2, 21-23; Salmo 89; Colossesi 3, 1-5. 9-11; Luca 12, 13-21).
Fonte: avvenire